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  • Martedì 27 agosto 2019

Il Brasile ha rifiutato gli aiuti del G7 per l’Amazzonia

Almeno per ora: il presidente Bolsonaro ha detto che sono un modo per interferire negli affari interni del paese

Un incendio a Porto Velho, Brasile (Victor Moriyama/Getty Images)
Un incendio a Porto Velho, Brasile (Victor Moriyama/Getty Images)

Il governo del Brasile ha detto che rifiuterà gli aiuti economici offerti lunedì dai paesi del G7 per spegnere gli incendi nella foresta amazzonica. Gli aiuti erano stati annunciati dal presidente francese Emmanuel Macron al termine di un incontro sul clima del G7 a Biarritz, in Francia, ed erano stati inizialmente accettati dal ministro dell’Ambiente brasiliano Ricardo Salles. Il governo del presidente Jair Bolsonaro non ha specificato il motivo del rifiuto degli aiuti, ma in precedenza aveva accusato la Francia di trattare il Brasile come una colonia, e in generale aveva parlato di interferenze dei governi stranieri negli affari interni brasiliani. Martedì pomeriggio Bolsonaro ha fatto però mezzo passo indietro: ha detto di essere disponibile a rivedere la sua decisione se Macron ritirerà i presunti insulti rivolti contro di lui.

Gli aiuti erano stati quantificati da Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti in 17,9 milioni di euro, destinati sia al Brasile che agli altri paesi sudamericani colpiti dagli incendi nella foresta amazzonica. La cifra è microscopica, proveniendo da sette tra le più grandi potenze industriali del mondo: il solo Leonardo DiCaprio ieri ha donato cinque milioni di dollari. Macron aveva detto però che i soldi sarebbero stati disponibili immediatamente, da usare per tamponare l’emergenza: quindi soprattutto per far intervenire dei canadair che gettassero acqua sulla foresta dall’alto e per finanziare il dispiegamento di vigili del fuoco esperti e ben equipaggiati. L’intervento del G7 era stato deciso dopo che diversi capi di stato e di governo, tra cui la cancelliera tedesca Angela Merkel, avevano definito il problema degli incendi in Amazzonia una crisi globale per via delle ripercussioni sul clima.

Di recente il governo di estrema destra di Bolsonaro è stato accusato di essere responsabile per l’aumento della deforestazione dell’Amazzonia, anche perché in passato il presidente aveva definito le preoccupazioni ambientaliste una «psicosi» e nei primi mesi del suo mandato aveva ammorbidito le pene e i controlli pensati per limitare la deforestazione.

Negli ultimi giorni, nonostante la decisione del governo brasiliano di impiegare l’esercito per provare a spegnere gli incendi, si sono sommate nuove accuse. Il Guardian ha scritto che funzionari brasiliani che si occupano di ambiente e pubblici ministeri federali avevano avvertito il governo che gli agricoltori e gli imprenditori legati all’acquisto e alla vendita di terreni in Amazzonia si stavano accordando per appiccare diversi incendi il 10 agosto, con l’obiettivo di mandare un messaggio al loro politico di riferimento, Bolsonaro: volevano ribadire l’importanza di dare priorità agli interessi economici sulle preoccupazioni per la difesa dell’ambiente, linea peraltro già adottata dal presidente. Il governo, però, non aveva preso alcun provvedimento per fermare la cosiddetta “giornata dell’incendio”, organizzata soprattutto nella città di Novo Progresso, nello stato di Parà.

Proprio gli investigatori di Parà hanno aperto un’inchiesta dopo che era emerso che Ibama, l’agenzia ambientalista brasiliana, aveva ricevuto diverse segnalazioni sulla “giornata dell’incendio”, ma non aveva preso alcuna misura fino al 7 agosto, due giorni dopo l’inizio delle proteste. Un’indagine separata è stata aperta per esaminare l’aumento della deforestazione nello stato di Parà e per valutare eventuali responsabilità di figure pubbliche.

Non è solo il Brasile che sta avendo a che fare con gli incendi: sono coinvolti anche gli altri paesi della regione amazzonica, dove agricoltori, società minerarie e di commercio del legname usano il fuoco per sfruttare economicamente aree coperte dalla foresta. Domenica il presidente della Bolivia, Evo Morales, aveva sospeso la sua campagna elettorale per via degli incendi e aveva detto di essere pronto ad accettare aiuti internazionali per contrastare gli incendi nella regione di Chiquitania. Il presidente della Colombia, Ivan Duque, aveva detto che avrebbe cercato di raggiungere un accordo con gli altri paesi amazzonici per la conservazione della foresta pluviale. Morales e Duque parleranno del tema in una serie di incontri bilaterali che si terranno questa settimana in Perù, e poi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre.

L’Amazzonia ha una superficie totale di circa 5,5 milioni di chilometri quadrati: più del 60 per cento si trova in territorio brasiliano, ma la foresta cresce anche in Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana francese. È uno degli ecosistemi più ricchi al mondo, ed è importante per un sacco di cose. Ad esempio il vapore acqueo che rilascia nell’atmosfera ha un’influenza nei cicli delle piogge mondiali. Per la quantità di anidride carbonica che assorbe è considerata fondamentale per la lotta al cambiamento climatico. Inoltre ospita fino a 500 comunità indigene e circa 3 milioni di specie di animali e piante, molte delle quali non si trovano in altre parti del mondo.

Il climatologo brasiliano Carlos Nobre ha detto di temere che se tra il 20 e il 25 per cento della foresta venisse distrutto, l’ecosistema potrebbe raggiungere un punto di non ritorno oltre il quale la foresta si trasformerebbe in savana; per ora, secondo Nobre, siamo vicini al 15-17 per cento di foresta distrutta.