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  • Mercoledì 25 marzo 2020

Gli scioperi contro le attività “non essenziali”

I sindacati accusano molte aziende rimaste aperte di non essere fondamentali per contrastare l'epidemia, e stanno trattando con il governo per ridurne l'elenco

Lo stabilimento della Avio a Borgaretto, in provincia di Torino, un'industria aerospaziale che produce, tra le altre cose, aerei e missili, chiuso per sciopero (ANSA/ EDOARDO SISMOMDI)
Lo stabilimento della Avio a Borgaretto, in provincia di Torino, un'industria aerospaziale che produce, tra le altre cose, aerei e missili, chiuso per sciopero (ANSA/ EDOARDO SISMOMDI)

I principali sindacati hanno proclamato per i prossimi giorni una serie di scioperi per chiedere la riduzione del numero di attività definite “essenziali”, e che quindi potranno rimanere aperte anche durante la quarantena imposta al resto del paese. Alcune categorie di lavoratori, inoltre, hanno annunciato scioperi nei loro settori per chiedere migliori condizioni di lavoro e maggiori aiuti economici da parte del governo. I sindacati sostengono che le fabbriche e i supermercati sono, insieme agli ospedali, gli unici luoghi dove sono consentiti assembramenti, e dove quindi il virus può ancora diffondersi liberamente. Per questa ragione, solo le attività davvero essenziali dovrebbero rimanere aperte.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto ieri che in questo momento di emergenza «il paese non può permettersi scioperi», ma nel frattempo il governo ha accettato di trattare con i sindacati. Una serie di incontri sono avvenuti nella giornata di martedì e mercoledì. Al termine degli incontri i sindacati hanno detto di essere soddisfatti e, nelle prossime ore, il governo doverebe annunciare le novità e di conseguenza alcuni scioperi dovrebbero essere revocati.

– Leggi anche: La questione delle fabbriche aperte

Tra le proteste che più hanno preoccupato il governo c’è quella dei benzinai, il cui inizio è previsto per questa sera, quando cominceranno a chiudere gli esercizi sulla rete autostradale. Successivamente, se lo sciopero non sarà revocato, chiuderanno anche quelli sulle strade secondarie. I benzinai lamentano di essere stati del tutto esclusi dalle misure del decreto “Cura-Italia”, il primo documento con cui il governo ha cercato di rispondere ai danni economici causati dalla pandemia da coronavirus. I sindacati hanno ricordato che i benzinai, in particolare quelli delle reti autostradali, devono pagare elevate imposte e affitti ai gestori della rete in un momento in cui i loro incassi si sono ridotti a meno del 25 per cento. Un incontro tra rappresentanti dei benzinai e il ministro dello Sviluppo economico Patuanelli è previsto per oggi pomeriggio alle 16.

– Leggi anche: Il decreto “Cura-Italia”, spiegato

Lo sciopero che coinvolgerà il numero più alto di lavoratori è probabilmente quello dei metalmeccanici di Lombardia e Lazio, iniziato oggi e che durerà otto ore. Lo sciopero coinvolge tutto il settore, tranne le aziende impegnate nella produzione di dispositivi sanitari o di immediata utilità per la Protezione Civile. Marco Bentivogli, segretario del metalmeccanici della CISL e considerato un esponente del sindacalismo moderato, ha spiegato la protesta dicendo che la Lombardia «è una regione dove sono necessarie misure più restrittive sulle attività da lasciare aperte», a causa della vasta estensione del contagio nella regione.

Per revocare gli scioperi i sindacati chiedono la riduzione delle 80 categorie di produzione (identificate con i cosiddetti codici ATECO) a cui il decreto concede di proseguire la produzione. In particolare, chiedono di cancellare o rivedere quindici categorie, tra cui call center, fabbricazione di pneumatici e camere d’aria, rigenerazione e ricostruzione di pneumatici, fabbricazione di corde, spago, funi e reti, produzione di occhiali da sole e produzioni destinate alla difesa.

– Leggi anche: Cosa può rimanere aperto

Confindustria, la principale associazione di imprenditori che raggruppa soprattutto aziende di medie e grandi dimensioni, si oppone alla riduzione dell’elenco e sostiene che ulteriori limitazioni produrranno più danni che benefici poiché sarebbe difficile distinguere tra attività essenziali e non essenziali e quindi il rischio è di danneggiare settori dell’economia importanti nella lotta alla pandemia. Il presidente dell’associazione, Vincenzo Boccia, ha aggiunto inoltre che l’attuale decreto introduce una sorta di “economia di guerra” e che con le chiusure previste dal decreto «si perdono 100 miliardi ogni 30 giorni».

