La lotta tra mafia e sindacati per i bagel di New York

Una storia iniziata negli anni Venti con scontri tra famiglie criminali, scioperi vittoriosi e maledizioni yiddish

Bagel appena bolliti in un forno nel Queens, New York, 1963
(AP Photo/Dan Grossi)
Bagel appena bolliti in un forno nel Queens, New York, 1963 (AP Photo/Dan Grossi)

Prima di diventare un cibo alla moda, associato a New York e conosciuto in mezzo mondo, i bagel – un pane a forma di ciambella di origine ebraica, bollito brevemente in acqua e poi cotto al vapore – erano sconosciuti alla maggior parte degli americani e mangiati solamente dalle comunità ebraiche.

Quando i giornali ne scrivevano, non davano mai per scontato che i lettori sapessero cosa fossero: nel 1960 il New York Times li definiva «ciambelle non dolci con rigor mortis», per alludere alla loro consistenza compatta. In quegli anni il mercato dei bagel era molto proficuo, dovendo servire tutta la comunità ebraica di New York, e finì per attirare l’attenzione della mafia italoamericana: le due potenti famiglie Lucchese e Genovese si allearono per controllarlo e cercarono di piegare inutilmente il potente sindacato dei panificatori di bagel, il Local 338.

La storia, che si snoda dagli anni Venti agli anni Settanta del Novecento, è stata raccontata su Grub Street dal giornalista Jason Turbow, pro-nipote di uno dei fondatori del Local 338.

Turbow scrive che negli anni Venti i bagel venivano fatti a mano a Manhattan da ebrei immigrati dall’Europa Orientale. Le condizioni di lavoro erano tremende: si panificava negli scantinati degli appartamenti o di altri edifici dotati di una fornace a carbone convertita in forno; le temperature potevano raggiungere quasi i 50 gradi centigradi e i fornai stavano spesso in mutande, anche d’inverno, in posti infestati da ratti e scarafaggi.

Molti di loro, poveri e sfiniti dai turni, vivevano in queste stanze, dormendo a terra sui sacchi di farina vuoti. Era una vita talmente disgraziata da dare origine a una maledizione in yiddish, la lingua parlata dagli ebrei ashkenaziti dell’Europa dell’Est: Lig in der erd un bak beygl, Dormi a terra e cuoci bagel.

Alla fine degli anni Venti i panificatori di bagel fondarono lo Union Local 338, un sindacato che in poco tempo riuscì a regolamentare i turni di lavoro, alzare i salari al livello di quelli di elettricisti e idraulici, ottenere le ferie pagate, le pensioni, l’assicurazione sulla vita. I suoi iscritti erano praticamente gli unici in grado di cuocere un bagel come si deve, e chiunque avesse voluto aprire un negozio di bagel in città doveva assumere uno dei suoi iscritti.

Chi non seguiva le regole, si ritrovava i picchetti fuori dal forno e finiva per cedere. Il Local 338 divenne un’organizzazione chiusa e potente, dove erano ammessi solo i figli dei fondatori, e poi i loro nipoti, e così via, con rare eccezioni per generi e figli di fratelli. Fino agli anni Cinquanta la lingua con cui si comunicava nel sindacato era lo yiddish, cosa che lo rese ancora più impenetrabile.

Le rivendicazioni degli artigiani non ebbero conseguenze negative sugli affari. Negli anni Sessanta, a New York, venivano venduti più di due milioni di bagel a settimana e il mercato si stava espandendo oltre la città; i guadagni toccavano i 20 milioni di dollari all’anno. I proprietari di negozi e forni si arricchirono: «compravano case eleganti a Long Island, guidavano auto alla moda, mandavano i figli in università prestigiose» e attirarono ben presto l’attenzione della mafia italoamericana.

Tra loro c’era Giovanni Ignazio Dioguardi, detto Johhny Dio, un boss della famiglia Lucchese che aveva fatto fortuna controllando i sindacati; era anche amico del controverso Jimmy Hoffa e nel 1957 aveva contribuito, controllando il voto di sindacati inesistenti che aveva fondato, alla sua elezione a leader della International Brotherhood of Teamsters, il potente sindacato degli autotrasportatori.

Nel 1963 Dioguardi, che aveva 49 anni, era uscito dal carcere dopo tre anni per evasione fiscale. Si mise a lavorare per l’azienda Consumer Kosher Provisions, che commerciava carne kosher, cioè macellata secondo le norme religiose e che poteva essere mangiata dagli ebrei osservanti. Consumer era in lotta per il controllo del mercato di carne kosher con la rivale American Kosher Provisions: quest’ultima si appoggiava al criminale Max Block, che aveva rapporti con la mafia, per minacciare i proprietari dei supermercati forzandoli a comprare i suo prodotti.

Dioguardi convinse così il proprietario di Consumer, Herman Rose, a farsi assumere: si spacciava come un modesto venditore di wurstel che ogni giorno usciva dalla casa alle 4 del mattino e faceva consegne per ore nello stato di New York, mentre minacciava i negozianti di agitare i sindacati contro di loro se non avessero preferito la carne di Consumer.

Dopo la morte di Rose, avvenuta nel 1964, Johnny Dio si servì di una società fondata da Rose nel Bronx e chiamata First National Kosher Provisions per arricchirsi: trasferì tutte le proprietà di Consumer nella First National e poi si nominò amministratore dell’azienda, aumentando il suo salario da 250 dollari a settimana a 250mila dollari all’anno.

