Gli attori ringiovaniti

Il ringiovanimento digitale fino a pochi anni fa era impensabile: ora è stato determinante in "The Irishman", e presto sarà ovunque

di Gabriele Gargantini

The Irishman, il nuovo film per Netflix di Martin Scorsese, si sta facendo notare per la sua lunghezza (tre ore e mezza), per la qualità della storia e degli attori, e per come combini uno stile cinematografico un po’ “alla vecchia maniera” a un elemento tecnico particolarmente innovativo e azzardato: il ringiovanimento digitale, usato per gran parte del film e molti dei suoi attori protagonisti.

Il ringiovanimento digitale è la tecnica che permette di far sembrare un attore più giovane grazie a particolari modalità di ripresa e, soprattutto, un grande e costoso lavoro di post-produzione. Il cinema statunitense ci sperimenta da almeno un decennio – nel 2009 se ne dovette occupare chi lavorò a Il curioso caso di Benjamin Button – ma quando tra qualche anno si scriverà una storia del ringiovanimento digitale, il 2019 sarà uno spartiacque importante: sia per la qualità, la quantità e la specificità della tecnica usata in The Irishman, che per l’altrettanto complicata (anche se forse meno riuscita) applicazione della tecnica in Gemini Man, un film di azione di Ang Lee in cui Will Smith deve vedersela con un suo clone, Junior, che ha la metà dei suoi anni.

Gemini Man
Per il suo film d’azione, nei cinema italiani qualche mese fa, Lee aveva bisogno di far combattere Henry Brogan, un sicario 51enne, contro Junior, un suo clone di 23 anni: entrambi interpretati da Will Smith. In altre parole Gemini Man ha creato da zero una versione digitale di un giovane Will Smith, dandogli un ruolo da co-protagonista in un film e facendolo recitare accanto alla sua versione reale. Un film che, tra l’altro, è girato in 3D e a 120 fotogrammi al secondo (contro i 24 della maggior parte dei film): due cose che rendono maggiore il livello di dettaglio delle immagini e quindi ancora più complicato far passare come realistico qualcosa che non è reale ma digitale.

Al ringiovanimento digitale di Will Smith hanno lavorato per centinaia di ore almeno 500 persone di sei diverse società, compresa la neozelandese Weta Digital, che ha vinto cinque Oscar e si è occupata di Avatar, della saga del Signore degli Anelli, di quella del Pianeta delle scimmie e di alcuni film Marvel. «A volte sembrava proprio che stessimo creando dal nulla un essere umano, non un effetto speciale», ha detto Stuart Adcock, che per Weta Digital si occupa di movimenti facciali digitali.

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Per creare Junior si dovette mappare la dentatura di Smith, studiarne la pelle del viso, le ossa, gli occhi e il modo in cui respirava. Furono inoltre create versioni digitali della sua ossatura, della sua muscolatura, della sua pelle e del suo aspetto esteriore. «A volte ci diciamo che conosciamo la faccia di Smith meglio di sua moglie», ha detto all’Atlantic uno degli esperti che per ore dovette modificarne il viso: «Potrei dirti come dà forma a un sorriso, e anche che ci sono 12 diversi modi in cui sorride, ognuno con un suo motivo e significato».

Weta Digital studiò anche quante più immagini possibili di Will Smith da giovane: di quando aveva più o meno l’età che ha Junior in Gemini Man, ma anche di quando era un bambino di otto anni. Per fortuna ci sono tantissime immagini di Will Smith negli anni, e sono state usate anche quelle di quando recitava nella sitcom Willy, il Principe di Bel Air. Il fatto che molti di noi ricordino almeno un po’ com’era il vero Will Smith quando aveva vent’anni, però, è stato anche un problema: Adcock ha detto infatti che bisognava «essere all’altezza del ricordo degli spettatori».

Gli addetti agli effetti speciali hanno poi ripreso il Will Smith di oggi per mapparne movimenti, distanze tra gli elementi del viso ed espressioni, e in seguito hanno unito ed elaborato tutti i dati raccolti per creare quello che Wired descrisse come «una nuova specie di attore, che può lavorare quanto vuole, può avere una forza sovrumana ed è completamente immerso nel ruolo che interpreta. Non fa pause e non deve passare dal trucco, perché vive in un hard disk». Junior, scrisse Wired, era «il più ambizioso umano generato a computer per un film».

Il Financial Times ha scritto che si pensa che la creazione di Junior sia costata da sola decine di milioni di dollari, più dell’intera paga di Smith per recitare nel film. Il risultato però fu così-così, probabilmente perché Lee ha provato a fare il passo più lungo della gamba: usare il ringiovanimento digitale in un film d’azione, in 3D, con 120 fotogrammi al secondo e con molte scene in cui accanto al ringiovanito digitale c’era l’originale attuale.

The Irishman
Come sa chi ha visto The Irishman, per la lunghezza della storia raccontata e per la fluidità del passare del tempo, sarebbe stato difficile raccontare la stessa storia chiedendo a diversi attori di interpretare lo stesso personaggio in diverse fasi della sua vita. Infatti per qualche anno Scorsese si è tenuto il progetto nel cassetto. Come ha spiegato a Wired Pablo Helman, che si occupa di effetti speciali e ringiovanimento digitale per la Industrial Light & Magic, Scorsese si mise in contatto con lui perché stava pensando di fare un film biografico su Frank Sinatra, e si stava interessando alla possibilità di usare un unico attore per ogni fase della vita di Sinatra. Evidentemente Helman fu così convincente che Scorsese decise di mettere da parte quel film e di tirare fuori dal cassetto la sceneggiatura di The Irishman.

