I primi risultati dell’indagine sui test sierologici di ISTAT

È emerso che il 2,5 per cento della popolazione ha incontrato il coronavirus, un dato 6 volte superiore ai casi registrati durante la pandemia

(AP Photo/Riccardo De Luca)
(AP Photo/Riccardo De Luca)

Lunedì 3 agosto, l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ha diffuso i primi risultati dell’indagine di sieroprevalenza sulla diffusione del coronavirus tra la popolazione italiana. L’indagine, che era stata avviata il 25 maggio scorso da ministero della Salute e ISTAT, con la collaborazione della Croce Rossa, è stata effettuata attraverso i cosiddetti test sierologici, che servono per rilevare la presenza di particolari sostanze nel siero, una parte del sangue. Dai test effettuati sul campione rappresentativo della popolazione italiana è stato stimato che 1 milione e 482mila persone abbiano incontrato il SARS-COV-2, vale a dire il 2,5 per cento del totale della popolazione, un dato 6 volte superiore ai contagi registrati durante la pandemia.

È un dato che va letto con cautela perché per capire come si arrivi a questo numero bisogna comprendere come funzionano i test sierologici e quali siano i loro obiettivi. I test sierologici servono a indicare se una persona sia venuta o meno in contatto con un agente infettivo, come il coronavirus. Nel caso di risultato negativo, l’individuo non è probabilmente stato esposto al virus (fino al momento del test), ma questo non implica che non possa essere contagiato in seguito. Un risultato positivo indica invece che è avvenuta una reazione da parte del sistema immunitario, a causa della presenza del virus.

La positività al sierologico non permette quindi di sapere con certezza se la persona interessata sia ancora infetta o se sia ancora contagiosa. Per questo nel caso di un esito positivo ci si deve sottoporre al test che analizza saliva e muco, prelevati tramite un tampone. Questo tipo di test permette infatti di scoprire se in un esatto momento sia presente il coronavirus.

– Leggi anche: Come funzionano i test sierologici

I risultati dell’indagine
L’indagine sierologica è stata svolta per raccogliere dati sulla diffusione del coronavirus nella popolazione italiana e comprendere meglio le dinamiche della diffusione. Il campione di cittadini è stato individuato in base a sesso, età e occupazione: sono state prese in considerazione soltanto persone residenti in Italia che vivono in famiglia (pertanto, per esempio, non persone residenti nelle RSA, cioè le residenze sanitarie assistenziali destinate alla cura per persone non autosufficienti) in 2mila comuni stratificati per dimensione e collocazione territoriale.

Durante la conferenza stampa in cui sono stati mostrati i risultati dell’indagine, Linda Laura Sabbadini, direttrice dell’ISTAT, ha detto che dal 25 maggio al 15 luglio sono stati effettuati 64.600 prelievi, ma che il dato è provvisorio perché gli ultimi risultati stanno ancora arrivando e non sono stati pertanto presi in considerazione.

Secondo Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, la stima che 1 milione e 482mila persone abbiano incontrato il SARS-COV-2 indica «solamente l’aver incontrato il virus e aver montato una risposta immunitaria, che è ben diverso dal conferire qualsiasi patentino di immunità rispetto al SARS-COV-2».

Dai dati raccolti da ISTAT si riscontra una forte differenziazione territoriale, che è in linea coi contagi e con la mortalità che sono stati registrati nel tempo: la Lombardia è la regione con il tasso di incidenza maggiore e ha un tasso di sieroprevalenza stimato del 7,5 per cento. Come ha sottolineato Sabbadini, il dato ha un “intervallo di confidenza”, che nel caso della Lombardia va dal 6,8 all’8,3 per cento. La Lombardia, peraltro, assorbe il 51 per cento dei cittadini che hanno sviluppato gli anticorpi.

«Il territorio è la chiave di lettura fondamentale di questa epidemia», ha quindi detto Sabbadini. Tendenzialmente la prevalenza è simile in tutte le età, ma si evidenzia che tra gli 0 e i 5 anni è mediamente sotto l’1,3 per cento, e oltre gli 85 anni è inferiore dell’1,8 per cento, valori che Sabbadini attribuisce alla maggior attenzione riservata nei confronti di persone molto anziane o dei bambini piccoli.

Dall’indagine emerge che sono state più colpite le persone occupate nella sanità, con un’incidenza del 4,1 e il 6,6 per cento, che però raggiunge il 9,8 per cento nelle regioni con maggiore livello di sieroprevalenza. Anche le persone che lavorano nel settore della ristorazione sono risultate particolarmente esposte per il 4,2 per cento.

Le differenziazioni emergono quindi dal punto di vista territoriale e dell’attività occupazionale, mentre non emergono differenze di genere.

Quanto alla trasmissione, il contagio è avvenuto all’interno della famiglia nel 41,7 per cento dei casi, nell’11,6 per cento tra colleghi di lavoro, tramite il contagio dai pazienti (nel caso dei lavoratori della sanità) per il 12,1 per cento e col contatto con altre persone per il 9,2 per cento.

Gli asintomatici sono il 27,3 per cento. Le persone con uno o due sintomi, come febbre, tosse e mal di testa ma esclusi la perdita di olfatto e gusto, sono il 23,4 per cento e le persone con tre o più sintomi, incluso perdita di olfatto e gusto, il 41,5 per cento. Questo, secondo Sabbadini, evidenzia che è necessario essere responsabili anche in presenza di uno o due sintomi.

Il presidente di ISTAT, Gian Carlo Blanciardo si è ritenuto soddisfatto dell’indagine, che ha dimostrato coerenza tra il campione studiato e i dati stimati da altre fonti. Ha anche detto che è intenzione di ISTAT utilizzare i dati al fine di identificare tempestivamente eventuali focolai epidemici per comprendere le criticità, dare la giusta dimensione ai contagi e prendere provvedimenti in tempo utile.

Franco Locatelli ha sottolineato che l’incidenza, ovvero il tasso di sieroprevalenza, è particolarmente diversificata all’interno dello stesso territorio: per esempio, pur trovandosi nelle aree limitrofe della provincia di Bergamo, la più colpita in Italia con un’incidenza del 24 per cento, le provincie di Como e Lecco hanno un’incidenza tra il 3 e il 5 per cento.