La mafia controllava  le due principali aziende di carne kosher di New York, abbassando la qualità e alzando i prezzi; non pago, Johnny Dio costrinse a una fusione forzata American Kosher e smembrò la nuova azienda in piccole aziende, che vennero poi acquistate da una più grande società fittizia. Una volta scoperta, questa intricata organizzazione venne definita dai giornali dell’epoca “Kosher Nostra”.

Dioguardi succhiò tutti i soldi che poté ma nel 1966 venne incriminato per bancarotta fraudolenta e fu condannato a cinque anni di carcere; i suoi avvocati riuscirono a ritardare l’arresto per quattro anni lasciandogli il tempo di mettere le mani sulla fiorente industria ebraica dei bagel.

Intanto nel 1966 Ben Willner aveva fondato nel Bronx la W&S Baking Corporation, un negozio che produceva bagel industriali con manodopera non specializzata e non iscritta al sindacato. Willner comprò una avveniristica macchina per fare i bagel messa a punto dal canadese Daniel Thompson, figlio e nipote di artigiani di bagel; così poté produrne, con un solo inesperto operaio, grandi quantità a basso costo. Il suo negozio era abbastanza lontano dalla sfera di controllo di Local 338, che non si accorse di niente, mentre i suoi bagel erano distribuiti dalla stessa società di trasporto usata dalla Consumer di Dioguardi, che adocchiò subito le potenzialità e si offrì di aiutare Willner con il suo solito metodo: i bagel W&S spuntarono rapidamente nei negozi e nei supermercati ebraici di tutta New York.

La cosa non fu vista bene dai proprietari di un negozio aperto da poco, nel 1964, a Brooklyn, il Bagel Boys. Tra i suoi proprietari c’era Thomas Eboli, capo della famiglia Genovese, rivale ma più potente della famiglia Lucchese di Johnny Dio. Venne subito organizzato un incontro tra Eboli e Dioguardi, che scaricò saggiamente W&S e fornì i suoi contatti nel mondo alimentare a Eboli. W&S chiuse e i suoi macchinari finirono nel forno di Bagel Boys: una chiara violazione delle regole del sindacato, che consentivano di vendere solo bagel fatti artigianalmente dai suoi iscritti.

Local 338 rispose con picchetti, denunce pubbliche, volantini che invitavano a non comprare da Bagel Boys accusandolo di «mettere a repentaglio gli standard di lavoro e di controllo duramente conquistati» e distribuendo bagel gratuiti. Funzionò, dopo una settimana alcuni esponenti del sindacato vennero minacciati a morte e fu organizzato un incontro tra gli esponenti di Local 338 e i proprietari di Bagel Boys. I mafiosi cercarono di convincere e corrompere in molti modi (tra cui la firma di un contratto a patto che non venisse rispettato) il sindacato, che però si oppose categoricamente, proponendo come unica soluzione l’adozione del contratto sindacale con l’assunzione dei suoi panificatori. Alla fine Eboli cedette e firmò il contratto.

Mentre la mafia capitolava, una peggiore minaccia ai bagel artigianali di Manhattan stava crescendo non molto lontano: quelli industriali di Lender’s bagels. Aveva aperto nel 1927 a New Haven, in Connecticut, fuori dalla zona di controllo di Local 338 e negli anni Cinquanta aveva iniziato a produrre meccanicamente i primi bagel, che vendeva congelati e impacchettati ai supermercati. Negli anni Sessanta si mise a fabbricarli con i macchinari Thompson, che consentirono di incrementare la produzione e tagliare i costi: tre operai non specializzati potevano produrre tanti bagel quanti otto abili artigiani. Nel 1965 Lender’s aprì una fabbrica da mille metri quadri e si avviò a diventare una delle principali, se non la più grande, azienda produttrice di bagel al mondo.

La strategia di Lender’s era di rendere i bagel più facili da trovare, economici e di farli conoscere fuori dalla comunità ebraica. Non solo li vendevano congelati ai supermercati, ma li fornivano, crudi, anche ai negozi, che potevano cuocerli e venderli sul posto. Arrivarono così anche nel territorio del Local 338. La famiglia Genovese si offrì di bloccare la consegna di bagel in città in cambio di 50mila dollari ma il sindacato rifiutò e cercò invece di controllare direttamente Lender’s. Negli Stati Uniti i dipendenti devono votare perché la loro azienda si iscriva a un sindacato e quelli di Lender’s – secondo Turbow su pressione dei proprietari – votarono contro.

Local 338 non riuscì a fermare il flusso di bagel industriali e la sua debolezza fu chiara nel 1967, quando i picchetti contro una proposta di tagli contrattuali non ebbero, per la prima volta, alcun effetto: i supermercati avevano scorte di bagel congelati e i negozi potevano sfornare quelli fragranti di Lender’s; dopo mesi di sciopero molti panificatori tornarono al lavoro. Il colpo finale arrivò con il forno rotante in acciaio inossidabile che permise di preparare e cuocere bagel molto più facilmente: a New York spuntarono uno dopo l’altro centinaia di negozi, quasi tutti non iscritti al sindacato.

Nel 1971 Local 338 si ritrovò con solo 152 iscritti: il primo luglio di quell’anno votarono per confluire nel Local 3, un sindacato di panificatori più generale, riconoscendo di fatto la loro fine.