I 40 anni dalla morte di Piersanti Mattarella

La storia del fratello del presidente della Repubblica, fatto uccidere dalla mafia il 6 gennaio del 1980

(ANSA)
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Il 6 gennaio del 1980, a Palermo, un sicario uccise con una serie di colpi di pistola Piersanti Mattarella, allora presidente della Regione Sicilia, nonché fratello dell’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Mattarella fu ucciso davanti a casa sua, in via della Libertà, dopo che era appena entrato in macchina insieme alla moglie, ai due figli e alla suocera per andare a messa. Tra i primi soccorritori ci fu proprio il fratello Sergio, che estrasse il corpo di Piersanti dall’auto, come si vede in una celebre foto scattata in quei momenti.

Piersanti era nato sei anni prima di Sergio, nel 1935, a Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani. Suo padre Bernardo, da poco laureato in giurisprudenza, pochi anni dopo sarebbe stato tra i fondatori della Democrazia Cristiana, in periodo fascista, per poi assumere incarichi nei governi del Comitato di liberazione nazionale. Tra il 1953 e il 1966 fu diverse volte ministro nei vari governi della DC.

Per via delle attività politiche del padre, Piersanti si trasferì a Roma con la famiglia nel 1948, dove si laureò in giurisprudenza alla Sapienza e prese parte all’Azione Cattolica.

Alla fine degli anni Cinquanta tornò in Sicilia per lavorare all’università di Palermo, si sposò e iniziò a fare politica con la DC. Nel 1964 diventò consigliere comunale nel periodo che oggi viene ricordato come “sacco di Palermo”, cioè lo sregolato boom edilizio che coinvolse la città per via delle concessioni dei politici siciliani Salvo Lima e Vito Ciancimino.

Nel 1967 Piersanti Mattarella fu eletto all’Assemblea regionale, dove iniziò a distinguersi per il suo approccio trasparente alla politica e le sue battaglie contro la corruzione.

In quello stesso periodo suo padre Bernardo fu accusato di collusioni mafiose dal sociologo Danilo Dolci: la cosa finì in tribunale, e Dolci venne condannato per diffamazione. Mattarella rimase nell’Assemblea per due legislature, durante le quali fu anche assessore al Bilancio, occupandosi principalmente dei conti della Sicilia, con ottimi risultati e ricevendo anche il sostegno del Partito Comunista Italiano.

Nel 1978, infine, l’Assemblea lo elesse presidente della regione con la più larga maggioranza di sempre, a capo di una giunta di centrosinistra e con l’appoggio esterno del PCI.

A capo del suo gabinetto Piersanti Mattarella nominò Maria Grazia Trizzino, prima donna a ricoprire l’incarico. Nel suo staff c’era anche Leoluca Orlando, dal 2012 sindaco di Palermo.

Da presidente, Mattarella applicò con ancora più rigidità il suo approccio trasparente e in aperta sfida alla mafia, soprattutto nel settore degli appalti e dell’urbanistica, dove invertì la tendenza delle amministrazioni locali siciliane di quegli anni combattendo la speculazione e andando contro gli interessi degli imprenditori edili collusi con la mafia. Mattarella accentrò su di sé molte decisioni solitamente riservate agli assessorati, pretese criteri più rigidi per la nomina dei dirigenti pubblici, ordinò inchieste sulle amministrazioni locali sospettate di corruzione e razionalizzò il funzionamento della Regione.

Nel 1978, dopo l’omicidio dell’attivista di sinistra Peppino Impastato, Piersanti Mattarella andò a Cinisi e tenne un duro discorso contro Cosa Nostra. L’anno dopo, quando il deputato comunista Pio La Torre accusò l’assessorato all’Agricoltura siciliano di essere corrotto dalla mafia, Mattarella si unì a lui richiedendo maggiore trasparenza e legalità, stupendo tutti. La Torre fu poi ucciso dalla mafia nel 1982.

L’auto di Piersanti Mattarella dopo l’omicidio. (ANSA)

Il 6 gennaio 1980, mentre stava andando a messa con moglie, suocera e figli, Piersanti Mattarella venne ucciso a colpi di pistola, a bordo della sua Fiat 132.

Inizialmente si parlò di attentato terroristico, perché ci fu la rivendicazione di un gruppo neofascista. Le indagini successive, tra cui quella del 1991 del magistrato Giovanni Falcone, sostennero che gli esecutori materiali fossero stati i neofascisti Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, ma che avessero agito su ordine della mafia. In seguito i pentiti Tommaso Buscetta e Gaspare Mutolo identificarono l’omicidio di Piersanti Mattarella come compiuto unicamente dalla mafia.

Nonostante gli esecutori materiali non siano mai stati identificati con certezza, furono condannati in via definitiva come mandanti i boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nené Geraci.