Le conseguenze economiche dell’epidemia

Nel nostro paese colpirà soprattutto settori come lusso, turismo ed eventi, e alla fine il coronavirus potrebbe costarci almeno qualche decimo di punto percentuale di PIL

(Ansa/Matteo Corner)
(Ansa/Matteo Corner)

L’epidemia di coronavirus in Italia ha già causato diversi danni dal punto di vista economico: in Lombardia e Veneto – le due regioni economicamente più rilevanti del paese – negozi e attività stanno chiudendo in anticipo, mentre grandi eventi e manifestazioni nelle aree interessate dai principali focolai sono stati cancellati. Prima della fine dell’epidemia è probabile che la situazione peggiorerà ancora, ma con quali conseguenze economiche concrete?

Nell’attuale situazione di incertezza è molto difficile fornire una risposta: molto dipenderà dall’andamento dell’epidemia e, soprattutto, dalla nostra reazione e dai nostri comportamenti. Per esempio, se l’obbligo di chiusura per i locali sarà esteso e proseguirà a lungo, oppure se le persone avranno troppa paura per uscire, il settore della ristorazione potrebbe subire danni molto consistenti. Ma è difficile prevedere oggi cosa accadrà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.

Un primo tentativo di stima degli effetti complessivi a cui potremmo assistere è stato fatto sabato dal presidente della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che da Riad, in Arabia Saudita, dove si trova per il vertice del G20 ha fornito una prima stima delle possibili conseguenze economiche: l’Italia potrebbe perdere più dello 0,2 per cento di PIL, a fronte di un calo del PIL globale dello 0,1 per cento. Nei prossimi giorni, probabilmente, saranno prodotte nuove stime più precise (e, probabilmente, più pessimistiche: alcuni analisti privati parlano già di un “plausibile” calo dell’1 per cento del PIL).

Ieri il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha detto che il governo è pronto a rivedere le sue stime, che al momento prevedono per l’Italia una crescita del PIL pari allo 0,6 per cento (ritenuta troppo ottimistica anche prima dell’epidemia). Secondo diverse stime effettuate da centri di ricerca privati, il calo del PIL dovuto al coronavirus potrebbe portare l’Italia in una lieve recessione, con un calo del PIL pari allo 0,1-0,2 per cento.

Simili percentuali difficilmente producono effetti a catena percepibili dalla grande maggioranza della popolazione, ma se gli effetti economici si concentrano solo su alcuni settori i danni possono essere particolarmente gravi. E questo è proprio quello che sembra destinato ad accadere con l’attuale epidemia.

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I locali pubblici, alcuni dei quali in regioni come la Lombardia sono obbligati a chiudere molto presto, sono tra le attività più colpite a causa del timore che le persone hanno di uscire di casa e di andare in posti molto frequentati. Per le stesse ragioni il settore degli eventi e di tutto il comparto fieristico collegato è destinato a subire grossi danni, sia per i timori dei singoli sia per le decisioni di governi locali e nazionali. Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, ad esempio, hanno già cancellato tutte le fiere previste per il mese di marzo; il Carnevale di Venezia, un evento con un giro d’affari di circa 60 milioni di euro l’anno, è stato sospeso in anticipo, mentre la settimana della moda a Milano si è celebrata con diverse sfilate a porte chiuse, senza pubblico.

Il settore del lusso è un altro tra quelli che saranno colpiti con particolare durezza. I timori di un anno difficile si erano già diffusi nelle scorse settimane, quando era emersa la gravità dell’epidemia in Cina e gli operatori del settore avevano iniziato a preoccuparsi per la diminuzione degli arrivi di acquirenti dalla Cina. Ora che l’epidemia si è diffusa in Italia il problema è destinato a peggiorare, con una ulteriore riduzione negli arrivi di visitatori, intimoriti in particolare dalla diffusione dell’epidemia vicino alla città di Milano, la città più importante per questo tipo di turismo.

Non saranno solo i ricchi frequentatori di negozi di lusso a ridurre le loro visite in Italia. L’intero settore turistico si prepara a un anno complicato, con migliaia di cancellazioni di prenotazioni già registrate. «Abbiamo avuto migliaia di cancellazioni di viaggi, non ci sono più prenotazioni e non le avremo nella seconda metà del 2020», ha detto Marina Lalli, vicepresidente di Federturismo al sito Formiche.net: «Purtroppo ci troviamo davanti a una sorta di pregiudizio che si è creato sulla nostra nazione, ci hanno bollato come il secondo focolaio del mondo dopo la Cina. E questo ci sta creando un danno enorme».

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Altri problemi potrebbero esserci per uno dei principali settori dell’industria italiana, quello dei macchinari, di cui il nostro paese, insieme alla Germania, è il leader mondiale. È quel settore che produce macchine di ogni tipo destinate ad uso industriale. Per esempio, in Emilia si trova uno dei principali distretti mondiali per la produzione di macchinari per il packaging. Questo genere di macchinari si compone di migliaia di singole parti, molte delle quali vengono prodotte in Cina e assemblate in Italia. Il problema, in questo caso, non è tanto la diffusione del virus in Italia, ma le difficoltà che potrebbero avere i fornitori cinesi. Basta che manchi un singolo componente perché la sua fabbrica in Cina ha sospeso i lavori a causa dell’epidemia, e l’intera produzione di un’azienda in Veneto o Lombardia potrebbe bloccarsi.

È un problema particolarmente sentito anche nell’industria automobilistica, un altro settore che per la sua produzione si approvigiona di componentistica cinese. «Tutti quanti si riforniscono dalla Cina. Nessuno può dire di non essere coinvolto dall’epidemia», ha detto al Financial Times Tu Le, fondatore della società di consulenza China Auto Insight. L’industria dell’automobile nel frattempo sta soffrendo anche un secondo problema, ossia il calo della domanda in Cina: nella prima metà di gennaio le vendite nel paese sono calate del 92 per cento rispetto al gennaio del 2019 (è possibile però che sia solo un effetto temporaneo e che nella seconda metà dell’anno le vendite vedranno un “rimbalzo”, se la crisi dovesse finire).

L’insieme di queste preoccupazioni e di queste previsioni si riflette nel suo complesso sull’andamento della borsa italiana. Lunedì, il primo giorno di contrattazioni dopo la scoperta dei focolai in Lombardia e Veneto, il principale indice ha perso 5 punti percentuali, il calo più importante degli ultimi cinque anni. Nella mattina di martedì la situazione sembra essersi stabilizzata e l’indice perde circa mezzo punto percentuale.

Una possibile soluzione per limitare questi danni è l’intervento pubblico, che può andare dalla sospensione o cancellazione del pagamento delle imposte (come sta già avvenendo nelle cosiddette “zone rosse”) fino agli interventi di sostegno più diretto, come certe forme di cassa integrazione con cui, di fatto, la fiscalità generale si fa carico del pagamento degli stipendi dei lavoratori non attivi. Per farlo però sarà necessario ampliare il deficit pubblico: cosa che, in questa situazione di emergenza, sembra che per una volta non sarà troppo complicato. Da Riad il presidente della Banca d’Italia Visco ha già mandato segnali in questo senso dicendo che se l’economia non mostrerà rapidamente un “rimbalzo” bisognerà ricorrere a politiche fiscali: i governi cioè dovranno spendere più soldi per ridurre l’impatto della crisi.