Una proposta per cambiare la moda dopo il coronavirus

Non mettere più i cappotti in vetrina a luglio e fare sconti solo due volte l'anno

(AP Photo/Luca Bruno)
(AP Photo/Luca Bruno)

Martedì un gruppo di stilisti, aziende di moda e rivenditori, guidati dallo stilista belga Dries Van Noten, ha pubblicato una lettera aperta per invitare l’intero settore a fare dei cambiamenti e a rispondere, in particolare, a due problemi noti da tempo ma che sono stati aggravati dalla crisi dovuta al coronavirus: il momento di arrivo delle collezioni nei negozi e gli sconti. Il gruppo ha messo insieme la proposta dopo averne discusso durante tre riunioni su Zoom (una popolare piattaforma per videochiamate).

Per prima cosa, i firmatari chiedono che la collezione autunno/inverno si trovi nei negozi a prezzo pieno da agosto a gennaio e che la collezione primavera/estate si possa comprare da febbraio a luglio. L’obiettivo è risolvere la discordanza tra gli abiti proposti dai negozi e la stagione in corso: gli abiti primaverili sono già disponibili in pieno inverno mentre le vetrine dei negozi espongono cappotti già in estate. Il flusso di nuovi arrivi dovrà essere equilibrato, così da garantire sia continue novità sia il «tempo necessario perché i prodotti vengano desiderati».

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Il gruppo chiede, poi, che sconti e saldi vengano fatti solo alla fine della stagione per poter vendere più a lungo a prezzo pieno: quindi solo a gennaio per l’autunno/inverno e solo a luglio per la primavera/estate. Ora i saldi si tengono da inizio gennaio fino a inizio marzo e da inizio luglio fino a tutto agosto, ma ci sono sconti in molti momenti dell’anno, come durante i cambi di stagione e per il Black Friday – il giorno dopo la festa del Ringraziamento e uno dei giorni con i maggiori sconti dell’anno – e il Cyber Monday, che cade il lunedì seguente ed era dedicato ai prodotti elettronici prima di riguardare un po’ tutto.

Il gruppo chiede anche di impegnarsi a migliorare la sostenibilità della moda, fabbricando meno abiti e accessori, producendo meno sprechi di tessuto e in inventario, viaggiando di meno, usando degli showroom digitali e ripensando il modo di organizzare le sfilate.

Tra i firmatari, fa notare l’autorevole sito di moda Business of Fashion, ci sono piccoli e grandi esponenti della moda, dalla stilista emergente Marine Serre a grandi magazzini come Selfridges e Nordstrom. Mancano però i grandi gruppi del lusso, come LVMH (che possiede tra gli altri Louis Vuitton, Christian Dior, Givenchy e Celine) e Kering (che controlla Gucci, Balenciaga, Saint Laurent e Bottega Veneta), e le catene di fast fashion, cioè l’abbigliamento economico e alla moda, come Zara e H&M.

Il settore della moda è stato particolarmente colpito dalla crisi legata al coronavirus: prima hanno chiuso molte fabbriche senza evadere gli ordini, poi hanno chiuso i negozi, con il risultato che la merce invenduta si accumula nei magazzini e rischia di essere proposta in sconto prima del tempo. Secondo molti, tra cui Van Noten, è il momento di ripensare il sistema e questa è una prima proposta in tal senso.

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