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  • Sabato 10 agosto 2019

La Germania vuole processare un siriano per crimini di guerra

Anche se quei crimini non sono stati commessi in Germania o contro i tedeschi: la ragione è la "giurisdizione universale", usata per secoli contro i pirati

Il pirata scozzese William Kidd di fronte alla Camera dei Comuni di Londra dopo la sua cattura, nel 1701 (Hulton Archive/Getty Images)
Il pirata scozzese William Kidd di fronte alla Camera dei Comuni di Londra dopo la sua cattura, nel 1701 (Hulton Archive/Getty Images)

Il 12 febbraio scorso il cittadino siriano Anwar Raslan è stato arrestato a Berlino, in Germania, con l’accusa di avere compiuto crimini contro l’umanità durante la guerra in Siria. Prima di arrivare in Germania e chiedere asilo politico, nel 2012, Raslan era stato infatti colonnello dell’intelligence militare del regime di Bashar al Assad e responsabile delle indagini della Sezione 251, coinvolta in moltissimi casi di arresti arbitrari, violenze, stupri e torture contro ribelli e dissidenti. Oggi Raslan è in prigione, in attesa del processo che dovrebbe iniziare il prossimo anno. Il suo caso è rilevante per due ragioni, ha scritto l’Atlantic: perché Raslan potrebbe diventare il primo funzionario siriano di alto livello condannato per gravi crimini compiuti durante il conflitto; e soprattutto perché il processo si terrà in un tribunale tedesco, nonostante Raslan non abbia commesso reati né in Germania né contro cittadini tedeschi.

Raslan sarà processato sulla base di un principio del diritto internazionale poco applicato e conosciuto, anche se da anni molto discusso: quello della “giurisdizione universale”.

Da sempre agli stati è riconosciuto il potere di esercitare la propria giurisdizione sul territorio nazionale, e in alcuni casi sui propri cittadini che abbiano compiuto reati all’estero o su stranieri che dovunque si trovino abbiano compiuto reati contro i cittadini di quel paese. In linea di massima, i tribunali italiani non possono giudicare uno straniero che abbia compiuto un reato contro un altro straniero in un paese diverso dall’Italia. C’è però un’eccezione a questo principio: la giurisdizione universale, che si basa sull’idea che alcune norme internazionali siano talmente rilevanti da valere per tutti gli stati del mondo, e che tutti gli stati del mondo si debbano impegnare a farle rispettare. Sono le norme che vietano crimini estremamente gravi come il genocidio, la tortura e i crimini di guerra e contro l’umanità.

Il concetto di giurisdizione universale non è nuovo. Si cominciò a discuterne, e in seguito ad applicarlo, a partire dal Diciassettesimo secolo per processare pirati e trafficanti di schiavi responsabili di crimini che per loro stessa natura venivano compiuti in zone del mondo che non erano di nessuno. In seguito questo principio giuridico fu alla base di casi eclatanti e di grande risalto internazionale. Nel 1961, per esempio, il gerarca nazista Adolf Eichmann fu processato in Israele per crimini contro l’umanità commessi in Europa durante la Seconda guerra mondiale, quando lo stato d’Israele non era nemmeno nato: il governo israeliano sostenne la legittimità del procedimento invocando proprio la giurisdizione universale. Un argomento simile fu alla base dell’arresto a Londra del dittatore cileno Augusto Pinochet, avvenuto nel 1998 su richiesta di un tribunale spagnolo: le famiglie delle vittime della repressione militare cilena degli anni Settanta e Ottanta, che non erano riuscite ad avviare procedimenti penali in patria, si erano infatti rivolte alla giustizia spagnola, che aveva deciso di occuparsene anche a causa del coinvolgimento di cittadini spagnoli.

Un altro caso molto rilevante fu quello che coinvolse Hissène Habré, presidente e dittatore del Ciad negli anni Ottanta, accusato di avere ucciso e torturato migliaia di persone: dopo anni di tira e molla, nel 2016 Habré è stato condannato all’ergastolo da un tribunale del Senegal appoggiato dall’Unione Africana e finanziato dalla comunità internazionale.

