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  • Domenica 18 agosto 2019

Gli ultimi giorni in carcere di Jeffrey Epstein

Li ha ricostruiti il New York Times parlando con guardie, poliziotti e avvocati, per capire come sia potuto avvenire il suo suicidio

Dall'altra parte del piccolo parco la Metropolitan Correctional Facility, il carcere di Manhattan dove Jeffrey Epstein è stato detenuto ed è morto, il 10 agosto 2019 (David Dee Delgado/Getty Images)
Dall'altra parte del piccolo parco la Metropolitan Correctional Facility, il carcere di Manhattan dove Jeffrey Epstein è stato detenuto ed è morto, il 10 agosto 2019 (David Dee Delgado/Getty Images)

Jeffrey Epstein, il miliardario americano che si è suicidato nella notte tra il 9 e il 10 agosto nel carcere di New York dove si trovava dal 6 luglio con l’accusa di sfruttamento sessuale, ha passato gran parte dei suoi ultimi giorni parlando con i suoi avvocati per evitare di stare nella sua cella. Lo ha raccontato il New York Times dopo aver intervistato decine di poliziotti, dipendenti del sistema carcerario e avvocati che hanno accettato di parlare in forma anonima della vita Epstein in prigione, per ricostruire come sia potuto accadere il suo suicidio.

Secondo i giornalisti del Times, Epstein è morto «dopo aver cominciato a realizzare i limiti dell’uso della sua ricchezza e del suo privilegio» nel mondo del carcere.

La prigione in cui Epstein era detenuto con il numero identificativo 76318-054 era la Metropolitan Correctional Facility di Manhattan, un massiccio edificio color ruggine nella parte meridionale dell’isola, a circa 20 minuti di automobile dalla lussuosa casa di Epstein nell’elegante Upper East Side, del valore di oltre 50 milioni di dollari. Molte delle persone nel carcere sono detenute in attesa di un processo in un tribunale federale; ci sono passati, tra gli altri Joaquín Guzmán Loera, il narcotrafficante messicano più noto come “El Chapo”, e il famoso truffatore Bernard Madoff.

Epstein stava in una delle due ali di maggior sicurezza della prigione, la 9 South, quella con le condizioni meno rigide tra le due: i detenuti vivono in celle da due persone, hanno un’ora d’aria al giorno e possono farsi una doccia ogni due o tre giorni. È però un’ala infestata da ratti e scarafaggi e spesso i prigionieri devono camminare nell’acqua di scolo (e urina e materia fecale) che esce dalle tubature difettose, secondo i racconti di avvocati ed ex carcerati. Stando alle testimonianze raccolte dal New York Times, negli ultimi giorni di vita Epstein si lavava raramente, non si rasava e dormiva sul pavimento della propria cella invece che sul suo letto.

Poco dopo il suo arresto Epstein aveva chiesto a un giudice di essere rilasciato dietro pagamento di una grossa cauzione che comprendesse anche la sua residenza a Manhattan e il suo jet privato; si era anche proposto di pagare delle guardie di sicurezza che gli impedissero di fuggire. Il 18 luglio il giudice aveva respinto la sua richiesta.

Una donna fotografa il portone d’ingresso della casa di Jeffrey Epstein, nell’Upper East Side di Manhattan, il 13 agosto 2019 (AP Photo/Mary Altaffer)

Epstein in compenso pagava i suoi numerosi avvocati per stare con lui, in una stanza per gli incontri, fino a 12 ore al giorno; anche il 9 agosto, il giorno della sua morte, le cose andarono così. Per il resto i suoi contatti con il mondo esterno erano molto limitati. Durante gli incontri con gli avvocati sedeva in silenzio, con l’aria annoiata; le due macchinette con snack e bevande presenti nella stanza venivano svuotate ogni volta. Si sa anche che nelle settimane in carcere Epstein aveva cercato di ingraziarsi altri detenuti versando dei soldi nei conti per la mensa e le provviste di almeno tre di loro, una pratica diffusa nelle prigioni per ottenere protezione.

