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  • Lunedì 17 febbraio 2020

Si vota in Iran, e sappiamo già come finirà

Venerdì si rinnova il parlamento, ma migliaia di candidati riformisti sono stati esclusi dalle liste elettorali

(AP Photo/Vahid Salemi)
(AP Photo/Vahid Salemi)

Venerdì in Iran si vota per rinnovare tutti i 290 seggi del parlamento nazionale, 285 eletti direttamente e 5 riservati a minoranze etniche e religiose. Il parlamento iraniano non è l’organo più potente in Iran – sono più influenti la Guida suprema e il presidente – ma le elezioni di venerdì vengono considerate molto importanti per almeno due ragioni: saranno le prime dalla morte del generale Qassem Suleimani, ucciso in un attacco statunitense a inizio gennaio, e molto probabilmente saranno le meno competitive degli ultimi anni, a causa dell’esclusione dalle liste elettorali di migliaia di candidati riformisti.

La questione di cui si è parlato di più in Iran nelle settimane precedenti alle elezioni è il complicato processo di ammissione dei candidati, gestito completamente dal Consiglio dei guardiani, organo molto legato alla parte più conservatrice del paese.

Il Consiglio dei guardiani è un organo formato da 12 membri, sei religiosi e sei giuristi, tutti vicinissimi alla Guida suprema, l’ultraconservatore Ali Khamenei (i religiosi sono nominati direttamente da Khamenei, i giuristi indirettamente). Con l’eccezione delle elezioni parlamentari del 1980, le prime dopo la Rivoluzione khomeinista del 1979, il Consiglio dei guardiani ha sempre esercitato un controllo molto rigido sulle candidature, assicurandosi che il potere rimanesse alla fazione più conservatrice, quella legata alla Guida suprema e alle Guardie rivoluzionarie, corpo militare a cui apparteneva anche il generale Suleimani.

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Questa volta, però, la censura è stata ancora più dura: di fatto il Consiglio dei guardiani ha estromesso quasi completamente dalle elezioni la fazione dei riformisti – la più conciliante con l’Occidente – che di fatto rimarrà senza rappresentanza. Ha inoltre escluso un’ottantina di parlamentari uscenti, molti dei quali con posizioni più moderate della Guida suprema, e diversi conservatori poco radicali.

In tutto, ha scritto Reuters, sono stati esclusi 6.850 candidati su circa 14mila che si erano presentati.

Manifestazione a Teheran in occasione del 41esimo anniversario della rivoluzione iraniana (AP Photo/Ebrahim Noroozi)

Moltissime esclusioni sono state decise per ragioni politiche, anche se giustificate pubblicamente con presunte mancanze nei requisiti previsti dalla legge: per esempio si è parlato di candidati che non erano abbastanza fedeli alla Repubblica Islamica – mettere in discussione l’impianto istituzionale iraniano non è consentito – o che non erano sufficientemente praticanti della religione musulmana.

In generale, nel periodo pre-elettorale gli ultraconservatori hanno potuto muoversi con più libertà e impunità del solito a causa in parte delle conseguenze provocate dall’uccisione di Suleimani. Considerato uno degli uomini più potenti in Iran e molto vicino alla Guida suprema Khamenei, Suleimani è stato ucciso a inizio gennaio da un attacco mirato ordinato dal presidente Donald Trump, che negli ultimi due anni aveva adottato un atteggiamento particolarmente duro nei confronti dell’Iran.

In particolare, nel maggio 2018 Trump aveva annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, firmato tre anni prima dal governo di Barack Obama e che in Iran era stato voluto soprattutto dalla fazione più moderata, guidata dal presidente Hassan Rouhani. Il ritiro degli americani aveva delegittimato molto gli sforzi degli iraniani più moderati di cercare un dialogo con l’Occidente, e aveva rafforzato le posizioni più intransigenti degli ultraconservatori, che avevano sostenuto che gli Stati Uniti non fossero un paese affidabile.

Anche per questa ragione, la situazione politica attuale dei partiti iraniani meno conservatori non è particolarmente buona.

Rouhani, a capo della fazione dei moderati, non è nemmeno più considerato una seria minaccia dai conservatori, che di recente hanno abbandonato l’idea di procedere contro di lui con l’impeachment. Il presidente ha infatti perso molta della sua forza proprio a causa del ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare, che però non è ancora ufficialmente saltato del tutto, soprattutto grazie agli sforzi dei paesi europei per tenerlo in piedi.

Il presidente Hassan Rouhani davanti all’immagine della Guida suprema Ali Khamenei (AP Photo/Ebrahim Noroozi)

Anche i riformisti, la corrente “più a sinistra”, stanno attraversando un periodo di grande crisi: la repressione contro di loro iniziò durante la cosiddetta Onda Verde, le grandi proteste anti-regime dell’estate 2009, e sta continuando ancora oggi.

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L’obiettivo degli ultraconservatori è quindi imporre il proprio controllo anche sul parlamento, sfruttando la debolezza degli altri partiti e il forte sentimento nazionalistico emerso durante la crisi con gli Stati Uniti e dopo l’uccisione di Suleimani. Il parlamento è infatti uno dei pochi organi in cui finora era stata permessa la presenza di partiti meno legati a Khamenei, anche quelli favorevoli a introdurre importanti riforme nella società iraniana.

Un dato da guardare sarà quello dell’affluenza: una bassa affluenza favorirà probabilmente i conservatori, perché potrebbe significare che molti moderati delusi da Rouhani e riformisti senza rappresentanza avranno deciso di non andare a votare.