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  • Lunedì 18 maggio 2020

Il successo del contact tracing in Germania

Viene eseguito dall'inizio dell'epidemia e ha permesso di tenere sotto controllo il contagio meglio che altrove

La cancelliera tedesca, Angela Merkel (AP Photo/Michael Sohn, pool)
La cancelliera tedesca, Angela Merkel (AP Photo/Michael Sohn, pool)

Con poco meno di 180mila casi positivi rilevati, la Germania è riuscita a tenere meglio sotto controllo l’epidemia da coronavirus rispetto ad altri paesi, facendo registrare circa 8mila morti e un tasso di letalità molto basso se confrontato con quello di altre nazioni, compresa l’Italia. Il paese ha ottenuto questo risultato grazie a un sistema sanitario bene organizzato e un’alta disponibilità di posti nelle terapie intensive, ma soprattutto grazie a un sistema efficiente per il tracciamento dei contatti e i test dei sospetti positivi. La loro identificazione, con il conseguente isolamento, è segnalata come una priorità da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che consiglia ormai da mesi ai governi di fare quanti più test sia possibile e di tenere traccia delle catene dei contagi, per interromperle prima che si estendano troppo.

A Würzburg, una città della Baviera circa 130 chilometri a est di Francoforte, il tracciamento dei contatti è stato avviato da subito, non appena sono stati registrati i primi casi da coronavirus all’inizio dello scorso marzo. Due persone erano risultate positive il 4 marzo, al loro ritorno da un viaggio in Italia. Prima di avere scoperto di avere il coronavirus, avevano fatto visita ad alcuni parenti nella zona, alcuni dei quali erano poi risultati infetti.

Scoperta la potenziale diffusione del contagio, le autorità sanitarie della Baviera avevano avviato da subito una ricerca dei contatti delle persone infette, applicando protocolli che erano stati elaborati per l’influenza suina. Il piano pandemico si era però rivelato quasi da subito insufficiente, perché il coronavirus aveva mostrato di diffondersi velocemente tra la popolazione, e su una scala che aveva il potenziale per essere molto più grande.

Man mano che proseguivano le attività di ricerca dei contatti degli infetti, gli operatori compresero quanto si fosse già diffuso il coronavirus nella zona di Würzburg: una coppia, uno studente e un insegnante di ritorno da una gita scolastica nelle Alpi, diversi altri scolari e un impiegato presso l’Università che faceva il pendolare. Seguendo la via del contagio, le autorità sanitarie identificarono anche almeno un caso presso una casa di riposo, dove il 12 marzo sarebbe morto un ospite di 83 anni, la prima persona a morire in Baviera a causa del coronavirus.

Divenuto evidente che le risorse per il tracciamento dovessero essere potenziate, le autorità sanitarie iniziarono a trasferire personale impegnato in altri uffici pubblici e attività, affidando loro il compito di ricostruire i contatti delle persone risultate positive. A metà marzo il gruppo di lavoro poteva contare una ventina di addetti, che partecipavano quotidianamente a una riunione per suddividersi i casi e aggiornarsi sull’avanzamento del lavoro e le pratiche seguite.

Fare il tracciamento dei contatti richiede infatti molto tempo e risorse: occorre svolgere un’intervista per ogni nuovo positivo, chiedere con chi sia entrato in contatto e quali spostamenti abbia fatto almeno nei due giorni antecedenti alla comparsa dei sintomi. Ogni operatore chiede poi alla persona positiva e potenzialmente contagiosa di fornire i numeri di telefono delle persone che ha visto di recente, in modo da poterle contattare e invitarle a rimanere in casa per un periodo di due settimane, chiedendo che segnalino l’eventuale presenza di sintomi.

Alla persona che ha potenzialmente contagiato altri individui viene consentito di sentire telefonicamente amici e conoscenti con cui è venuta in contatto, in modo che siano preparati a ricevere la chiamata dell’operatore che procederà poi con il tracciamento dei contatti vero e proprio. Se dopo qualche giorno gli esposti presentano sintomi, si procede a un test tramite tampone per rilevare l’eventuale presenza del coronavirus e viene poi eseguito un nuovo tracciamento dei contatti, per assicurarsi che nel frattempo altre persone non siano state infettate dal nuovo contagiato.

All’aumentare dei casi, a metà marzo a Würzburg fu ulteriormente accresciuto il gruppo di lavoro per il tracciamento dei contatti, portando l’organico a 40 addetti per le interviste e una sessantina di altre persone tra medici, impiegati e gestori del sistema informatico per tenere traccia dei casi. I risultati di questo approccio sono diventati evidenti a metà maggio, con oltre 2.500 persone che avevano ormai terminato la quarantena, la guarigione di 728 persone sulle 869 risultate positive e la morte di 59 pazienti.

La strategia seguita a Würzburg è comune a numerose città in altri stati della Germania, dove l’impegno per il tracciamento dei contatti è derivato dall’impiego di metodi molto tradizionali e ben collaudati, come le interviste telefoniche ai positivi e ai potenzialmente contagiati. Non sono state impiegate particolari applicazioni da far scaricare alla popolazione sui loro smartphone, come si sta tentando di fare anche in Italia, sia per le poche evidenze sulla loro utilità, sia perché in Germania le leggi sulla privacy sono molto rigide, e proporre un’applicazione che tiene traccia dei propri incontri avrebbe probabilmente portato a qualche complicazione giuridica.

Il governo federale tedesco ha incentivato il ricorso al tracciamento dei contatti, ricordando la sua importanza per interrompere la diffusione del contagio. Si è inoltre posto l’obiettivo di avere a disposizione fino a 20mila addetti per occuparsi di questa attività in tutta la Germania. Le loro attività potrebbero rivelarsi essenziali man mano che il governo tedesco e quelli dei singoli stati procedono ad attenuare le limitazioni, con il conseguente rischio di una maggiore diffusione del coronavirus tra la popolazione.