• Mondo
  • Mercoledì 31 luglio 2019

Un altro giro di dibattiti per i Democratici statunitensi

Dieci candidati si sono sfidati stanotte su CNN, e c'è stata una grossa discussione tra i più di sinistra e i più moderati; stanotte toccherà agli altri dieci

(Justin Sullivan/Getty Images)
(Justin Sullivan/Getty Images)

La sera di martedì 30 luglio – quando in Italia era la notte tra martedì 30 e mercoledì 31 – dieci candidati del Partito Democratico alla presidenza degli Stati Uniti si sono sfidati in un confronto televisivo organizzato da CNN a Detroit, in Michigan. Nonostante i requisiti per partecipare a questo dibattito fossero più onerosi dei precedenti – in termini di risultati nei sondaggi e numero di finanziatori – ben venti candidati li hanno superati, per cui stasera (stanotte, per noi) si terrà un altro dibattito con altri dieci candidati. I gruppi sono stati decisi con un sorteggio. Al confronto di martedì sera hanno partecipato Elizabeth Warren, Bernie Sanders, Pete Buttigieg, Beto O’Rourke, Steve Bullock, John Delaney, John Hickenlooper, Amy Klobuchar, Tim Ryan e Marianne Williamson.

Cosa è successo, in sintesi
Domanda dopo domanda e risposta dopo risposta, il confronto si è svolto soprattutto attorno a due grandi questioni: la sanità, che da tempo è tornata a essere la principale priorità degli elettori statunitensi e su cui nel Partito Democratico esistono posizioni molto diverse, e la realizzabilità delle promesse elettorali dei candidati. Questi temi si sono intrecciati con le ragioni più banalmente strategiche di chi è andato sul palco: i senatori Elizabeth Warren e Bernie Sanders – i due candidati più avanti nei sondaggi – non solo hanno preferito non criticarsi ma si sono difesi a vicenda, nel tentativo di affascinare i rispettivi elettori; chi invece è messo peggio nei sondaggi aveva bisogno di farsi notare e attaccare, e lo ha fatto.

Per questo motivo, dato che Warren e Sanders sono – per quanto in modi diversi – espressione della corrente più di sinistra del Partito Democratico, stavolta sono stati loro a doversi difendere dalle critiche di alcuni altri candidati più moderati: soprattutto John Delaney, deputato del Maryland; Steve Bullock, governatore del Montana; Amy Klobuchar, senatrice del Minnesota; Tim Ryan, deputato dell’Ohio; John Hickenlooper, ex governatore del Colorado. E il tema che più ha fatto emergere queste divisioni – e portato a una discussione insolitamente concreta per un confronto politico televisivo – è stato la sanità.


Un altro esempio di questa dialettica: mentre Delaney si apprestava a rispondere sull’eventualità di alzare le tasse ai più ricchi, Warren si sfregava le mani.

La sanità
In sintesi, ci sono oggi tre posizioni sulla sanità nel Partito Democratico:

– chi vuole sostituire completamente l’attuale sistema (basato sulle assicurazioni private, con sussidi e coperture governative anche integrali per i più anziani e più poveri) con un sistema sanitario nazionale sul modello europeo, il cosiddetto “Medicare for all”;

– chi vuole creare un piano sanitario pubblico agevolato e accessibile a tutti (la cosiddetta “public option”) che si aggiunga alle assicurazioni private, facendo loro concorrenza e permettendo a chi lo voglia di abbandonarle, ma a chi non lo voglia di mantenere la sua attuale polizza;

– chi vuole mantenere l’attuale sistema ma migliorando il sistema di incentivi e sussidi allo scopo di rendere la copertura sanitaria più larga e sostenibile possibile.

Lo scontro fra le tre posizioni non è solo ideale ma anche concreto: durante il dibattito ai sostenitori della prima possibilità è stato chiesto se e quanto intendano alzare le tasse per mantenere un sistema sanitario nazionale, mentre agli altri è stato chiesto quanto e come pensino di poter rappresentare un partito i cui elettori chiedono riforme ambiziose e radicali.

John Delaney ha detto che il piano “Medicare for all” sarebbe «un suicidio politico»:
«Non dobbiamo essere il partito che toglie, il partito che dice a mezzo paese che la sua assicurazione improvvisamente è illegale. Cosa otteniamo dal diventare il partito che toglie qualcosa alle persone? Possiamo dare copertura sanitaria a tutti i cittadini senza togliere loro la possibilità di scegliere». Altri candidati hanno espresso posizioni simili: «Sono un pragmatico», ha detto Hickenlooper; «Le mie promesse sono fondate sulla realtà», ha detto Klobuchar; gli americani in difficoltà «non possono aspettare che arrivi la rivoluzione», ha detto Bullock. Quando Delaney ha criticato Sanders, Warren è intervenuta per difenderlo – «Questi sono gli argomenti dei Repubblicani» – prima che lo stesso Sanders dicesse che «la sanità è un diritto umano, non un privilegio», e che con il suo piano gli americani spenderanno di più in tasse ma non dovranno più pagare una polizza assicurativa. So di cosa parlo, ha detto Sanders con vigore, «perché l’ho scritto io quel dannato disegno di legge».

Anche Warren ha reagito con forza agli argomenti dei candidati più moderati, dicendo una delle frasi più applaudite della serata: «Non capisco perché uno debba prendersi il disturbo di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti per poi limitarsi a parlare di cosa non possiamo fare e di cosa non possiamo ottenere».