Nonostante gli eclatanti casi di Eichmann, Pinochet e Habré, a partire dagli anni Duemila l’applicazione della giurisdizione universale cominciò a subire un certo ridimensionamento. I critici erano parecchi: tra loro c’era anche Henry Kissinger, noto segretario di Stato americano sotto la presidenza di Richard Nixon, che in un articolo pubblicato nel 2001 su Foreign Affairs sostenne che la giurisdizione universale rischiava di creare una tirannia universale: quella dei giudici. Inoltre, ha spiegato Julia Crawford, giornalista specializzata tra le altre cose in giustizia transnazionale, la giurisdizione universale veniva invocata ovunque e contro chiunque, senza coordinamento e senza preparazione sufficiente per mettere in piedi processi efficaci: «Le persone cominciarono a pensare che una versione estesa della giurisdizione universale fosse ormai morta» e diversi paesi cominciarono a rendere più restrittiva la sua interpretazione.

Oggi l’interpretazione più diffusa è che la giurisdizione universale si possa applicare a condizione che il presunto criminale straniero si trovi nel territorio del paese che lo vuole processare, e sempre nel caso in cui il sospettato non sia richiesto dal proprio stato di cittadinanza o da uno stato che abbia con lui un più stretto collegamento (quindi per esempio lo stato di cittadinanza delle vittime del crimine commesso). Il caso di Anwar Raslan, il siriano arrestato a febbraio in Germania, rispetta tutte queste condizioni.

Raslan non è l’unico siriano indagato in Germania per avere compiuto gravi crimini durante la guerra in Siria, e la Germania non è l’unico stato europeo che da qualche anno a questa parte sta provando ad applicare il principio della giurisdizione universale soprattutto in casi legati al conflitto siriano.

Come ha detto l’avvocato tedesco Andreas Schüller, direttore del programma dei crimini internazionali dell’European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR), organizzazione no profit con sede a Berlino, ci sono diverse ragioni che spiegano il ricorso sempre maggiore alla giurisdizione universale da parte di tribunali europei: e sono per lo più motivi legati proprio alla guerra in Siria.

La prima ragione è che la Corte Penale Internazionale, tribunale per crimini internazionali che ha sede all’Aia e che avrebbe potuto farsi carico di questi processi, non è nella posizione di intervenire, perché il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, diviso al suo interno, ha bloccato ogni tentativo di affidarle la giurisdizione sui crimini compiuti in Siria. La seconda è che non ci sono nemmeno le condizioni affinché intervenga un tribunale siriano, visto che in buona parte della Siria governa ancora il regime di Assad, lo stesso che dovrebbe subire i processi in questione. La terza è che rispetto ad altri casi simili del passato c’è parecchio materiale su cui basare le accuse, perché fin dal 2011, anno dell’inizio della guerra in Siria, organizzazioni locali, ong, avvocati, attivisti e disertori cominciarono a documentare le violenze compiute dal regime di Assad, in una misura senza precedenti.

La quarta, non legata strettamente alla guerra in Siria, è che oggi rispetto al passato c’è maggiore cooperazione tra unità investigative dei diversi paesi, che a loro volta si sono specializzate sempre di più nelle indagini su crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Tra i paesi in prima linea nell’applicazione della giurisdizione universale ci sono soprattutto Francia, Svezia, Belgio e Germania, dove oggi sono in corso una decina di processi contro stranieri accusati di avere commesso gravi crimini contro l’umanità in Siria. Nonostante le difficoltà nella raccolta delle prove e nell’impostare un procedimento di questo tipo, diversi osservatori credono che oggi la giurisdizione universale sia la sola via praticabile dalle vittime della guerra siriana per ottenere giustizia, e allo stesso tempo i processi per crimini gravi commessi in Siria siano l’unico punto di partenza possibile per un’applicazione più sistematica e ordinata del principio di giurisdizione universale.