Gli effetti del lockdown sui bambini

Cosa dicono esperti e studiose sull'impatto che ha avuto il non poter vedere per mesi i propri amici e compagni di scuola

Gala di 7 anni e Oliver di 6, compagni di classe, si parlano da un cortile a un altro a Barcellona, durante il periodo di "lockdown", il 29 aprile 2020 (La Presse/AP Photo/Emilio Morenatti)
Gala di 7 anni e Oliver di 6, compagni di classe, si parlano da un cortile a un altro a Barcellona, durante il periodo di "lockdown", il 29 aprile 2020 (La Presse/AP Photo/Emilio Morenatti)

I bambini sono stati direttamente meno colpiti di altri dalla COVID-19, dato che si sono ammalati molto meno e con sintomi molto meno gravi degli adulti, ma hanno subìto comunque gravi conseguenze negli ultimi mesi. La didattica a distanza introdotta con la chiusura delle scuole non è uguale a quella fatta di persona, non ha funzionato bene per tutti (in particolare per i bambini più piccoli) e ci sono dei grossi dubbi su come andranno le cose da settembre. Ma anche la riduzione dei contatti sociali ha avuto un impatto su bambini e ragazzi: non solo per il valore dell’amicizia, ma anche perché stando insieme ai coetanei – per esempio facendo sport o altre attività dopo la scuola – i bambini imparano a collaborare, a fidarsi degli altri, a essere empatici, e sviluppano la propria personalità.

Negli Stati Uniti c’è parecchia preoccupazione in merito, dato che l’epidemia va ancora molto male e quindi bisognerà fare molta attenzione ai contatti fisici anche nei prossimi mesi. L’Atlantic ha dedicato un articolo alla questione, che spiega come le occasioni di socializzazione siano molto importanti durante la crescita, anche se in modi e misure diverse a seconda delle fasce d’età, del contesto (le condizioni socio-economiche dei genitori, possibili lutti legati all’epidemia), della struttura familiare (per i figli unici è più complicato che per i bambini con fratelli e sorelle) e della personalità.

I bambini molto piccoli
I bambini che ancora non hanno cominciato la scuola primaria hanno più bisogno del rapporto con i genitori di quello con i coetanei. Per questo non è così grave che le videochiamate e altri sistemi di comunicazione a distanza funzionino poco per i bambini tanto piccoli. A seconda del contesto familiare, però, anche loro possono avere avuto comunque dei problemi. «I bambini più piccoli sono un barometro dello stress familiare», ha spiegato all’Atlantic Stephanie Jones, psicologa dello sviluppo dell’Università di Harvard.

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In generale i problemi dei genitori influenzano i bambini: è inevitabile. È stato rilevato anche da un’indagine fatta in Italia da un gruppo di ricerca dell’IRCCS Giannina Gaslini, un ospedale pediatrico di Genova, per cui sono state coinvolte 3.251 famiglie con figli di meno di 18 anni di tutto il paese. Secondo lo studio del Gaslini, diffuso a metà giugno:

All’aumentare di sintomi o comportamenti suggestivi di stress conseguenti
alla condizione “COVID” nei genitori (disturbi d’ansia, dell’umore, disturbi del sonno, consumo di farmaci ansiolitici e ipnotici), i dati hanno mostrato un aumento dei disturbi comportamentali e della sfera emotiva nei bambini e negli adolescenti, indipendentemente dalla pregressa presenza di disturbi della sfera psichica nei genitori. D’altra parte i disturbi della sfera emozionale dei genitori conseguenti alla “condizione COVID” sono risultati essere significativamente accentuati nel caso di pregresse problematiche di natura psichica.

Per quanto riguarda in particolare i bambini con meno di 6 anni, nel 65 per cento dei casi i genitori hanno notato «problematiche comportamentali e sintomi di
regressione». In altre parole, nei mesi passati a casa, senza la possibilità di andare a scuola e vedere altri bambini, molti hanno ricominciato ad avere comportamenti che avevano “superato” crescendo: per esempio chiedendo più abbracci e coccole ai genitori, mostrando un rinnovato attaccamento alla madre o rifiutandosi di mangiare alcuni alimenti. Secondo lo studio del Gaslini i disturbi più frequenti sono l’aumento dell’irritabilità, i disturbi del sonno e forme d’ansia, ad esempio quella da separazione.