Tra chi ha espresso posizioni intermedie tra i candidati più di sinistra e quelli più moderati si è fatto notare Pete Buttigieg, il giovane sindaco di South Bend che è diventato sorprendentemente uno dei candidati più apprezzati dagli elettori, e il più finanziato dalla base del partito negli ultimi tre mesi. «Sentite», ha detto, «se dovessimo scegliere un programma politico di estrema sinistra, i Repubblicani direbbero che siamo dei socialisti fuori di testa. Se invece dovessimo scegliere un programma politico conservatore e prudente, sapete cosa direbbero i Repubblicani? Che siamo dei socialisti fuori di testa. Quindi discutiamo di quale sia la politica migliore e difendiamola, senza pensare a cosa diranno i nostri avversari».

Più avanti nel dibattito, Buttigieg ha sollevato un altro argomento centrale in questa discussione, e di cui lui è stato fin qui il principale sostenitore: la necessità di approvare riforme strutturali come pre-condizione al mantenimento di qualsiasi promessa elettorale. Il modello istituzionale statunitense, infatti, è immutato da secoli, nonostante il paese sia cambiato moltissimo e così la sua politica: il prossimo eventuale presidente Democratico nelle attuali condizioni non potrà portare a termine granché, a prescindere da quali siano le sue promesse, visto l’ostruzionismo praticato dai Repubblicani al Congresso durante gli otto anni di presidenza Obama e lo squilibrio verso i conservatori nella Corte Suprema. «Quando propongo riforme strutturali radicali – cambiare il modo in cui eleggiamo il presidente, cambiare la Costituzione per rimuovere i soldi delle multinazionali dalla politica, depoliticizzare la Corte Suprema – la gente mi guarda in modo strano, come se fosse una cosa impossibile. Ma questo paese una volta ha corretto la Costituzione per impedirvi di bere alcolici e poi l’ha ricorretta quando ha cambiato idea: e voi mi dite che non possiamo farlo? Dobbiamo, o ci ritroveremo a fare le stesse discussioni per i prossimi vent’anni».

Immigrazione e razzismo
Anche se la sanità è indubbiamente il tema che ha dominato il confronto, si è parlato anche di immigrazione e razzismo: un po’ perché lo impone l’attualità e un po’ perché il dibattito si teneva a Detroit, città popolata all’80 per cento da afroamericani e capitale del Michigan, che nel 2016 Hillary Clinton perse per pochissimi voti. Anche su questo tema i candidati più moderati hanno attaccato i più di sinistra, sostenendo che promettere contemporaneamente copertura sanitaria per tutti e depenalizzazione completa dell’immigrazione irregolare voglia dire fare un favore a Trump.

«La verità è che oggi tutti i sondaggi dicono che io batterei Trump», ha risposto Sanders. «Beh, i sondaggi dicevano anche che Clinton avrebbe battuto Trump», ha replicato Ryan. La risposta più efficace sul razzismo è arrivata probabilmente e sorprendentemente dalla scrittrice Marianne Williamson, la meno nota tra i candidati e la più inconsueta, anche per il tono “spirituale” di molti suoi argomenti. «Se pensate che questi discorsi da secchioni possano affrontare l’oscura forza psichica di odio collettivo che il presidente sta creando nel paese, temo che ci aspettino giorni molto brutti», ha iniziato. Poi è diventata più concreta parlando del caso di Flint – la città del Michigan che per anni ha distribuito acqua avvelenata dal piombo – e affrontando il tema delle cosiddette “reparations”: una proposta che sta trovando sempre maggior spazio secondo cui il governo statunitense deve risarcire economicamente gli eredi degli schiavi neri per tutti i torti e le privazioni subite nel corso dei secoli. «Non si parla di assistenza o sussidi: si parla di ripagare un debito. Ci vogliono tra i 200 e i 500 miliardi di dollari».

Quindi?
La gran parte dei giornalisti e degli osservatori ha scritto che è stato un buon dibattito per Sanders e Warren, che sono riusciti a non danneggiarsi a vicenda e far emergere le loro differenze rispetto al resto dei candidati, e per i candidati moderati che li hanno attaccati di più, che hanno un disperato bisogno di farsi notare – galleggiano intorno all’1 per cento nei sondaggi – e durante il confronto hanno trovato così molto spazio. Buttigieg si è distinto tra quelli di mezzo, diciamo, mentre gli altri che avevano bisogno di una svolta – come Beto O’Rourke, che si era candidato tra grandi aspettative ma la cui campagna ora sta affondando, o Amy Klobuchar – non sono riusciti a ottenere spazio o attenzioni rilevanti.

Cosa succede adesso
Stasera si terrà il secondo dibattito con gli altri dieci candidati: andranno tenuti d’occhio soprattutto Joe Biden, oggi in testa ai sondaggi, e Kamala Harris, che ha guadagnato molto terreno nelle ultime settimane. I due erano stati protagonisti di uno scontro molto discusso – e vinto da Harris – nel corso del precedente confronto. Gli altri candidati sul palco saranno Julian Castro, Michael Bennet, Cory Booker, Bill de Blasio, Tulsi Gabbard, Kirsten Gillibrand, Jay Inslee e Andrew Yang. I prossimi confronti televisivi, previsti per settembre, richiederanno ai candidati requisiti più stringenti in termini di risultati nei sondaggi e numero di finanziatori: per questo chi è indietro avrà ancora molto bisogno di cercare momenti per farsi notare.