La pelle di coccodrillo “etica”

5 allevamenti partecipano al programma di un'organizzazione sudafricana per garantire ai consumatori il buon trattamento degli animali e il controllo della filiera produttiva

(Singapore Press via AP Images)
(Singapore Press via AP Images)

Il Wall Street Journal ha raccontato il tentativo di Exotic Leather South Africa, una associazione no-profit sudafricana, di produrre pelle di coccodrillo “etica”, cioè proveniente da allevamenti attenti al benessere degli animali e che consentano di controllare interamente, dal principio alla fine, la filiera produttiva.

Sempre più aziende di moda infatti stanno abbandonando o riducendo l’impiego di pellicce e pelli di coccodrillo o altri animali esotici, in seguito a campagne di sensibilizzazione di associazioni animaliste e al crescente interesse dei loro clienti verso il benessere degli animali. A dicembre Chanel aveva deciso di non vendere più abiti o accessori in pelle di serpente, coccodrillo, lucertola per la difficoltà di tracciarne la provenienza così da assicurarsi che non fossero illegali. A inizio 2019 i grandi magazzini britannici Selfridges avevano detto che avrebbero vietato la vendita di pellame esotico dall’anno successivo; lo stesso aveva promesso nell’aprile del 2018 il presidente del gruppo Prada, Carlo Mazzi.

Exotic Leather South Africa è nata nel 2013 e, anche grazie al finanziamento del governo sudafricano studia e promuove la produzione etica ed eco-sostenibile di pelle di coccodrillo, struzzo e pitone. Si rivolge non solo agli allevatori ma anche a tintori, artigiani e rivenditori. Al momento al suo programma dedicato ai coccodrilli sono iscritte cinque aziende, che nell’allevamento degli animali devono rispettare alcune linee guida, tra cui un numero massimo di animali per ogni recinto, un nutrimento adeguato, e l’obbligo di far perdere conoscenza ai rettili prima di ucciderli, per limitare il loro dolore. Le cinque aziende forniscono circa il 20 per cento delle pelli usate nel mercato della pelle di coccodrillo del Nilo, che vale circa 300 milioni di dollari: la speranza, spiega il WSJ, è di convincere i clienti ad acquistare pelle di coccodrillo garantendo trasparenza e benessere agli animali. Tra questi allevamenti c’è quello di Le Croc, dove a ogni coccodrillo è assegnato un numero identificativo che sarà poi riportato sulla borsetta o sulla cintura ricavata dalla sua pelle, e che permetterà di risalire così all’allevamento, al recinto e al singolo animale.

Per ora nessuna delle grandi aziende di moda ha firmato un accordo con Exotic Leather South Africa, ma lo ha fatto per esempio il marchio sudafricano Cape Cobra Leathercraft, che produce accessori in pelle di serpente, struzzo e pitone ottenuta in modo etico. Cape Cobra ha 15 punti vendita in Sudafrica, otto boutique negli Stati Uniti, negozi a Londra e a Lagos, in Nigeria; produce anche per altre aziende ma non ne rivela il nome. Cape Cobra iniziò circa otto mesi fa a vendere borsette in coccodrillo dotate di codici QR che permettevano ai clienti di risalire al numero identificativo dell’animale da cui erano state ricavate. Per ora i clienti devono contattare Cape Cobra e riferire il numero per ottenere informazioni, ma il progetto prevede che in futuro basti scannerizzare il codice per averle. Robert Schafer, manager dell’azienda, ha detto che soprattutto i clienti più giovani hanno reagito positivamente a questi prodotti e che, in generale, rispetto allo stesso periodo dell’ultimo anno le vendite sono cresciute del 30 per cento.

I prodotti di pelle esotica sono una piccolissima parte del mercato del lusso ma sono tra i più cari. Il WSJ scrive per esempio che una borsa Zumi di Gucci in coccodrillo di misura media costa 29mila euro; una Birkin di Hermès in coccodrillo costa tra i 30 e i 45mila dollari; la borsa Capucines PM è realizzata in pelle di coccodrillo costa 27mila euro. Per le aziende è molto importante rassicurare i clienti sulla provenienza delle loro pelli e molte hanno iniziato a dotarsi di proprie linee guida e a pubblicarle, come ha fatto per esempio di recente Kering, il gruppo del lusso francese che controlla Gucci, Balenciaga e Yves Saint Laurent, tra gli altri. Non vale solo per gli animali esotici: per esempio Moncler, il famoso produttore di piumini, impiega soltanto le piume di oche allevate per l’industria alimentare (per evitare di allevarne solo per prelevare le loro piume).

L’obiettivo è anche rassicurare i clienti più giovani, quelli più interessati al benessere degli animali e alla sostenibilità ambientale e che nei prossimi anni conteranno sempre di più: il WSJ riporta dati della società di consulenza Bain, secondo cui i Millennials e la Generazione Z (cioè i nati rispettivamente a inizio anni Ottanta e metà anni Novanta), passeranno dal rappresentare il 32 per cento del mercato del lusso del 2017 al 50 per cento entro il 2025.