A proposito delle forme di regressione, il Post ha parlato con Silvana Quadrino, psicologa e psicoterapeuta, oltre che autrice della rivista per genitori Uppa. Anche per la sua esperienza molti genitori hanno notato comportamenti più infantili negli ultimi mesi, ma non per questo devono preoccuparsi: secondo un’autorevole teoria neuroevolutiva, è normale che bambini e ragazzi a cui è richiesto di fronteggiare una situazione impegnativa si adattino al contesto, in modo fisiologico, riducendo alcune competenze già acquisite come meccanismo di compensazione. È importante, ha spiegato Quadrino, che i genitori non si approccino a questi comportamenti come se fossero patologici, ma li accettino: sono parte di un meccanismo che può aiutare i bambini.

Un’altra cosa che è stata molto importante per i bambini più piccoli negli ultimi mesi è la stabilità delle abitudini familiari. L’articolo dell’Atlantic racconta del caso di un bambino di quattro anni figlio di genitori divorziati: inizialmente i due si erano accordati perché il bambino passasse alcune giornate a casa di un genitore e la notte a casa dell’altro, in modo da condividere meglio le cure parentali tenendo conto della necessità di lavorare da casa; questo cambiamento però aveva evidentemente turbato il bambino, rendendolo più capriccioso. Ora le cose stanno migliorando perché il bambino è tornato a passare la notte nella stessa casa in cui trascorre la giornata.

Secondo Silvana Quadrino, l’importanza delle abitudini per i bambini è una delle ragioni per cui l’interruzione brusca delle occasioni in cui potevano socializzare con altri coetanei potrebbe essere stata difficile per i più piccoli, quelli per cui capire il senso delle restrizioni era più complicato. È possibile che qualcuno di loro abbia percepito il divieto di vedere altri bambini come un’ingiustizia o una punizione, in particolare in quelle famiglie dove gli impegni lavorativi dei genitori impedivano loro di dare ai bambini tutte le attenzioni richieste. Tra i bambini un po’ più grandi e abituati a una vita sociale particolarmente intensa, ha raccontato Quadrino, ce n’erano alcuni che chiedevano ai genitori di accompagnarli davanti alla scuola per verificare che nel frattempo non avesse riaperto.

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I bambini più grandi
Crescendo, la vita sociale con i coetanei diventa più importante. Lo studio del Gaslini ha rilevato la presenza di problematiche comportamentali nel 71 per cento dei bambini o ragazzi maggiori di 6 anni. I disturbi più frequenti per questa fascia d’età sono quelli che hanno una componente somatica: per esempio i disturbi d’ansia che causano sintomi come la sensazione di mancanza d’aria e vari disturbi del sonno, come la difficoltà di addormentamento e la difficoltà di risveglio per iniziare a seguire le lezioni a distanza al mattino, una specie di «jet lag domestico».

In particolare i contatti con gli altri ragazzi sono importanti nel periodo delle scuole medie, e servono a sviluppare la capacità di stare in gruppo: lo stesso risultato non si può ottenere attraverso le lezioni su Zoom. Ronald Dahl, pediatra e fondatore del Center for the Developing Adolescent dell’Università di Berkeley, ha spiegato all’Atlantic: «È come uno sport. Va praticato». In particolare le interazioni sociali sono indispensabili per capire quale sia il proprio posto in mezzo agli altri, di chi si possono fidare, a chi piacciono e in base a cosa. Detto questo, è possibile che l’interruzione della vita sociale degli scorsi mesi non sia stata tanto lunga da danneggiare irreparabilmente questo processo di apprendimento sociale. Se la scuola ricomincerà in modo relativamente normale, potrebbero non esserci grossi problemi per la maggior parte dei ragazzi.

Anche perché allo stesso tempo il periodo di lockdown può aver avuto dei lati positivi su alcuni di loro. Per quelli che subivano bullismo, la chiusura delle scuole potrebbe essere stata positiva. Ma anche senza considerare casi problematici, molti insegnanti – e la stessa Quadrino – hanno osservato che grazie alla didattica a distanza tanti di loro hanno imparato a usare strumenti digitali molto meglio di quanto non sapessero fare prima, in un modo che non sarebbe stato possibile con le lezioni tradizionali. Inoltre molti ragazzi che avevano difficoltà con la scuola, quelli rimproverati perché “non stavano attenti”, spesso hanno migliorato le proprie prestazioni scolastiche durante i mesi passati a casa. Secondo Quadrino è possibile che la mancanza delle dinamiche di classe, quelle per cui certe etichette, compresa quella di cattivo studente, finiscono per essere appiccicate ai ragazzi, abbia aiutato qualcuno di loro.

