Com’è “Da 5 Bloods”, il nuovo film di Spike Lee

È disponibile da oggi su Netflix e parla di quattro veterani afroamericani che tornano in Vietnam per cercare un tesoro (ma anche di tanto altro)

(DAVID LEE/NETFLIX © 2020)
(DAVID LEE/NETFLIX © 2020)

Da 5 Bloods – Come fratelli è il nuovo film di Spike Lee, il venticinquesimo della sua carriera, e da oggi si può vedere su Netflix. Parla di quattro veterani della guerra del Vietnam che ai giorni nostri tornano nel paese per cercare dell’oro che avevano trovato e nascosto durante la guerra. Ma parla anche di molto altro ed è certo che se ne parlerà come di un film sorprendentemente attuale: i quattro veterani, infatti, sono afroamericani e il film è molto più di una caccia al tesoro in un paese esotico.

Da 5 Bloods sta piacendo molto a molti critici: ci sono diversi casi di “cinque-stelle-su-cinque” e c’è chi ne parla come di uno dei migliori film di sempre di Spike Lee e come uno dei film che potrebbero giocarsi un po’ di statuette agli Oscar (se ci saranno). Qui ne parliamo un po’, ma ovviamente senza spoiler, promesso.

L’idea
La sceneggiatura di quello che sarebbe poi diventato Da 5 Bloods esiste dal 2013: c’era già l’idea del tesoro da recuperare, ma i veterani erano bianchi, il titolo era The Last Tour e il regista che sembrava dover dirigere il film era Oliver Stone, che del Vietnam si era occupato in Platoon e Nato il quattro luglio. Poi però il progetto saltò e nel 2017 proposero quella sceneggiatura a Lee, che stava per girare BlacKkKlansman. Pare che glielo proposero perché Lee aveva raccontato in un’intervista che uno dei suoi film preferiti di sempre era Il tesoro della Sierra Madre, un gran film del 1948, diretto da John Huston.

Lee prese la sceneggiatura e insieme a Kevin Willmott, suo co-sceneggiatore anche in BlacKkKlansman, ne mantenne le premesse cambiando però molte altre cose e mettendo il suo stile e il suo punto di vista. «La ribaltammo», ha detto lui all’Hollywood Reporter: «Un po’ di salsa barbecue, un po’ di funk, un po’ di Marvin Gaye». In effetti, nel film ci sono diverse canzoni del disco del 1971 What’s Going On, secondo Lee «uno dei più grandi dischi mai realizzati».

Il film
Ricucinato con gli ingredienti di Spike Lee, il film è quindi arrivato su Netflix. Prodotto dalla sua storica casa di produzione (la 40 Acres & A Mule Filmworks, un nome che ricorda quanto fu promesso e non dato agli schiavi neri dopo la Guerra civile americana), introdotto dalla celebre scritta “A Spike Lee Joint” e con un titolo che è un riferimento al nome “bloods” con cui diversi soldati neri iniziarono a chiamarsi tra di loro, come segno di fratellanza reciproca. Da 5 Bloods vuol dire quindi qualcosa di simile a “i cinque fratelli”. Cinque, e non quattro, perché oltre ai quattro veterani a combattere in Vietnam c’era un quinto commilitone, anche lui nero. Il quinto commilitone, morto in Vietnam, era il capo del gruppo – «il nostro Malcolm e il nostro Martin», dice uno di loro, con riferimento a Malcom X e Martin Luther King – e lo si vede in diverse scene ambientate negli anni della guerra.

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Due cose che si fanno notare
Una particolarità del film è che, nelle scene in flashback, i quattro veterani non sono in nessun modo ringiovaniti (magari digitalmente, come in The Irishman) o interpretati da attori effettivamente più giovani. Gli stessi attori che interpretano i veterani dei giorni nostri interpretano i combattenti di mezzo secolo fa. Il quinto di loro, invece, è interpretato da un attore più giovane: Chadwick Boseman.

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Per rendere chiaro il passaggio tra scene presenti e scene passate, nel film cambia più volte il formato dell’immagine e il tipo di pellicola usata. Le scene ambientate negli anni della guerra sono in 16 millimetri (nello stile dei cinegiornali di allora) e con schermo in 4:3, molto più quadrato di quelli a cui siamo abituati. Per il presente, ci sono invece scene in widescreen (dove il rapporto tra larghezza e altezza diventa di 2,40:1) e anche scene girate in 1,85:1 (una sorta di via di mezzo tra il 4:3 e il 2,40:1).

Che tipo di film è
Da 5 Bloods inizia, come spesso nei film di Lee, con immagini reali e molto d’impatto, sul Vietnam e sui neri, quelli in America e quelli a combattere il Vietnam (mentre nel loro paese erano ancora profondamente discriminati). Poi il film alterna – spesso in modo improvviso – momenti leggeri ad altri più profondi, e nei suoi 154 minuti di durata capita più volte che sembri prendere una strada per poi cambiare direzione. È un film con tanti eventi che si susseguono, ma non è solo un film d’azione o di avventura, perché Lee usa quella storia per metterci tanto altro.

Cosa se ne dice
Sul New York Times, A.O. Scott ha scritto che Da 5 Bloods «affronta alcuni dei temi e dei miti del cinema americano. È un western, una storia di avidità, onore, lealtà e vendetta. Ma anche una commedia amara su un gruppo di uomini che invecchiano e guardano al loro passato. È un film di commilitoni che affrontano una pericolosa missione, un dramma familiare, un’avventura, la storia di un “furto” e una provocazione politica». C’è tanto in Da 5 Bloods e sebbene qualche critico abbia scritto che forse c’è un po’ troppo, a molti è invece sembrato che Lee sia riuscito a tenere le fila di tutto quanto. Sempre Scott ha scritto: «La sua forza di regista politico è sempre stata nella sua capacità di dare vita caotica alle contraddizioni, anziché risolverle in modo ideologico».

Sul Chicago Sun-Times, Richard Roeper ha parlato di un film «immersivo e violento» che sta a metà tra Il cacciatore e Il tesoro della Sierra Madre (citato in molte altre recensioni). Eric Kohn di IndieWire ha parlato di un film «che non scende a compromessi», fatto da un regista «così consapevole delle sue sensibilità e del suo stile che non si fa fermare da niente». David Rooney, critico dell’Hollywood Reporter, ha scritto che il film – girato nel 2019 – è «tanto attuale quanto i giornali di questa mattina». Sul Guardian, Peter Bradshaw, uno di quelli ad aver dato cinque-stelle-su-cinque, ha scritto che Da 5 Bloods «è un fucile da paintball caricato con proiettili veri», che ti fa credere di essere una cosa e poi esplode diventando tutt’altro (paintball è un gioco che si fa con pistole e fucili che sparano proiettili di vernice).

Diversi apprezzamenti sono arrivati anche per i personaggi del film e per come gli attori li sanno interpretare. In particolare, è piaciuto molto il personaggio di Paul, uno dei veterani, interpretato da Delroy Lindo, che molto presto nel film dice di aver votato Donald Trump, e che indossa il noto cappello che cita la frase “Make America Great Again”. Come ha scritto Scott, è un personaggio con una presenza «colossale e terrificante», interpretato in modo «specifico, rigoroso e umano» e che si mette nella scia di grandi personaggi con cui Lee ha mostrato, nella sua carriera, di saper raccontare con un quasi «affettuoso interesse» personaggi che lui trova «ripugnanti», per esempio il pizzaiolo Pino di Fa’ la cosa giusta, interpretato da John Turturro.

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