Le regioni governate dal centrodestra chiedono più autonomia sulle riaperture

In una lettera inviata al governo contestano il decreto sulla "fase 2" e chiedono che si passi dalla «logica dell’uniformità alla logica dell’uguaglianza»

U;n bar chiuso sui Navigli, Milano, 29 aprile 2020 (ANSA / PAOLO SALMOIRAGO)
U;n bar chiuso sui Navigli, Milano, 29 aprile 2020 (ANSA / PAOLO SALMOIRAGO)

I presidenti delle regioni governate dal centrodestra (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria, Veneto) e della provincia autonoma di Trento hanno inviato un documento al governo con cui chiedono maggiori possibilità di prendere decisioni autonome in vista della cosiddetta Fase 2 dell’emergenza da coronavirus, che inizierà dal prossimo 4 maggio, giorno in cui entrerà in vigore il nuovo decreto del presidente del Consiglio.

I presidenti chiedono che si passi dalla «logica dell’uniformità alla logica dell’uguaglianza, attraverso una modifica dell’assetto del Dpcm del 26 aprile e la messa a punto di un sistema di collaborazione tra Governo e Regioni». In sostanza le regioni contestano innanzitutto le modalità legislative con cui il governo centrale ha gestito fino a oggi l’emergenza («decreto legge e Dpcm») che avrebbero «posto problemi di compatibilità con la Costituzione, sia con riferimento al coinvolgimento parlamentare, sia con riferimento al rispetto delle competenze regionali».

Il documento di quattro pagine critica anche l’approccio del nuovo provvedimento, sia dal punto di vista formale che da quello della sostanza. Nella prima parte i presidenti di regione giudicano «ingiusta» la scelta del governo di uniformare il decreto a tutto il territorio nazionale, viste le diverse situazioni di diffusione di contagio nelle regioni, e lo fanno facendo riferimento al principio di valorizzazione delle autonomie (articolo 5 della Costituzione). Chiedono quindi che sia lasciato «uno spazio di regolamentazione alle Regioni, per adottare le previsioni alle specifiche condizioni nei territori».

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Nella seconda parte del documento i presidenti entrano nel dettaglio delle misure su cui chiedono al governo di poter avere maggiore possibilità di scelta, cioè sulle riaperture delle «attività produttive e di quelle del terziario, come i servizi, i trasporti e le professioni». Si legge: «È chiaro che la salute è il primo e imprescindibile obiettivo, ma non può essere l’unico».

Si chiede quindi che il Dpcm del 26 aprile venga riformato in quanto «non dotato della necessaria flessibilità capace di riconoscere alle Regioni» dove la situazione dei contagi da coronavirus risulta migliore, e che venga conseguentemente data la «possibilità di applicare nei loro territori regole meno stringenti di quelle previste a livello nazionale».

I presidenti concludono che «in presenza di una data situazione epidemiologica riscontrabile oggettivamente e certificata dall’Autorità sanitaria delle singole regioni e sottoposta ad uno scrupoloso controllo del Governo, sia garantita la possibilità di poter riaprire a tutti coloro che rispettino le misure» di distanziamento e prevenzione del contagio previste dall’ultimo Dpcm e dai protocolli aziendali.

Seguendo questa logica, ma facendo un ulteriore passo in avanti, la presidentessa della Calabria Jole Santelli ha firmato mercoledì un’ordinanza che tra le altre cose prevede, dal 30 aprile, «la ripresa delle attività di bar, pasticcerie, ristoranti, pizzerie, agriturismo con somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli all’aperto». L’ordinanza prevede quindi, già dal 30 aprile, misure che a livello statale non sono previste nemmeno a partire dal 4 maggio.

Il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia ha detto ieri che nel caso in cui ci saranno ordinanze regionali con parti non coerenti con il Dpcm del 26 aprile invierà una diffida con la richiesta di rimuoverle (solo in caso di ordinanze che allentino le misure). Nel caso in cui non vengano rimosse, Boccia ha detto che potrebbe fare ricorso al Tar o alla Corte Costituzionale. Boccia ha aggiunto che in base al monitoraggio dell’andamento epidemiologico delle prossime settimane ci potranno essere dal 18 maggio scelte differenziate tra le regioni relativamente alla riapertura delle attività commerciali. Il principio, secondo Boccia, è che se diminuiranno i contagi ci potranno essere più aperture, e anche il contrario.

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Giovedì mattina, durante la sua informativa alla Camera, anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha criticato le iniziative delle regioni, definendo illegittimi gli allentamenti delle misure restrittive adottati in autonomia e sostenendo che eventuali riaperture anticipate potrebbero avvenire solo se concordate con il governo, e solo dopo che verrà constatata una stabilizzazione nell’andamento dei contagi.