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  • Martedì 24 settembre 2019

Quindi che succede ora con Brexit?

Molto poco di nuovo, almeno nell'immediato, ma la sentenza di oggi per Boris Johnson è una sconfitta grave

(AP Photo/Alberto Pezzali)
(AP Photo/Alberto Pezzali)

Dopo la sentenza della Corte suprema britannica che ha sancito l’illegittimità della sospensione del Parlamento, la situazione politica nel Regno Unito si è rimescolata ancora una volta, e ancora una volta in modo non risolutivo. Il primo ministro conservatore Boris Johnson, favorevole a Brexit, si trova di nuovo in grosse difficoltà; l’intera opposizione sta chiedendo le sue dimissioni, anche se rimane piuttosto divisa su come sfruttare questa vittoria. Ecco spiegato in sintesi cosa è accaduto in questi giorni e cosa potrebbe accadere nelle prossime settimane.

Cosa si è deciso oggi?
La Corte suprema britannica ha stabilito che la sospensione dei lavori parlamentari di cinque settimane – ottenuta dal primo ministro Boris Johnson con l’assenso della Regina – è illegale, e quindi è immediatamente nulla. John Bercow, speaker del Parlamento, ha già convocato per domani alle 11.30 una nuova sessione del Parlamento per discutere le questioni che saranno proposte dai vari partiti.

Il primo ministro Johnson ha commentato la decisione della corte dicendo di non essere d’accordo e accennando al fatto che potrebbe trovare una qualche soluzione per chiedere una nuova sospensione (la corte, ha detto Jonhson, non ha esplicitamente affermato che non può farlo, e l’istituto della sospensione fa storicamente parte della democrazia britannica). Per ora però il Parlamento britannico tornerà in sessione, ci rimarrà per i prossimi giorni e potrà quindi cercare di influenzare il corso degli eventi tra oggi e il 31 ottobre, la data in cui scatterà l’uscita automatica del Regno Unito dall’UE, con o senza accordo.

Cos’è la sospensione del Parlamento e cosa sperava di ottenere Johnson?
La sospensione del Parlamento è un’antica tradizione, un residuo di quando una legislatura (cioè lo spazio tra due elezioni parlamentari) era formata da varie “sessioni” durante le quali i deputati si riunivano, discutevano e votavano, per poi tornarsene nei loro palazzi, castelli o ai loro consueti affari fino alla sessione successiva. Oggi una legislatura si divide ancora in “sessioni”, ma in genere la pausa tra una e l’altra dura pochi giorni ed è puramente simbolica. Al ritorno in Parlamento la Regina tiene un discorso ufficiale e le attività proseguono più o meno come se nulla fosse accaduto.

Johnson, invece, ha provato a usare questa tradizione per bloccare il Parlamento nel momento più delicato. Ha proposto alla Regina una sospensione di ben cinque settimane che, dai primi giorni di settembre, avrebbe tenuto il Parlamento chiuso fino al 14 ottobre, lasciando quindi ai deputati appena un paio di settimane prima della scadenza di Brexit. Secondo la gran parte degli osservatori, Johnson voleva evitare che il Parlamento contrastasse le sue mosse per portare il paese fuori dall’Unione Europea, eventualmente anche senza accordo.

Cosa cambia con la sentenza di oggi?
La decisione della corte significa che il Parlamento resterà in sessione e potrà sorvegliare e commentare i tentativi di Johnson di ottenere un nuovo e diverso accordo dall’Unione Europea rispetto a quello raggiunto dal governo precedente, e che la destra del Partito Conservatore, a cui Johnson appartiene, non aveva mai apprezzato. Più in generale, questa è l’ennesima sconfitta politica per Johnson, un primo ministro già indebolito dopo aver perso parecchi voti importanti in Parlamento e, al momento, senza una maggioranza che lo sostenga. La debolezza di Johnson, la figura più visibile e radicale tra chi vuole lasciare l’Unione, rappresenta insomma una vittoria per l’opposizione: la più grossa conseguenza della sentenza di oggi sarebbero le eventuali dimissioni di Johnson, chieste oggi dall’opposizione.

Un’altra ragione per considerare quella di oggi una vittoria dell’opposizione è che all’inizio di settembre il Parlamento aveva già votato una legge che obbligava il governo a chiedere un rinvio della scadenza di Brexit se non si fosse raggiunto un nuovo accordo con l’Unione Europea entro la metà di ottobre, e in ogni caso a evitare il “no deal”. Con il Parlamento in sessione dovrebbe essere più facile per gli avversari di Johnson – anche quelli che vogliono uscire dall’Unione, ma con un accordo – assicurarsi che il governo non tenti qualche escamotage per aggirare la legge. Oltre a questo, però, la coalizione che osteggia Johnson non è d’accordo su nient’altro: d’altra parte il modo più facile per evitare il “no deal” sarebbe approvare il “deal”, cioè l’accordo concordato dalla Commissione col governo May, ma il Parlamento lo ha bocciato tre volte. E ha bocciato anche le elezioni anticipate e la richiesta di un secondo referendum. Con ogni probabilità gli oppositori di Johnson cercheranno di impedire il “no deal” in ogni modo, ma difficilmente presenteranno un’alternativa comune e unitaria. E ammesso che riescano a forzare la mano di Johnson e costringerlo a chiedere una proroga, bisognerà vedere se la Commissione la concederà, specie a un governo che non ha intenzione di trattare; e bisognerà vedere se la proroga servirà comunque a qualcosa, visto che la posizione della Commissione europea è che i negoziati sono chiusi.

Quindi cosa succede adesso?
Siamo ancora ai tre scenari classici, quelli che ci accompagnano dall’inizio di quest’ultima fase di Brexit: uscita senza accordo, rinvio oppure uscita con accordo. La prima possibilità prevede che Johnson trovi una maniera di spuntarla comunque, sfruttando le divisioni del Parlamento e approfittandone per portare il paese al “no deal” il prossimo 31 ottobre. Un “no deal” sarebbe anche uno degli scenari possibili nel caso in cui il Parlamento britannico oppure lo stesso Johnson chiedessero una nuova proroga della scadenza e l’Unione Europea decidesse di negarla (basta il voto contrario di uno stato membro).

Un’altra possibilità è che il governo britannico chieda e che l’Unione conceda un’ulteriore proroga della scadenza, così da avere il tempo di organizzare nuove elezioni e magari un secondo referendum (questa è la posizione ufficiale del Partito Laburista, ma il Parlamento si è già espresso contro entrambe queste strade). La terza possibilità (e la meno probabile al momento) è che l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea avvenga davvero entro il 31 ottobre ma in modo ordinato, con un accordo tra le due parti. Perché questo avvenga, serve che il Parlamento britannico approvi l’accordo raggiunto dal governo precedente o una sua versione leggermente modificata frutto di qualche accordo dell’ultimo minuto. Nell’ultimo anno, il Parlamento britannico ha già bocciato lo stesso accordo in tre diverse occasioni.