Non si può generalizzare, ma non si deve neanche pensare che il lockdown sia stato un trauma insormontabile. Al contrario, per Quadrino i preadolescenti, in media, hanno una capacità di guardare oltre le difficoltà maggiore di quella degli adulti: «Molti si dicevano: “Va be’, ma poi finisce questa situazione”». In generale bambini e ragazzi hanno la capacità di riprendersi dalle situazioni difficili più in fretta rispetto agli adulti e considerando che, anche se lungo, il periodo delle restrizioni alla vita sociale è stato limitato, dovrebbero riuscire a superarne i disagi. Per molti preadolescenti e adolescenti poi, nonostante la tristezza dovuta al non poter vedere gli amici, condurre una vita sociale al di fuori della famiglia di per sé era più semplice, grazie agli smartphone.

Per quali ragazzi il lockdown è stato particolarmente duro
Sara Uccella, medica specialista in neuropsichiatria infantile dell’Istituto Gaslini, che è anche una degli autori dello studio già citato, ha spiegato al Post che la loro indagine ha mostrato che i ragazzi che hanno sofferto di più per il “confinamento” a casa – secondo lei quest’espressione è più corretta di “quarantena” – sono quelli nelle cui famiglie, per motivi slegati dall’epidemia o per conseguenze dell’epidemia, c’erano situazioni problematiche.

Si è parlato molto dei casi di violenze domestiche, ma anche solo il disagio economico causato da licenziamenti o dalla cassa integrazione, per non parlare dei lutti legati alla COVID-19, può aver influito su bambini e ragazzi attraverso i loro genitori. Su quelli più piccoli in modo particolare, dato che sono più dipendenti dagli adulti. Per questo «per capire come stanno i bambini, bisognerebbe osservare come stanno i genitori».

Uccella ha parlato anche dei disagi legati alle restrizioni per il coronavirus subiti dai bambini e dai ragazzi con disabilità o problemi di neurosviluppo. La sensazione tra i medici è che questi abbiano sofferto in modo particolare i mesi di confinamento a casa: al Gaslini i ricoveri di ragazzi con patologie del neurosviluppo sono stati più numerosi del solito. Il problema in questo caso non era legato tanto agli scambi sociali con i coetanei, ma all’impossibilità di ricevere cure specialistiche, come quelle di fisioterapia e logopedia, e al fatto che tutto il peso delle cure è ricaduto sui genitori. Ma sono aumentati anche i ricoveri di ragazzi con problemi psichici, che «hanno vissuto maggiore disagio, probabilmente, anche perché hanno passato più tempo tra le mura domestiche in condizioni sfavorevoli».

Cosa fare
In alcuni ragazzi poi la sola solitudine può essere stata causa di depressione o altri problemi psicologici. Elizabeth Schwarz, psichiatra infantile di New York, ha detto all’Atlantic che bisogna preoccuparsi quando i ragazzi hanno comportamenti estremi, come dormire sempre o non dormire mai, essere molto irritabili o aumentare o diminuire molto di peso.

Quadrino consiglia in generale di prestare particolare attenzione al comportamento dei ragazzi in questo periodo: osservarli, ma non preoccuparsi al primo segno di disagio. Il suo secondo consiglio è continuare a comportarsi in modo spontaneo e non spaventarsi troppo di fronte a un comportamento di regressione.

Con il ritorno a scuola a settembre bisognerà nuovamente fare attenzione alle reazioni dei bambini. Per esempio, che non si sviluppino dinamiche sociali come la cosiddetta “caccia all’untore” nota tra gli adulti. Secondo Quadrino un lato positivo di tutta la situazione che si è venuta a creare è che si è riusciti a dare ai ragazzi un’educazione sanitaria, quella dell’abitudine a lavarsi le mani, che in precedenza non si era mai trasmessa nonostante l’influenza annuale.

Uccella, che concorda con Quadrino, ha sottolineato al Post come il sondaggio fatto nei mesi delle restrizioni non dia risposte a lungo termine sull’impatto del confinamento sui ragazzi. Per saperne di più bisognerà aspettare. Intanto il suo consiglio per i genitori è cercare di far vivere ai bambini un’estate il più possibile normale e ricordare che il distanziamento deve essere fisico «e non sociale».