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  • Venerdì 5 aprile 2019

Il cognome più difficile della politica americana

La candidatura alle primarie del Partito Democratico di un giovane sindaco gay e reduce di guerra sta decollando: si chiama Pete Buttigieg

(Justin Sullivan/Getty Images)
(Justin Sullivan/Getty Images)

Mancano ancora oltre dieci mesi prima che comincino le primarie del Partito Democratico per le elezioni presidenziali statunitensi, ma da qualche settimana c’è un nome che viene pronunciato più spesso degli altri: quello di Pete Buttigieg, il giovane sindaco di una città dell’Indiana di poco più di centomila abitanti che è da poco diventato un candidato di primo piano, sorprendendo più o meno chiunque.

La prima cosa da sapere su Buttigieg è come si pronuncia il suo cognome: buttageg, con entrambe le “g” morbide. È una cosa sulla quale si sono già impigliati molti giornalisti televisivi americani, ma lui l’ha presa subito sul ridere: come dimostra questo suo video di presentazione, in cui peraltro cita la famosa serie tv The West Wing. Il modo più semplice per chiamarlo, comunque, è “Mayor Pete”, sindaco Pete.

Buttigieg ha 37 anni ed è nato e cresciuto a South Bend, la città dell’Indiana di cui è diventato sindaco nel 2011 con il 74 per cento dei voti. Se fosse eletto presidente degli Stati Uniti, sarebbe il più giovane presidente della storia e il primo dichiaratamente gay: Buttigieg fece coming out durante la sua campagna di rielezione nel 2015, che vinse poi con l’80 per cento dei voti.

Ma la sua storia personale è notevole per molte altre ragioni: è stato per otto anni riservista della Marina, e ha prestato servizio per sette mesi in Afghanistan nel 2014, quando era già sindaco, mettendosi in aspettativa. È laureato con lode in storia e letteratura all’università di Harvard, una delle più note e prestigiose degli Stati Uniti, e parla sette lingue oltre all’inglese: spagnolo, italiano, arabo, farsi, francese, norvegese e maltese. Quest’ultima perché suo padre era un emigrato maltese. Il norvegese invece lo imparò per poter leggere in lingua originale i libri del romanziere Erlend Loe: e lo ha dimostrato conversando piuttosto bene con un giornalista norvegese. Nei giorni scorsi, poi, ha fatto la stessa cosa con una giornalista italiana.

La scorsa settimana Buttigieg ha fatto sapere che il suo comitato elettorale – che ha annunciato la candidatura a fine gennaio – ha raccolto finora 7 milioni di dollari: una cifra inferiore ai 12 milioni raccolti dalla senatrice Kamala Harris o ai 18 del senatore Bernie Sanders, considerati tra i favoriti al momento, ma comunque sorprendentemente alta e superiore alle aspettative di chiunque dato che Buttigieg è un sindaco e quasi uno sconosciuto. Un sondaggio della società Quinnipiac di fine marzo dava Buttigieg al quinto posto del gradimento tra i candidati, a pari merito con la senatrice Elizabeth Warren, da molti anni al centro della politica americana, e davanti a candidati di esperienza e peso come Cory Booker e Kirsten Gillibrand.

Questi dati vanno presi con le molle: la storia recente della politica americana, dalla vittoria di Barack Obama alle primarie del 2008 a quella di Donald Trump alle presidenziali del 2016, insegna che fare previsioni e interpretare i sondaggi è molto difficile, soprattutto quando manca così tanto tempo al voto. Buttigieg è poi un candidato ancora quasi sconosciuto al grande pubblico americano, ed è in quella fase in cui emergono solo i suoi punti di forza. Man mano che la sua candidatura diventerà più importante, è possibile che faccia dei passi falsi o che venga fuori qualcosa del suo passato che possa piacere poco agli elettori.


Ma come ha sintetizzato il conduttore del Daily Show Trevor Noah, finora si parla soltanto bene di Buttigieg perché non si riescono a trovare cose negative sul suo conto. La critica principale che gli viene rivolta è che sia troppo giovane e inesperto per fare il presidente degli Stati Uniti: Buttigieg da parte sua ricorda che ha fatto più politica di quanta ne avesse fatta Donald Trump prima di diventare presidente, e che ha fatto l’amministratore locale per più tempo del vice presidente Mike Pence (che fu governatore, proprio dell’Indiana, dal 2013 al 2017). Di sicuro Buttigieg ha guidato una città relativamente piccola e poco importante come South Bend, ma lui sostiene che fare il sindaco per certi versi è simile a fare il presidente, perché bisogna occuparsi di tutto. E poi c’è la questione del suo servizio militare, un aspetto che Buttigieg non manca di ricordare: sia Obama che Trump non avevano alcuna esperienza di questo tipo.

Riguardo alla sua giovane età, Buttigieg dice che sarebbe importante avere un presidente che è direttamente coinvolto nella questione del cambiamento climatico, perché fa parte di quella generazione che ne potrebbe subire le conseguenze. Spesso ricorda anche che la sua generazione è quella che ha fornito i soldati impegnati in Iraq e Afghanistan, e che potrebbe essere la prima ad accumulare meno ricchezza della precedente. Riguardo al suo orientamento sessuale, Buttigieg dice di rendersi conto della portata storica della sua candidatura, ma di voler contribuire a creare un mondo in cui l’eventuale omosessualità di un candidato non sia una notizia.


Provenendo dall’Indiana la sua candidatura ha una certa attrattiva per quel pezzo di Stati Uniti – la cosiddetta “Rust Belt” – che alle ultime elezioni votò per Trump, contribuendo in modo determinante alla sua vittoria. Ma il suo profilo giovane e intellettuale sta piacendo molto anche all’elettorato più “liberal”, perlomeno a quello che non si identifica nelle idee più radicali di Bernie Sanders.

Buttigieg si definisce un “forte progressista”, ma ha anche detto che Trump ha reso piuttosto relative le differenze ideologiche tra i candidati Democratici. Da quello che ha detto finora, non è né un moderato né un “socialist millennial”, come la stampa internazionale sta descrivendo i politici giovani e molto di sinistra come Alexandria Ocasio-Cortez. Buttigieg ha parlato spesso di abbassare le rette universitarie; della necessità di firmare nuovamente l’Accordo sul Clima di Parigi e di adottare il Green New Deal, un ambizioso piano di riforme per affrontare il cambiamento climatico; di concedere la cittadinanza ai cosiddetti Dreamers, una particolare categoria di immigrati irregolari; e di aumentare i controlli per i possessori di armi.

Ma come fa notare l’analista di CNN Chris Cillizza, nelle primarie i programmi politici contano fino a un certo punto, e ad avere molta importanza è la storia che i candidati hanno da raccontare e la loro credibilità nel farlo: e quella di Buttigieg è sicuramente notevole.