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  • Martedì 1 ottobre 2019

Trump chiese aiuto anche all’Australia

Per screditare l'inchiesta del procuratore Robert Mueller, e sembra che fece lo stesso anche con l'Italia

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il procuratore generale William Barr. (Alex Wong/Getty Images)
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il procuratore generale William Barr. (Alex Wong/Getty Images)

L’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump chiese aiuto ad altri paesi stranieri, tra cui Italia e Australia, perché avviassero delle indagini per screditare l’inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller sulla Russia, secondo quanto stanno scrivendo i principali media americani, che citano fonti anonime della Casa Bianca informate sulla vicenda. Sono accuse che si aggiungono a quelle che – molto più gravi e circostanziate – riguardano la telefonata in cui Trump chiese al presidente ucraino Volodymyr Zelensky di avviare un’indagine sul suo avversario politico Joe Biden, e che hanno portato i Democratici ad avviare la procedura di impeachment, molto rara nella storia politica americana.

Secondo quanto ha scritto lunedì sera il New York Times, il caso principale tra questi appena emersi riguarda l’Australia: in una telefonata recente con il primo ministro australiano Scott Morrison, Trump gli chiese di aiutare il procuratore generale William P. Barr a raccogliere informazioni per un’indagine del Dipartimento di Giustizia con cui Trump sperava di screditare l’inchiesta sui rapporti tra il suo comitato elettorale e la Russia, dimostrando che avesse «intenti di parte e corrotti». Secondo uno dei funzionari citati come fonte, Trump avrebbe agito su richiesta di Barr. Come nel caso dell’Ucraina, quindi, Trump avrebbe di nuovo usato il potere della sua istituzione e dell’influenza statunitense per spingere governi stranieri ad aiutarlo a risolvere i suoi problemi politici.

La risposta alla domanda “cosa c’entra l’Australia” è che fu un funzionario dell’ intelligence australiana a dare inizio alle indagini dell’FBI su Trump e la Russia, quando denunciò una conversazione avvenuta a Londra con George Papadopoulos, ex consigliere di Trump che gli aveva rivelato di aver ricevuto dalla Russia l’offerta di materiale in grado di screditare Hillary Clinton, la rivale di Trump nelle elezioni. La richiesta di Trump a Morrison, in un certo senso, era indagare sulla sua stessa intelligence.

Ma c’è dell’altro: altre fonti riservate hanno detto ai giornali americani che in una sua visita in Italia della scorsa settimana, Barr avrebbe incontrato alcuni importanti funzionari di intelligence italiani per assicurarsi anche la loro cooperazione sulla vicenda. Barr era accompagnato nel suo viaggio da John H. Durham, procuratore del Connecticut a capo dell’indagine del Dipartimento di Giustizia sull’inchiesta di Mueller; inchiesta che peraltro si è formalmente chiusa la scorsa primavera con la pubblicazione finale del rapporto conclusivo, che pur non escludendo la colpevolezza di Trump non aveva portato ad altre conseguenze.

Un portavoce della Casa Bianca ha minimizzato la gravità delle accuse, sostenendo che il Dipartimento di Giustizia ha semplicemente chiesto a Trump di «fare le presentazioni per facilitare un’indagine in corso». David Laufman, un ex funzionario del Dipartimento di Giustizia, ha spiegato al Washington Post che è già strano che il Dipartimento di Giustizia abbia avviato un’indagine su una sua precedente indagine, e che è ancora più irrituale che, nonostante la nomina di Durham, sia lo stesso procuratore generale (e quindi il capo del dipartimento) a condurla, a quanto sembra dalle nuove rivelazioni su Barr.