Non stiamo facendo tutto quello che chiede l’OMS contro il coronavirus

Le restrizioni imposte dai governi non sono sufficienti se non si segue un "approccio integrato" con molti test per scoprire i nuovi casi e isolarli subito

Il direttore dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus (EPA/SALVATORE DI NOLFI via ANSA)
Il direttore dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus (EPA/SALVATORE DI NOLFI via ANSA)

Il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus, non è soddisfatto di come i governi stanno affrontando la pandemia da coronavirus. Lo ha fatto intendere bene lunedì, nel corso nella conferenza stampa giornaliera in cui comunica gli ultimi aggiornamenti sull’epidemia, riprendendo le linee guida che l’OMS perfeziona ogni giorno e diffonde ai governi per aiutarli a contenere il coronavirus riducendo i nuovi contagi. Dopo l’Italia, negli ultimi giorni diversi paesi – come la Francia e gli Stati Uniti – hanno adottato misure per incentivare la popolazione a restare a casa e per favorire il distanziamento sociale, attraverso la chiusura di negozi, locali e vietando gli eventi pubblici. Questi provvedimenti aiutano a ridurre i contagi e quindi a rallentare la diffusione dell’epidemia, ma devono essere accompagnati da ulteriori attività, altrimenti rischiano di essere inutili.

“Approccio integrato”
Il direttore dell’OMS lo ha detto piuttosto chiaramente:

Non abbiamo assistito a un aumento sufficiente dei test, dell’isolamento degli infetti e del rintracciamento delle persone esposte, cioè della spina dorsale della risposta contro la COVID-19. Il distanziamento sociale può aiutare a ridurre la trasmissione del virus e favorire il lavoro del sistema sanitario. Lavarsi le mani e tossirsi nella piega del gomito possono ridurre i rischi per sé stessi e per gli altri. Ma da soli non sono sufficienti per spegnere questa pandemia. È la combinazione delle strategie che fa la differenza.
Come ho ripetuto in altre occasioni: tutti i paesi devono adottare un approccio integrato.

Tedros ha poi ricordato che il modo più efficace per fermare la COVID-19 è “rompere la catena del contagio” e che per farlo: “si devono testare e isolare i casi positivi”. Ha poi riassunto il concetto con un’efficace analogia:

Non si può spegnere un incendio da bendati. E non possiamo fermare questa pandemia se non sappiamo chi è infetto.

Il direttore dell’OMS si è poi rivolto esplicitamente ai governi con un chiaro messaggio, circolato molto online: “Abbiamo un semplice messaggio per tutti i paesi: test, test, test”.

L’esempio della Cina
Gli stessi concetti sono esposti, in modo più articolato, nelle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ricalcano le strategie adottate dalle autorità sanitarie cinesi nei mesi scorsi. Dopo avere identificato il coronavirus, la Cina a inizio anno si organizzò per affrontare l’emergenza sanitaria disponendo l’isolamento di intere città abitate da milioni di abitanti: dovevano rimanere in casa il più possibile, in modo che gli infetti non contagiassero altre persone. Le autorità sanitarie si accorsero però presto che il maggior numero dei contagi avveniva proprio all’interno delle famiglie, dove bastava un infetto per contagiare tutti gli altri.

Per ridurre il problema organizzarono, seppure con grandi difficoltà iniziali, un sistema per tenere meglio sotto controllo i malati e isolarli il prima possibile dai loro familiari. Il sistema prevedeva per esempio la misurazione della temperatura di chi poteva allontanarsi da casa per fare la spesa o per altri motivi, con un pre-ricovero in ambulatori pensati per i casi sospetti e isolati dagli ospedali. Nel caso in cui i test confermassero l’infezione da coronavirus, le persone interessate venivano condotte in centri (per lo più palazzetti dello sport riadattati) per gli infetti, dove le loro condizioni di salute venivano tenute sotto controllo. I casi più gravi venivano poi trasferiti in ospedali dedicati esclusivamente al trattamento della COVID-19.

Questa soluzione permise (e permette ancora) di ridurre enormemente i contagi tra familiari e di conseguenza la diffusione dell’epidemia, gravando meno sul sistema sanitario. In Italia l’isolamento ricorda quello cinese deciso nei primi giorni, ma finora ha compreso poche attività per aumentare il numero dei test e soprattutto per isolare i contagiati in strutture diverse dalle loro abitazioni. L’approccio integrato di cui parla Tedros non è quindi completo, e questo potrebbe avere conseguenze sull’andamento dell’epidemia nel nostro paese.

Isolamento dei positivi
L’OMS indica espressamente che tutti i casi confermati di COVID-19, anche con sintomi meno gravi, dovrebbero essere isolati in strutture sanitarie dedicate, in modo da ridurre il rischio di ulteriori contagi. Tedros ha riconosciuto che alcuni paesi stanno raggiungendo il limite della loro capacità ospedaliera – come sta avvenendo nel Nord Italia – e che quindi dovrebbero essere assunti altri provvedimenti, per esempio per isolare i pazienti più a rischio come anziani e individui con altre malattie. Permane comunque il suggerimento di impiegare strutture diverse dagli ospedali, come palestre e auditorium, lasciando agli ospedali solamente i casi più gravi.

Nel caso in cui non sia data un’alternativa all’isolamento domestico dei positivi, l’OMS ricorda che la presenza di un infetto mette a rischio i conviventi, che devono quindi adottare diverse misure protettive. Sia il malato sia chi se ne prende cura dovrebbero indossare una mascherina quando condividono gli stessi spazi. La persona infetta dovrebbe dormire in una stanza separata e usare un bagno dedicato. Tra tutti i conviventi, sarebbe utile che fosse solamente uno a occuparsi del malato, possibilmente la persona più in salute.

Test
Effettuando molti test, segnala sempre l’OMS, in media si isolano prima gli infetti riducendo il rischio che possano contagiare altre persone. Il problema è che non tutti i paesi hanno laboratori e strutture adeguate per svolgere un alto numero di test. In Italia, per esempio, sono stati effettuati finora circa 130mila tamponi, circa la metà di quelli effettuati in Corea del Sud: e si fanno i tamponi soltanto su chi presenta sintomi importanti. Negli Stati Uniti, paese cui Tedros ha fatto più volte indirettamente riferimento, per ora i test eseguiti sono stati poco più di 25mila su una popolazione che è circa cinque volte quella italiana.

Consigli, non imposizioni
L’OMS può fornire linee guida e informazioni medico-scientifiche ai governi, ma non può imporre l’adozione di determinate misure. Fondata nel 1946, l’Organizzazione è un’agenzia speciale delle Nazioni Unite e comprende più di 190 paesi, che inviano periodicamente le loro delegazioni per collaborare a progetti di sanità pubblica e per lavorare nei periodi di emergenza, come l’attuale.

In oltre 70 anni di attività, l’OMS ha reso possibile il coordinamento su scala globale di iniziative sanitarie estremamente ambiziose, soprattutto per eradicare alcune malattie contagiose come il vaiolo (è successo nel 1979) e la poliomielite (un risultato che sembrava essere ormai prossimo, ma che negli ultimi anni ha subìto qualche intoppo).