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  • Venerdì 24 luglio 2020

Il Parlamento Europeo bloccherà l’accordo fra i leader europei?

I principali gruppi politici hanno criticato la scarsa ambizione e i tagli al bilancio pluriennale, minacciando di mettere il veto: una cosa mai successa nella storia

(Philippe Buissin/ European Union 2020 - EP)
(Philippe Buissin/ European Union 2020 - EP)

In una risoluzione votata ieri a larga maggioranza, il Parlamento Europeo ha parzialmente respinto l’accordo trovato martedì mattina dal Consiglio Europeo, l’organo che raduna i capi di stato e di governo dell’Unione, sul Fondo per la ripresa dopo il coronavirus e sul nuovo bilancio pluriennale 2021-2027 dell’Unione, cioè il principale serbatoio di fondi europei che l’Unione distribuisce ai vari stati.

Nel testo si legge che il Parlamento «apprezza» il compromesso trovato sul Fondo, anche se con alcune importanti riserve; e soprattutto «non accetta» l’accordo sul nuovo bilancio, su cui condivide la competenza, dato che lo giudica troppo poco ambizioso su alcune importanti voci di spesa come ricerca, sanità e ambiente.

Il trattato di Lisbona approvato nel 2007 garantisce al Parlamento la competenza sul bilancio settennale, condivisa col Consiglio dell’UE (l’organo dove siedono i rappresentanti dei governi). Di fatto è un potere di veto, che finora non ha mai utilizzato. Nella plenaria straordinaria organizzata ieri per discutere l’accordo trovato dal Consiglio Europeo, però, tutti i principali gruppi politici hanno lasciato intendere che per ottenere la loro approvazione il Consiglio dell’UE dovrà accogliere una serie di richieste.

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In caso di fallimento dei negoziati, che inizieranno probabilmente già nelle prossime settimane, l’Unione Europea entrerà nel 2021 con un esercizio provvisorio che potrebbe rallentare l’applicazione di tutti i programmi, compreso il Fondo per la ripresa.

Nei negoziati fra le tre principali istituzioni europee, Parlamento, Consiglio dell’UE e Commissione, nella maggior parte dei casi è il Parlamento a proporre le soluzioni più ambiziose. I parlamentari europei sono meno legati dei governi alla politica nazionale – anche se ne avvertono la pressione – non devono preoccuparsi eccessivamente della solidità del loro seggio, dato che le elezioni si tengono ogni cinque anni, e i tre gruppi politici che compongono la maggioranza – centrodestra, centrosinistra e liberali – sono abituati a lavorare insieme per ottenere il massimo dai negoziati con le altre istituzioni.

Anche per queste ragioni, probabilmente, il Consiglio Europeo e il suo braccio operativo, il Consiglio dell’UE, hanno fatto di tutto per tenerlo fuori dall’iter legislativo del Fondo per la ripresa (possono farlo, sulla base dell’articolo 122 del trattato sul funzionamento dell’UE). Al momento il Parlamento non ha nessun ruolo sulla gestione del Fondo, ma vuole sfruttare il potere negoziale sul bilancio per ricavarne uno: nella risoluzione si legge che chiederà al Consiglio di ottenere un ruolo «nell’applicazione del Fondo», cioè nel controllo delle spese da parte dei governi nazionali.

Ma le richieste del Parlamento riguarderanno soprattutto il bilancio. Nell’accordo finale negoziato fra i 27 capi di stato e di governo, alcune voci di bilancio proposte dalla Commissione sono state tagliate o sono rimaste sostanzialmente uguali al bilancio precedente. Il nuovo bilancio «manca di ambizione e non corrisponde alle nostre priorità», ha detto durante la sessione plenaria Manfred Weber, il capogruppo del Partito Popolare Europeo, di centrodestra.

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Il programma Horizon, il principale strumento europeo per finanziare la ricerca – molto rilevante in Italia, dove i finanziamenti ministeriali scarseggiano – avrà a disposizione più o meno la stessa cifra, 80 miliardi di euro in sette anni, nonostante la Commissione ne avesse chiesti una decina in più (nel bilancio precedente, comunque, esisteva ancora il contributo del Regno Unito). Il fondo per la politica di vicinato e la cooperazione internazionale passerà da 71,8 a 70,8 miliardi.

I programmi per la sanità otterranno 1,7 miliardi, una cifra piuttosto modesta e che non beneficerà degli 8 miliardi in più proposti dalla Commissione nell’ambito del Fondo per la ripresa (sono stati tagliati dall’accordo finale). Rispetto alle precedenti proposte della Commissione, sono state tagliate anche le voci di spesa sull’innovazione, mentre sono rimaste quelle più care ai paesi dell’Est: fondi di coesione e sussidi all’agricoltura, probabilmente un risarcimento per il taglio consistente del Fondo per la transizione giusta, di cui avrebbero beneficiato soprattutto Polonia, Romania e Repubblica Ceca.

Il Parlamento ha inoltre chiesto al Consiglio di introdurre nuove entrate fiscali per finanziare il Fondo per la ripresa, oltre a quella sui prodotti in plastica usa e getta contenuta nel compromesso trovato dai leader, e criticato il testo finale dell’accordo per gli scarsi accenni al rispetto dello stato di diritto per poter accedere al Fondo.

Le trattative fra Parlamento e Consiglio inizieranno probabilmente nelle prossime settimane, mentre il voto finale è previsto per ottobre o novembre. Non è chiaro come e quanto il compromesso trovato dal Consiglio Europeo sarà cambiato, ma il Parlamento ha avvertito che la possibilità di usare il veto è concreta. «Vi offriamo l’estate per ripensare alle vostre priorità», ha detto il capogruppo dei Verdi, Bas Eickhout, rivolto ai governi nazionali e in particolare a quelli che hanno osteggiato misure ambiziose come i cosiddetti frugal five (Paesi Bassi, Svezia, Danimarca, Austria e Finlandia).