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  • Venerdì 13 marzo 2020

Gli Stati Uniti corrono ai ripari, un po’

Trump e Pence hanno annunciato lo "stato d'emergenza", cercando di rimediare alle sottovalutazioni delle settimane scorse

Donald Trump durante la conferenza stampa di venerdì(AP Photo/Evan Vucci)
Donald Trump durante la conferenza stampa di venerdì(AP Photo/Evan Vucci)

Solo 48 ore dopo avere rassicurato che “il rischio per il popolo americano è basso” e che la situazione era sotto controllo, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha convocato una conferenza stampa per dichiarare lo “stato di emergenza” – «due parole forti», ha commentato – rispetto alla diffusione del coronavirus (SARS-CoV-2).

L’intervento è volto a “rimuovere gli ostacoli” che possano limitare gli interventi delle autorità pubbliche e degli stati per attenuare l’estensione del contagio, e autorizzare maggiori spese pubbliche (stanziando “fino a 50 miliardi di dollari”). In sostanza Trump ha annunciato che garantirà maggiori autonomie e libertà a istituzioni amministrative, politiche e sanitarie nelle scelte da prendere. Ma l’impressione è stata ancora una volta di iniziative non strutturate e di un tentativo di non ammettere le sottovalutazioni delle scorse settimane: tentativo mostrato dalla grande insistenza dei molti coinvolti nella conferenza stampa (non solo il vicepresidente Pence e il team di responsabili, ma anche alcuni dirigenti di grandi aziende coinvolte negli interventi di assistenza) nell’esaltare la pretesa efficacia di alcune limitazioni sui viaggi introdotte nelle settimane scorse. “Grazie a quelle siamo in una posizione migliore”, hanno ripetuto Pence e Trump, e l’esperto infettivologo Anthony Fauci.

Ma la scarsa attitudine progettuale è stata rivelata anche dall’uso frequente di espressioni astratte e retoriche, e in alcuni casi confuse, come: “la nostra arma più efficiente ora è limitare il danno”. Trump ha anche ritenuto di aggiungere, rispondendo a una domanda, che “i Democratici non stanno facendo abbastanza per il paese”.

Pence ha annunciato che il coronavirus risulta presente in 46 dei 50 stati, e che maggiori rilievi dei dati sono stati affidati a Google (Google ha successivamente smentito). Trump ha insistito molto sull’attività di verifica dei casi di contagio e sul rafforzamento di questa attività (“riscontreremo tassi di contagio bassi” ha aggiunto la coordinatrice medica della Casa Bianca Deborah Birx). E ha anche detto che gli Stati Uniti compreranno eccezionali riserve di petrolio, approfittando del calo dei prezzi. A una domanda sul fare tesoro delle esperienze degli altri paesi, come l’Italia, Trump si è limitato a dire che gli Stati Uniti stanno collaborando con tutti, che gli altri paesi lo chiamano per avere consigli, e che l’Italia ha fatto interventi molto forti che presto daranno dei risultati.

I casi confermati di coronavirus negli Stati Uniti sono oltre 1.200, con 36 morti accertate. Sono concentrati soprattutto nello stato di Washington, e in particolare a Seattle, nello stato di New York e in California. Nei giorni scorsi diverse città, contee e stati americani avevano già dichiarato lo stato di emergenza a livello locale. Da giorni si parla di come il governo statunitense si stesse preparando all’arrivo del coronavirus, i cui contagi secondo esperti e scienziati sono certamente destinati ad aumentare, anche se è impossibile sapere fino a che punto.

Pochi giorni fa la rivista Science, tra le più prestigiose al mondo, aveva pubblicato un duro editoriale contro la gestione delle misure contenitive decise da Trump, e criticando il modo in cui aveva parlato del virus. Soltanto quattro giorni fa, infatti, Trump aveva paragonato il coronavirus alla normale influenza stagionale per minimizzare i rischi legati all’epidemia: un’analogia fuorviante e pericolosa, come spiegato abbondantemente da scienziati e virologi nelle scorse settimane.

Nelle aree degli Stati Uniti maggiormente interessate dal contagio, i governatori e i sindaci hanno cominciato ad imporre misure restrittive simili a quelle viste nei primi giorni dell’epidemia in Italia: lezioni sospese, eventi sportivi a porte chiuse e cancellazione degli eventi sopra a un certo numero di persone.

Lo stato di emergenza comunque non è un provvedimento particolarmente raro, e a cui anzi i presidenti americani fanno ricorso con una certa frequenza. La maggior parte delle volte serve però a prendere provvedimenti speciali che non sono necessariamente lo stanziamento di fondi: principalmente è usato per disporre di sanzioni straordinarie su paesi e individui stranieri. Trump lo aveva già dichiarato quattro volte, tra cui per ottenere i fondi necessari alla costruzione del muro al confine tra Stati Uniti e Messico (circostanza considerata da molti non “di emergenza”). Quelle legate alla salute pubblica sono molto più rare, tra le ragioni delle dichiarazioni di questo tipo: l’ultima volta che negli Stati Uniti era stato dichiarato uno stato di emergenza per ragioni sanitarie risale al 2009, con Barack Obama, che lo decise per via dell’epidemia di febbre suina.