Il 23 luglio, 20 giorni prima del suo suicidio, Epstein fu trovato senza sensi nella sua cella, con dei segni sul collo: il suo compagno di cella, l’ex poliziotto accusato di 4 omicidi Nicholas Tartaglione, chiamò le guardie e Epstein fu rianimato. L’episodio fu considerato un tentato suicidio ed Epstein fu spostato dall’ala 9 South alla parte della Metropolitan Correctional Facility riservata al programma di osservazione per i detenuti che si sospetta potrebbero provare a uccidersi. Il programma prevede una sorveglianza diretta e frequente da parte della polizia penitenziaria.

Alcuni dipendenti del carcere e alcuni detenuti non pensavano che Epstein avesse davvero cercato di uccidersi: pensavano che avesse solo cercato di ottenere maggiore empatia dal giudice sul suo caso. I sospetti aumentarono quando Epstein accusò Tartaglione di averlo aggredito, accuse negate dal compagno di cella. Tra le guardie, erano state interpretate come un tentativo per evitare il programma di prevenzione dei suicidi. Infatti le condizioni di prigionia sotto il programma sono più dure: i detenuti indossano solo un pesante camice e sono tenuti in celle singole in cui non ci sono lenzuola o altri oggetti che potrebbero essere usati per forme di autolesionismo. Le luci non vengono mai spente del tutto, solo abbassate.

Epstein fu ricondotto nell’ala 9 South il 29 luglio, dopo essere stato tolto dal programma di prevenzione dei suicidi, una decisione che è stata criticata da alcuni esperti di salute mentale dopo la sua morte. Sei dipendenti ed ex dipendenti del sistema carcerario hanno però detto al New York Times che non è raro che un detenuto resti nel programma solo per pochi giorni. Gli avvocati di Epstein peraltro pensavano che stesse bene e avevano chiesto che potesse tornare nell’ala 9 South.

Little St. James Island, l’isola dell’arcipelago delle isole Vergini posseduta da Jeffrey Epstein, il 14 agosto 2019 (AP Photo/Gabriel Lopez Albarran)

David Schoen, un avvocato che Epstein voleva assumere e che incontrò tre giorni dopo, ha raccontato di averlo visto di buon umore e di essersi solo stupito che una visita con una psicoterapeuta che aveva interrotto il loro appuntamento fosse durata solo cinque minuti. Nei giorni successivi comunque, secondo le testimonianze raccolte, l’umore di Epstein era molto peggiorato.

Trascorse il suo ultimo giorno, come i precedenti, parlando per molte ore con i suoi avvocati. Quella notte solo 18 guardie erano al lavoro in tutta la prigione, che ospita circa 750 detenuti. La Metropolitan Correctional Facility, come tante altre prigioni americane, ha un problema di carenza di personale. Nell’ala 9 South erano solo in due, anche se per la verità una non era una vera e propria guardia, ma un’ex guardia che si era offerta di coprire il turno.

Avevano il compito di controllare Epstein ogni mezz’ora, ma dopo le 3.30 non lo fecero per tre ore: secondo due fonti del New York Times, perché si erano addormentate. Entrambe stavano facendo gli straordinari, una volontariamente, l’altra era stata obbligata a coprire un turno doppio di 16 ore. Una guardia e un poliziotto hanno detto che i due avevano poi cercato di falsificare i registri di quella notte per far sembrare di aver sorvegliato Epstein come richiesto. La cella in cui Epstein si trovava – senza un compagno – aveva una piccola finestra da cui poteva vedere che le guardie dormivano.

Ci sono due indagini federali in corso sulla morte di Epstein, per capire come sia successo che un detenuto così importante si sia potuto uccidere. I suoi avvocati non hanno risposto alle domande del New York Times sul periodo che ha passato in prigione. Dopo il suo suicidio hanno diffuso un breve comunicato che diceva: «Nessuno dovrebbe morire in prigione».

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Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il 118. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 199 284 284 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24.

Puoi anche chiamare i Samaritans al numero verde gratuito 800 86 00 22 da telefono fisso o al 06 77208977 da cellulare, tutti i giorni dalle 13 alle 22.