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  • Mercoledì 22 maggio 2019

Guida alle elezioni europee in Belgio

Dove si vota anche per le elezioni politiche nazionali, e quindi in totale per il rinnovo di sette parlamenti

di Paolo Riva

(AP Photo/Virginia Mayo)
(AP Photo/Virginia Mayo)

Dato il gran numero di istituzioni europee che hanno sede nella sua capitale Bruxelles, il Belgio può essere considerato lo stato capitale dell’Europa. Eppure, per i suoi abitanti le elezioni europee non saranno esattamente la priorità. Domenica 26 maggio, i belgi non sceglieranno solo i loro 21 rappresentanti al Parlamento Europeo, ma anche e soprattutto chi sederà in ben sei parlamenti, tra quello federale, i tre regionali e i due che rappresentano le comunità francofona e germanofona.

Il Belgio infatti è uno stato federale formato dalle regioni autonome delle Fiandre, della Vallonia e di Bruxelles, e con tre distinte tre comunità linguistiche: francese, fiamminga e tedesca. Ci sono però ulteriori divisioni: mentre la comunità fiamminga ha sia il proprio governo sia il proprio parlamento, la comunità francofona e la Vallonia (la regione dove si parla francese) hanno istituzioni distinte, perché hanno confini geograficamente diversi. Hanno poi il proprio governo e il proprio parlamento anche la regione di Bruxelles capitale e la comunità tedescofona. Le differenze tra le regioni sono molto forti, in particolare tra le Fiandre a nord e la Vallonia francofona a sud: il PIL pro capite delle prime è di 39.800 euro, quello della seconda di 25.300, al di sotto della media europea. Le distanze economiche e culturali pesano molto sulla frammentata politica nazionale, dal momento che ogni comunità ha, di fatto, istituzioni e partiti diversi.

Di cosa si è parlato in campagna elettorale
Tra i temi trattati durante la campagna elettorale, due sono stati quelli più rilevanti: ambiente e immigrazione. Di ambiente – più precisamente, di riscaldamento globale – si è parlato soprattutto grazie agli studenti che sono spesso scesi in piazza numerosi, raccogliendo l’appello lanciato dall’attivista svedese Greta Thunberg. La loro mobilitazione, unita ad alcune manifestazioni più ampie, ha spinto il Parlamento a discutere una legge per il taglio delle emissioni dei gas serra, che però è stata bocciata fra le proteste generali. Ad approfittare della situazione potrebbero essere i Verdi fiamminghi (Groen) e, soprattutto, i Verdi francofoni (Ecolo), che dopo i positivi risultati alle comunali dello scorso ottobre sono dati in netta crescita nei sondaggi.


L’immigrazione invece è la questione sulla quale, a fine dicembre, era caduto il precedente governo, una coalizione di quattro partiti di centrodestra con a capo il liberale francofono Charles Michel (che oggi è alla guida di un governo di minoranza per gestire gli affari correnti). A causare la crisi è stato il partito più votato delle elezioni del 2014, i nazionalisti della Nuova Alleanza Fiamminga (N-VA) che, soprattutto per voce del controverso sottosegretario Theo Francken si erano opposti al cosiddetto “Global Compact”, un innocuo accordo ONU sull’immigrazione, sostenuto invece da Michel. L’N-VA ha fatto della linea dura in materia di immigrazione uno dei suoi punti di forza, soprattutto dopo gli attacchi terroristici del 2016. E la strategia, pensata anche per sottrarre voti all’estrema destra fiamminga di Vlaam Belang, al momento sembra funzionare.

Un paese più europeista della media
Il fatto che l’attenzione durante la campagna elettorale si sia concentrata più su temi nazionali che comunitari, come del resto accade in molti altri stati membri, non va attribuito a un sentimento anti-europeo dei cittadini belgi. Il 71 per cento di loro considera positivamente l’adesione del Belgio all’UE, a fronte di una media continentale del 62 per cento. Anche l’affluenza alle elezioni europee, per quanto innalzata dall’obbligo di voto, sembra confermarlo: dal 1979 ad oggi il dato è sempre rimasto vicino al 90 per cento.

Vengono dal Belgio anche alcune figure rilevanti tra i candidati al prossimo Parlamento Europeo. Su tutte spicca quella di Guy Verhofstadt. Liberale fiammingo, ex primo ministro belga, da lungo tempo a capo del gruppo ALDE, è considerato dal centro studi Vote Watch Europe il nono europarlamentare più influente ed è noto al pubblico italiano soprattutto per aver definito il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte «un burattino» nelle mani di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, durante l’ultima visita di Conte al Parlamento Europeo (Verhofstadt si è espresso in italiano perché possiede una fattoria in Umbria, dove produce vino).


Verhofstadt fa parte del gruppo dei candidati liberali alla Commissione Europea e spera di ricoprire un ruolo di spicco nella prossima legislatura: si dice che punti in particolare alla carica di presidente del Parlamento Europeo. Seppur meno conosciuto, il sindacalista belga Nico Cué è ufficialmente candidato alla presidenza della prossima Commissione. Di origine spagnole, è cresciuto in Belgio al seguito del padre minatore e oggi, dopo una lunga carriera da sindacalista, è uno dei due spitzenkandidaten della sinistra radicale. È quello che nell’unico dibattito ufficiale fra i candidati presidenti ha parlato in francese, mentre tutti gli altri si esprimevano in inglese.

Cosa dicono i sondaggi
Premesso che nel 2014 si registrarono significative differenze tra il voto nazionale e quello europeo, i sondaggi danno nettamente in testa l’N-VA, e in netta crescita i Verdi (che, se si sommassero i voti di Ecolo e Groen, potrebbero anche diventare il primo partito). Sono invece in calo i Socialisti e i Liberali, mentre potrebbe ottenere un seggio per la prima volta nella sua storia il Parti du Travail de Belgique, un partito di sinistra radicale. In totale, se le previsioni dovessero rilevarsi corrette, i 21 seggi che spettano al Belgio al parlamento UE verrebbero assegnati a ben 12 partiti che si distribuirebbero piuttosto equamente nei gruppi parlamentari esistenti.

L’unico dubbio riguarda la collocazione dall’N-VA e dei suoi 4 seggi. Nella precedente legislatura il partito faceva parte del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), quello dei Conservatori britannici e della destra radicale polacca: confermerà la sua adesione oppure, in un momento di riassetto della destra europea, sceglierà di cambiarla? Il suo capolista Geert Bourgeois ha smentito ogni possibilità di passare insieme a Salvini e Marine Le Pen (dove tra l’altro già si colloca Vlaams Belang), ma la certezza arriverà solo con l’insediamento del nuovo parlamento.

L’elevata frammentazione politica non riguarderà solo i risultati delle europee, ma anche quelli delle elezioni federali. Dopo esser stato senza governo per oltre cinquecento giorni tra il 2010 e il 2011, il Belgio teme di ritrovarsi nella medesima situazione di stallo, con davanti a sé mesi e mesi di trattative per cercare di formare una coalizione di governo. Il rischio è concreto, con l’aggravante che questa volta le ripercussioni si farebbero sentire anche a livello europeo. Se il paese restasse senza un governo sarebbe molto difficile far valere gli interessi nazionali appena dopo le elezioni, quando si negozieranno i componenti della nuova Commissione Europea e il governo belga dovrà sostituire Marianne Thyssen, la potente commissaria per l’Occupazione, gli Affari sociali, le Competenze e la Mobilità del lavoro.

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Questo articolo fa parte di una serie di guide alle elezioni europee del 2019. Qui trovate tutte le altre pubblicate finora.