Il rapporto finale sul coronavirus nelle RSA

In quattro mesi ci sono stati 9.154 morti nelle strutture di assistenza per gli anziani: il 7,4 per cento era risultato positivo al coronavirus, ma i decessi da sospetta COVID-19 sono molti di più

(Alvaro Calvo/Getty Images)
(Alvaro Calvo/Getty Images)

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha pubblicato la versione finale dell’indagine sull’epidemia da coronavirus nelle case di riposo (residenze sanitarie assistenziali, RSA), basata su un questionario inviato a centinaia di strutture nelle scorse settimane. I risultati confermano un tasso significativo di morti riconducibili alla COVID-19, come del resto era stato segnalato da diverse strutture con un incremento di decessi rispetto agli scorsi anni.

In alcune regioni, come la Lombardia, le RSA sono state particolarmente interessate dall’epidemia da coronavirus, anche se molti decessi rimangono “sospetti”, perché non si è provveduto per tempo a eseguire i test tramite tampone per verificare la presenza del coronavirus.

L’ISS – in collaborazione con il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale – ha inviato un questionario contenente 29 domande a 3.417 RSA in tutta Italia, ricevendo risposta da 1.356 strutture (41,3 per cento di quelle contattate). La maggior parte delle risposte è arrivata da Lombardia, Piemonte, Toscana, Veneto ed Emilia-Romagna, tra le regioni maggiormente interessate dall’epidemia.

Complessivamente, le 1.356 RSA avevano 97.521 ospiti all’inizio di febbraio, con una media di 72 residenti per ogni struttura.

Dal primo febbraio al momento della compilazione dei questionari (marzo – primi giorni di maggio) sono risultati 9.154 decessi nelle RSA, con una maggiore incidenza in Lombardia, Piemonte e Veneto. Il tasso di mortalità, per qualsiasi causa e calcolato come numero di morti sul totale dei residenti, è stato del 9,1 per cento.

Su 9.154 deceduti, 680 erano risultati positivi al tampone, mentre 3.092 avevano sintomi simili a quelli dell’influenza, cosa che non può quindi fare escludere che diversi di loro avessero un’infezione da coronavirus (COVID-19 e influenza sono due malattie differenti, ma alcuni sintomi sono in comune, soprattutto nella fase iniziale dell’infezione). Il 7,4 per cento del totale dei decessi ha quindi riguardato ospiti nelle RSA per i quali era stata riscontrata la presenza del coronavirus, mentre il 33,8 per cento delle morti ha riguardato residenti con sintomi simil-influenzali.

Se si considerano i soli positivi al coronavirus, il tasso di mortalità tra i residenti nelle RSA è stato dello 0,7 per cento. Considerando i decessi di chi aveva sintomi simil-influenzali si arriva al 3,1 per cento, ma con picchi fino al 6,5 per cento della Lombardia.

La suddivisione per provincia mostra come in alcune zone il tasso di mortalità sia stato particolarmente alto. Nei primi tre posti ci sono Bergamo, Cremona e Lodi, tutte province della Lombardia e con un tasso di mortalità con sintomi oltre il 10 per cento.

Nelle RSA vivono per lo più persone anziane e con diversi problemi di salute, quindi a maggior rischio di sviluppare sintomi gravi dovuti alla COVID-19. In molti casi gli ospiti di queste strutture non sono stati trasferiti, causando il contagio di altri residenti e tra il personale che forniva loro assistenza. Secondo i dati raccolti dall’ISS, nel periodo di riferimento sono stati trasferiti in ospedale 5.292 ospiti delle RSA, per qualsiasi motivo di salute. Nel complesso il 18,2 per cento degli ospedalizzati era risultato positivo alla COVID-19, mentre il 38,2 per cento aveva sintomi simili a quelli dell’influenza, oppure problemi respiratori e polmoniti (che possono essere indotte dal coronavirus).

L’ISS ha poi chiesto alla RSA di elencare le difficoltà incontrate nei mesi di emergenza sanitaria, per capire che cosa abbia contribuito alla diffusione del contagio nelle strutture e ad alcune inefficienze. La difficoltà più sentita (segnalata dal 77,2 per cento dei partecipanti) è stata la mancanza di dispositivi di protezione individuale adeguati per assistere gli ospiti, e per evitare i contagi tra il personale e altri residenti. Oltre la metà ha poi segnalato di avere avuto grandi problemi nell’ottenere che fossero eseguiti i tamponi sugli ospiti, in modo da identificare e isolare velocemente gli infetti. La mancanza di un numero sufficiente di operatori e la scarsa informazione dalle istituzioni sanitarie sono state altre difficoltà segnalate da molte strutture.

Circa il 21 per cento delle RSA partecipanti al questionario ha segnalato di avere rilevato almeno un caso positivo tra il proprio personale, con marcate differenze a seconda delle aree geografiche. La provincia autonoma di Bolzano è al 50 per cento, la Lombardia al 40 per cento e il Piemonte al 25 per cento. I dati variano molto non solo per le condizioni di ogni RSA, ma anche per le scelte adottate dalle ASL e dai distretti sanitari sulle modalità per eseguire i tamponi.

L’isolamento degli infetti è una pratica raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per ridurre il rischio di nuovi contagi, molto importante soprattutto nelle strutture dove si trascorre molto tempo al chiuso e si condividono gli stessi spazi, come può avvenire negli ospedali e nelle RSA. E proprio nelle case di riposo sono stati riscontrati alcuni problemi non solo nell’identificare gli infetti, ma anche nell’isolarli a causa della scarsa disponibilità di spazi o di aree non adeguate.

Il 7,7 per cento delle strutture ha segnalato di non avere potuto isolare i pazienti, mentre il 30,7 per cento ha indicato la possibilità di raggruppare gli infetti nelle stesse stanze, riorganizzando la loro collocazione. Il 48,1 per cento delle RSA ha potuto dedicare stanze singole agli infetti (verificati o sospetti).

Il rapporto integrale: