11 canzoni dei Simply Red

Da riascoltare per il compleanno del leader Mick Hucknall, che oggi ne fa sessanta

Mick Hucknall in concerto con i Simply Red nel 2008. (Mark Metcalfe/Getty Images)
Mick Hucknall in concerto con i Simply Red nel 2008. (Mark Metcalfe/Getty Images)

Mick Hucknall, leader dei Simply Red, è nato l’8 giugno 1960 e oggi compie sessant’anni. Queste sono le canzoni dei Simply Red che Luca Sofri, il peraltro direttore del Post, aveva scelto per il libro Playlist, la musica è cambiata.

Mick Hucknall ha una voce e dei capelli che sfocano sullo sfondo il resto della band, assai numerosa e volatile. Furono i maggiori esponenti bianchi della via britannica al soul: “blue eyes soul”, lo chiamano. Grandi vendite e cospicue indulgenze commerciali li hanno relegati alla categoria gruppetto-da-classifica, ma hanno sempre fatto cose oneste senza sbracare mai (quasi mai: tutte le volte che si buttano sul reggae nun se ponno senti’). A un certo punto Hucknall si stabilì a Milano, ma poi rinsavì.

Money’s too tight to mention
(Picture book, 1985)
Era un pezzo degli americani Valentine Brothers, di qualche anno prima. Parlava dei tempi difficili e dei pochi soldi (“we’re talkin’ ‘bout reaganomics”), ed era ancora attuale nell’Inghilterra del 1985 (la qualifica di “rosso” di Mick Hucknall non si riferiva solo al colore dei capelli e al tifo per il Manchester United). Il loro primo singolo e primo successo mondiale.

Holding back the years
(Picture book, 1985)
“Holding back the years” era una canzone della precedente band di Hucknall, i Frantic Elevators, che avevano tendenze piuttosto punk. Il che suona strano, considerata la dolcezza malinconica della canzone, ma l’originale era assai più ruvido. Fu prima in classifica negli Stati Uniti, e non capita a tutti gli inglesi al primo disco.

The right thing
(Men and women, 1987)
Approfittate dei primi tre minuti per fare quella telefonata che dovevate fare, andare in bagno, farvi un panino, e tornate in tempo per quando lui interrompe l’ultimo refrain e fa “uuuuhh, yeaaah!”, e la canzone cambia tono, ed è come avrebbe dovuto essere dall’inizio. Non più un’intimazione a fare la cosa giusta, ma la consapevolezza di fare la cosa giusta: “you know I told you…”.

Maybe someday
(Men and women, 1987)
“Forse un giorno, qualcuno verrà”: si tratti del Messia, o di un amore che ci tiri su. Annunciato dal suono di una tromba. Forse un bersagliere.

A new flame
(A new flame, 1989)
Ecco che lo rifà. Sono quelle canzoni con cui non sai cosa fare. In scala ridotta, è quello che succedeva con i dischi che avevano dei pezzi più brutti: ma ora che siamo tornati nell’era delle canzoni, grazie all’mp3 e alla programmabilità delle playlist, il problema è superato. Però resta in scala ridotta, appunto: cosa fai con quelle canzoni che sono noiose per quasi tre minuti, e poi hanno una fantastica coda che cambia di tono, e lui che si scatena? Capita anche con l’assolo di “My Sharona” dei Knack.

If you don’t know me by now
(A new flame, 1989)
Bùm. Pezzone soul di Harold Melvin and the Blue Notes (quelli di “Wake up everybody”), svenevole, sentimentale e definitivo. “Oh, don’t get so excited…”. Infatti i Simply Red ci conquistarono mezzo mondo.

For your babies
(Stars, 1991)
Non è che creda in molte cose. Ma in te sì. “When it comes to”, dicono gli inglesi: che vuol dire “quando si tratta di”, ma in inglese dà più l’idea, perché è come dire “quando arriva il momento di”. Insomma, when it comes to ballate pop sdolcinate, Mick Hucknall ha sempre avuto pochi rivali.

So beautiful
(Life, 1995)
Mick Hucknall fa un po’ Marvin Gaye, con l’ironia sufficiente a sostenere che “tu sei così bella, ma così noiosa”. Lei gli parla, e lui si distrae, vorrebbe scappare, vorrebbe morire: “cosa ci faccio qui?”.

Home
(Home, 2003)
Qui si dice stufo di questa falsa immagine cool, ha voglia di cose vere, di tornare a casa. Non cita esplicitamente la conclusa residenza a Milano, quindi non è detto che si riferisca a quello. Però la casa di cui parla è “dove la terra incontra il mare”, vedete un po’. In fondo al disco ce n’è una bella reprise di un minuto, al pianoforte.

Sunrise
(Home, 2003)
Giù il cappello: vent’anni dopo, consegnati agli album di figurine, i Simply Red riscalarono le classifiche di mezzo mondo. Tutto grazie al trucco di una vecchia canzone di Hall and Oates (“I can’t go for that”) sapientemente ritoccata: non una cover, un patchwork.

Positively 4th street
(Home, 2003)
Questa invece è una cover, espediente a cui i Simply Red si erano sempre dedicati con passione e fortune alterne (solo in Home ce ne sono altre due). E il cielo mi protegga dagli integralisti dylaniani: ma addolcita il giusto, è meglio dell’originale. Ecco, l’ho detto.