Altre associazioni, come la Confapi, formata soprattutto da piccoli e medi imprenditori, sono più vicine alle richieste dei sindacati. «In questo momento la priorità è contenere il contagio del virus», ha detto a Repubblica il presidente dell’associazione, Maurizio Casasco: «Si possono chiudere tutte le attività per sette o dieci giorni, escluse quelle davvero essenziali. Lo facciamo tutti gli anni ad agosto».

Numerose imprese, in particolare quelle che hanno stabilimenti nelle aree più colpite dal contagio, avevano già deciso la chiusura una settimana fa, prima della decisione del governo. FCA, Luxottica, Brembo e gran parte delle imprese nei distretti di Brescia e Bergamo si sono fermate volontariamente o in base ad accordi con le rappresentanze sindacali locali lunedì 16 marzo.

Nel corso della giornata di martedì, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte hanno incontrato in videoconferenza i leader dei maggiori sindacati e hanno accolto alcune delle loro richieste. Dopo i nuovi incontri di oggi, il governo dovrebbe presentare nelle prossime ore una nuova lista di aziende a cui sarà consentita la produzione.

Il governo inoltre ha proposto di modificare la disciplina che regola le eccezioni al decreto. Al momento, qualsiasi azienda che ritiene di essere parte delle filiere “essenziali”, ma che non possiede un codice ATECO incluso nella lista, può proseguire la produzione semplicemente inviando una lettera al prefetto, a cui spetterà il compito di controllare in un secondo momento. In base alle modifiche proposte dal governo, il prefetto dovrà consultarsi con i sindacati a proposito di ciascuna di queste eccezioni.

La questione di quante aziende siano ancora aperte e di quante persone si recano ogni giorno al posto del lavoro e in quali condizioni di sicurezza è divenuta centrale negli ultimi giorni, mano a mano che il contagio è proseguito e le misure di quarantena si sono fatte più pesanti. Al momento non ci sono stime affidabili su quante aziende siano ancora aperte. Secondo un’indagine della Camera del Lavoro di Milano e di Radio Popolare, fino alla scorsa settimana nella sola area metropolitana di Milano circa 300 mila lavoratori impegnati in lavorazioni non essenziali sarebbero andati al lavoro, insieme a circa 600 mila lavoratori impegnati nelle produzioni essenziali.

Per tutelare i lavoratori ancora impegnati nella produzione, il governo ha stabilito dallo scorso 9 marzo stringenti norme di sicurezza che devono essere rispettate per continuare a tenere aperti i luoghi di lavoro. I dipendenti devono essere forniti di dispositivi di protezione individuale, come mascherine e guanti, e devono essere assicurate le distanze di sicurezza tra i lavoratori. I controlli però, affidati alle ASL e agli ispettorati del lavoro, sono particolarmente difficili da realizzare in questa situazione di crisi e i sindacati hanno denunciato che spesso avvengono soltanto in forma telefonica. Mentre il governo ha diffuso i dati sui controlli effettuati su privati cittadini e attività commerciali (sono centinaia di migliaia e hanno scoperto un numero di infrazioni relativamente basso), non sono stati diffusi dati sui controlli nelle aziende.

Per chiedere maggiori tutele diversi sindacati, in particolare quelli del settore della grande distribuzione, hanno scioperato negli ultimi giorni o hanno minacciato scioperi nei prossimi giorni. La Filcams Cgil della Liguria, ad esempio, ha proclamato uno sciopero dei lavoratori dei supermercati per domenica 29 marzo per chiedere una riduzione degli orari di lavoro e la chiusura dei supermercati la domenica. «Non possiamo che continuare a denunciare come le lavoratrici e i lavoratori di questo settore siano gravemente esposti a stress e pericolo di contagio da Covid-19 – ha scritto il sindacato in una nota – lavorando ben oltre il normale orario contrattuale (40/50 ore settimanali)». Domenica avevano scioperato i dipendenti della provincia di Prato e scioperi sono stati minacciati a Roma.

Altri scioperi sono avvenuti nelle aziende del settore della difesa e aerospaziale, che appartiene alle categorie “essenziali” definite dal governo. Da lunedì si è fermato lo stabilimento della Avio, che produce aerei e missili, a Borgaretto, in provincia di Torino, mentre i sindacati hanno minacciato scioperi negli stabilimenti di Leonardo, l’ex-Finmeccanica, che produce tra le altre cose apparecchiature e veicoli militari. Anche i sindacati dei bancari hanno minacciato lo sciopero e in una nota congiunta hanno scritto che «i dipendenti del settore, tra cui si registrano molti casi di positività al Coronavirus, non operano in condizioni di sicurezza». In seguito alla protesta, i sindacati hanno ottenuto una serie di concessioni, tra cui la fornitura di dispositivi di protezione individuale. Gli incontri con i clienti, inoltre, avverranno solo su appuntamento.