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Ci fu una prova in cui a De Niro fu fatta recitare una sua vecchia scena di Quei bravi ragazzi, per vedere come la scena “ringiovanita” se la fosse cavata accanto a quella originale. Fu una prova convincente. Scorsese decise di usare il ringiovanimento digitale, ma con una condizione non facile: voleva che attori esperti come De Niro, Al Pacino o Joe Pesci, che amano recitare davvero, uno di fronte all’altro, potessero farlo senza strani sensori sul viso o, disse Scorsese, «davanti a una pallina da tennis». Industrial Light & Magic ideò quindi una tecnologia che, usando tre cineprese in contemporanea, per un peso totale che all’inizio era di quasi 40 chili, permetteva di mappare i visi degli attori, raccogliendo tutti i dati che sarebbero poi stati necessari per ringiovanirli in post-produzione. Su tre cineprese, una serviva a Scorsese per le riprese del film, due a Industrial Light & Magic per fare riprese a infrarossi e ottenere quindi informazioni volumetriche necessarie al successivo ringiovanimento digitale. In pochi anni si dovette quindi ideare una nuova tecnologia e metterla subito alla prova, giorno dopo giorno su un film di tre ore e mezza. «Come costruire una Ferrari mentre stai correndo il Gran Premio», ha detto Helman.

La post-produzione, anche qui fatta lavorando fotogramma per fotogramma, partendo da un ricchissimo archivio di «nasi, bocche e occhi», con un software appositamente creato e con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, è durata due anni ed è il principale motivo del costo di The Irishman: almeno 150 milioni di euro.

Il risultato è, come si dice, sotto gli occhi di tutti. Forse nella prima scena con un giovane ringiovanito De Niro, alla guida di un camion, diversi decenni fa, c’è un po’ di straniamento, ma è molto probabile che per la maggior parte degli spettatori poi le cose siano diventate normali.

Will Smith, Robert De Niro e James Dean
Si racconta che – vedendo quello che si poteva fare con il ringiovanimento digitale – De Niro abbia detto a uno degli esperti che se ne è occupato: «Mi hai appena dato altri trent’anni di carriera». Il responsabile di Weta Digital ha detto all’Atlantic che Junior, il giovane Will Smith di Gemini Man, «sta in una serie di hard disk della società» e tecnicamente potrebbe venire usato per fare altri film. Smith ci ha scherzato su, dicendo: «È bello avere una versione digitale di quando avevo 23 anni, con la quale posso fare i film». È bello e interessante, ma è anche un contesto in cui è facile prevedere che in futuro ci possano essere complicate questioni legali.

Ed è anche facile prevedere – perché già sta succedendo – che il ringiovanimento digitale possa avvenire anche senza il diretto consenso e la recitazione di un attore. Come già accennato, qualche settimana fa si è parlato infatti della possibilità che una versione digitale di James Dean potesse recitare come attore non protagonista in un film sulla guerra del Vietnam dal titolo Finding Jack. È uno degli estremi a cui potrebbe portare l’ampiamente prevedibile incremento e miglioramento nell’uso del ringiovanimento digitale. Smith e De Niro hanno dato il loro consenso per farsi ringiovanire (e per interpretare, seppur con l’aiuto della tecnologia, la loro versione ringiovanita). Nel caso di Dean, o di qualsiasi altro attore che non abbia prestato il proprio consenso, le cose sono complicate, dal punto di vista legale ma anche da quello etico.

Un altro pericolo, come avevamo visto più nel dettaglio alla fine di questo articolo, è che fra non troppi anni chiunque abbia uno smartphone possa fare con la propria immagine, o con quella di chiunque altro, qualcosa di simile a quello che per ora solo pochissime società con tantissimi soldi e avanzatissime tecnologie possono fare con Will Smith o Robert De Niro. Se già ora si guarda con preoccupazione ai video “deepfake”, figuratevi in futuro.

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Allo stesso tempo, però, non si può fermare il progresso. Anche perché è evidentemente molto veloce. È impensabile che, mentre tutto diventa sempre un po’ più digitale, lo stesso non succeda nel cinema, uno dei campi in cui la sperimentazione digitale ha finora portato i più interessanti risultati. In più, scrive l’Atlantic, «Hollywood sta facendo sempre più affidamento sui rifacimenti di vecchi film: è logico credere che lo stesso possa succedere con i vecchi attori e le vecchie attrici». Nel 2017 Manhola Dargis scrisse sul New York Times che considerava il ringiovanimento digitale «una distrazione che fa vedere che il regista ha preso una decisione sbagliata solo perché poteva permettersi di prenderla». Pochi giorni fa però ha messo The Irishman tra i suoi film preferiti dell’anno, parlandone come di uno dei migliori dell’intera carriera di Scorsese. Anche lei, quindi, sembra aver tralasciato il fatto che per gran parte del film Robert De Niro, Joe Pesci ed Al Pacino hanno recitato davanti a tre telecamere, due delle quali servivano a poterli in seguito ringiovanire, in quello che finora è il più avanzato risultato del ringiovanimento digitale nell’intera storia del cinema.