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  • Sabato 23 novembre 2019

Arriva Bloomberg?

La sua candidatura alle primarie dei Democratici sembra sicura: ieri ha comprato 30 milioni di dollari di spazi pubblicitari televisivi, mostrando quanto sia in grado di spendere

(Yana Paskova/Getty Images)
(Yana Paskova/Getty Images)

Venerdì Michael Bloomberg, imprenditore miliardario ed ex sindaco di New York, ha comprato spazi pubblicitari televisivi per la prossima settimana per un valore complessivo di 30 milioni di dollari, confermando di fatto la sua imminente candidatura alle primarie dei Democratici per le presidenziali del 2020.

Bloomberg, scrivono i giornali, ha comprato spazi pubblicitari in quasi tutti gli stati degli Stati Uniti e da lunedì prossimo comincerà a trasmettere uno spot autobiografico di circa 60 secondi. Citando documenti ufficiali legati alla trasmissione di messaggi elettorali, i giornali dicono che Bloomberg ha speso 1,6 milioni di dollari per la pubblicità nella zona di New York, 1,5 milioni per Los Angeles, 1,2 milioni per Houston e 1,1 milioni di Miami. I suoi spot verranno trasmessi dalle 5 di mattina fino a sera inoltrata e che tra gli altri spazi pubblicitari comprati da Boomberg ce n’è anche uno da 60 secondi durante il famoso talent show The Voice, che negli Stati Uniti è trasmesso da NBC.

Per ora non ci sono ancora state conferme ufficiali della candidatura di Bloomberg. Della cosa però si parla con sempre maggiore insistenza da mesi, e a inizio novembre il New York Times aveva scritto che Bloomberg aveva già presentato i documenti e le firme necessarie per candidarsi alle primarie in Alabama (dove si voterà a marzo). Poi ha fatto la stessa cosa anche per le primarie dei Democratici in Arkansas e in Texas. Commentando la notizia degli spazi acquistati venerdì, uno stretto collaboratore di Bloomberg ha risposto a un giornalista di Politico con un messaggio che diceva solo “Stay tuned” (“resta sintonizzato”), lasciando intendere che potrebbero presto esserci novità.

I 30 milioni di dollari spesi da Bloomberg per una settimana di spazi televisivi sono comunque un’enormità, abbastanza da aver generato già qualche agitazione tra gli altri candidati alle primarie dei Democratici: sono più di quanto abbiano speso tutti insieme gli altri candidati per la pubblicità in televisione dall’inizio della campagna elettorale (escludendo solo il miliardario Tom Steyer) e possono far capire quale potrebbe essere l’effetto della candidatura di Bloomberg. Come ha spiegato a Politico Fernand Amandi – consulente elettorale del partito Democratico –, Bloomberg potrebbe spendere in un giorno quello che altri candidati potrebbero spendere in tutta la loro campagna elettorale.

Michael Bloomberg, 77 anni, è uno dei dieci uomini più ricchi degli Stati Uniti, con un patrimonio stimato di circa 54 miliardi di dollari. Il miliardario e filantropo Tom Steyer, che aveva annunciato la sua candidatura a luglio, ha un patrimonio di circa 1,6 miliardi di dollari. L’attuale presidente Donald Trump ha un patrimonio di circa 3 miliardi di dollari. Per finanziare la sua campagna elettorale, Bloomberg non dovrebbe quindi nemmeno fare troppo affidamento su finanziamenti e donazioni, potendo spendere liberamente enormi somme di denaro. Per questa ragione, la sua eventuale candidatura ha già ricevuto diverse critiche, di chi pensa che così tanti soldi possano distorcere la campagna elettorale creando un ingiusto vantaggio per Bloomberg.

Steve Bullock, governatore Democratico del Montana e squattrinato candidato alle primarie, ha parlato su Twitter di «un altro miliardario che pensa che le primarie siano in vendita». Il ben più noto candidato Bernie Sanders ha scritto invece di essere «disgustato dall’idea che Michael Bloomberg o qualunque altro miliardario pensino di poter scavalcare il processo politico e spendere decine di milioni di dollari per comprare le elezioni. Se non sei in grado di costruire sostegno dal basso per la tua candidatura, candidarti a presidente non è il tuo lavoro».

Per provare a prevenire questo tipo di critiche, nelle ultime settimane Bloomberg aveva già annunciato di voler spendere 100 milioni di dollari per una campagna pubblicitaria contro Donald Trump e 15 milioni per una campagna per spingere più persone a registrarsi per votare alle elezioni. In un’altra recente occasione, Bloomberg aveva invece chiesto pubblicamente scusa per aver promosso e difeso – quando era sindaco di New York – la controversa pratica dello stop & frisk, una serie di controlli per le strade della città a discrezione degli agenti di polizia che colpiva soprattutto afroamericani e membri di minoranze etniche. Anche questo era stato interpretato come un tentativo di migliorare la sua immagine tra gli elettori Democratici prima di un’eventuale candidatura, dopo una strana carriera politica.

Bloomberg era stato un popolare sindaco di New York dal 2002 al 2013. Aveva iniziato il suo mandato da Repubblicano, ma nel 2007 aveva lasciato il partito e nel 2018 si era registrato come Democratico, contribuendo fra l’altro con decine di milioni di dollari alle campagne di alcuni candidati del partito alle elezioni di metà mandato. Negli ultimi anni si è molto dedicato ad attività filantropiche legate soprattutto alla lotta al riscaldamento globale e al contrasto della diffusione delle armi da fuoco, investendo centinaia di milioni di dollari nel sostegno a queste cause e ai candidati Democratici al Congresso. Se decidesse di candidarsi, Bloomberg diventerebbe il candidato più vecchio fra i Democratici e di gran lunga il più moderato fra quelli rimasti in corsa.

Proprio questa potrebbe essere la forza di Bloomberg, visto che l’altro candidato considerato “moderato”, l’ex vicepresidente Joe Biden, è considerato in qualche difficoltà per la vittoria finale anche se è ancora in testa a molti dei sondaggi nazionali. Se dovesse effettivamente candidarsi – è più che probabile, ormai – sembra che Bloomberg salterà completamente le primarie nei quattro stati dove si voterà a febbraio – Iowa, New Hampshire, Nevada e South Carolina –, per concentrarsi sul cosiddetto Super Tuesday, il martedì di marzo in cui si voterà contemporaneamente in 14 stati. Sarebbe un rischio, perché spesso il voto nei primi stati è stato decisivo per definire le possibilità di successo di un candidato, mitigato questa volta dalla grande incertezza che c’è sul risultato delle primarie. Ci sono ancora 17 candidati, tra cui almeno quattro con qualche possibilità di vittoria, ma tutti con grossi limiti: Joe Biden, Bernie Sanders, Elizabeth Warren e Pete Buttigieg.