L’arresto per mafia di Antonello Nicosia, dei Radicali

È il collaboratore di una deputata e un attivista per i diritti dei detenuti, accusato di aver segretamente favorito alcuni boss in carcere

Lunedì mattina è stato arrestato con l’accusa di «associazione mafiosa» Antonello Nicosia, membro del Comitato nazionale dei Radicali italiani e collaboratore della deputata di Italia Viva Pina Occhionero. Tra le varie accuse mosse dalla procura di Palermo c’è quella di aver recapitato fuori dal carcere dei messaggi provenienti da alcuni boss mafiosi con cui aveva parlato durante le visite insieme a Occhionero. La deputata, ex esponente di Liberi e Uguali, non è indagata perché, secondo la procura, non sapeva niente delle presunte attività mafiose di Nicosia: Ansa dice comunque che è stata interrogata come testimone.

Nicosia ha 48 anni ed è originario di Sciacca, in provincia di Agrigento. Conduceva un programma intitolato Mezz’ora d’aria sulla tv locale AracneTV, era direttore della onlus Osservatorio internazionale dei diritti umani ed era un attivista per i diritti dei detenuti. Nel 2018 era stato eletto membro del Comitato nazionale dei Radicali italiani, e secondo i giornali ha un precedente penale per traffico di droga. Adnkronos, che riporta ampi stralci del decreto di fermo emesso dalla procura, scrive che aveva da poco ottenuto un “contratto” come collaboratore di Occhionero: la deputata ha confermato su Facebook che la collaborazione durò quattro mesi, spiegando che assunse Nicosia sulla base del suo curriculum in cui si diceva professore universitario, per poi interrompere il rapporto quando scoprì che era falso. In quel periodo, però, Nicosia accompagnò Occhionero però in alcune visite in carcere, durante le quali secondo la procura raccolse i messaggi per l’esterno grazie alle maggiori libertà concesse ai deputati che visitano i detenuti. «Sono profondamente amareggiata ma la giustizia farà il suo corso» ha scritto Occhionero.

La collaborazione con Occhionero, nelle sue intenzioni, gli avrebbe garantito la possibilità di incontrare i detenuti sottoposti al regime speciale 41 bis, il carcere duro riservato ai boss mafiosi considerati più pericolosi, raccogliendone i messaggi e trasmettendoli all’esterno: non è chiaro, però, quanto Nicosia sia riuscito effettivamente a realizzare il suo piano. Secondo la procura Nicosia ha avuto accesso «agli istituti penitenziari in brevissimo tempo ben quattro volte: il 21 dicembre 2018 a Sciacca, il giorno successivo a Trapani e ad Agrigento, il 1 febbraio 2019 a Tolmezzo». Nicosia avrebbe anche chiesto ad Occhionero di attivarsi per far trasferire un detenuto da un carcere sardo a un carcere romano.

La procura, in pratica, accusa Nicosia di essersi costruito un’immagine pubblica di attivista per i diritti dei detenuti con lo scopo di mascherare le sue attività che favorivano diversi boss mafiosi. Oltre alla trasmissione dei messaggi, Nicosia è accusato di aver «portato avanti l’ambizioso progetto di alleggerire il regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis o di favorire la chiusura di determinati istituti penitenziari». Secondo la procura, dalla realizzazione di questo progetto Nicosia si aspettava un compenso economico addirittura da Matteo Messina Denaro, il più potente tra i boss mafiosi latitanti. Nicosia, secondo la procura, aveva poi un rapporto con Accursio Dimino, imprenditore di Sciacca arrestato a sua volta lunedì mattina – assieme ad altre tre persone – e accusato di essere un boss mafioso locale.

Il Corriere della Sera ha anche pubblicato un’intercettazione in cui si sente un uomo, identificato come Nicosia, lamentarsi del nome dell’aeroporto di Palermo, intitolato ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e definire le loro morti «incidenti sul lavoro».