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  • Sabato 18 maggio 2019

In Australia hanno vinto i conservatori

La coalizione di centrodestra al governo è vicina alla maggioranza dei seggi, i Laburisti – dati in vantaggio nei sondaggi – sono andati male

La fila fuori dal seggio elettorale allestito al municipio di Sydney. (AP Photo/Rick Rycroft)
La fila fuori dal seggio elettorale allestito al municipio di Sydney. (AP Photo/Rick Rycroft)

La coalizione conservatrice che governa in Australia ha vinto le elezioni parlamentari di oggi, ottenendo il maggior numero dei seggi e probabilmente confermando il risultato delle scorse elezioni. È una notizia, tanto che il primo ministro uscente – Scott Morrison, del Partito Liberale di centrodestra – ha parlato di «miracolo»: fino a poco tempo fa il Partito Laburista era dato in ampio vantaggio, e anche i sondaggi degli ultimi giorni lo davano per lievemente favorito. Il capo del Partito Laburista, Bill Shorten, sconfitto anche alle elezioni del 2016, ha ammesso la sconfitta. Non è ancora chiaro se la coalizione conservatrice riuscirà a raggiungere i 76 seggi o dovrà stringere altre alleanze o formare un governo di minoranza, ma è praticamente certo che Morrison sarà ancora primo ministro.

In Australia, infatti, il segretario del partito più votato in Parlamento diventa automaticamente primo ministro, e questo fa sì anche che basti un voto interno al partito per arrivare al governo (oltre che rendere evidentemente più facile arrivarci così che candidandosi direttamente alle elezioni). Questo ha reso la politica australiana molto litigiosa: lo stesso Morrison è al governo soltanto da nove mesi, dopo aver vinto una disputa interna col precedente primo ministro e leader del partito, Malcolm Turnbull. Le elezioni in Australia dovrebbero tenersi teoricamente ogni tre anni, ma dal 2007 nessun primo ministro è riuscito a completare il suo mandato, e da allora i capi del governo sono stati ben sette.

Morrison lo scorso agosto decise di contendere la leadership del Partito Liberale all’allora leader e primo ministro Malcolm Turnbull, e vinse. Il voto decisivo era arrivato dopo una settimana di crisi interna al partito, durante la quale Turnbull aveva vinto per un pelo un primo voto di sfiducia. Scott Morrison, 50 anni, era diventato quindi il settimo primo ministro australiano in poco più di 10 anni. Turnbull, che era in carica da circa tre anni, aveva a sua volta preso il posto di Tony Abbott con un voto di sfiducia interno al loro partito. La principale regione della crisi del Partito Liberale erano stati i pessimi sondaggi in vista delle elezioni di oggi.

Scott Morrison con la moglie Jenny. (AP Photo/Rick Rycroft)

Durante la campagna elettorale, le tasse sono stati uno dei temi che più hanno diviso i partiti: i Liberali e la loro coalizione propongono un grosso taglio fiscale per la classe media, e accusano i Laburisti di voler aumentare le tasse per 200 miliardi di dollari. I Laburisti dicono di voler aumentare le tasse a chi guadagna più di 48.000 dollari l’anno, e così trovare le risorse per pagare una serie di ambiziose riforme sociali. Un altro tema importante è l’ambiente e la lotta al cambiamento climatico: i Liberali hanno un piano per ridurre le emissioni, ma secondo molti è il classico “troppo poco, troppo tardi”; il piano dei Laburisti è più ambizioso ma si ferma prima di proporre una tassa sulle emissioni, dopo che in passato un simile esperimento era stato politicamente tragico per un loro governo.

Si è parlato molto anche di salute, perché il Partito Laburista ha deciso di farne il tema principale della sua campagna elettorale: propone di migliorare le terapie contro il cancro e rendere gratuite e facilmente prenotabili tutte le visite di prevenzione e controllo, e di aumentare i fondi a disposizione degli ospedali. Sull’immigrazione, invece, le differenze tra i partiti non sono così grandi: sia i Liberali che i Laburisti, per esempio, sono favorevoli ai respingimenti delle imbarcazioni di migranti che cercano di raggiungere l’Australia (soltanto i Verdi, tra i principali partiti, sono apertamente pro-immigrazione). Il Guardian ha un’utile infografica per confrontare le posizioni tra i vari partiti.

Il capo dei Laburisti, Bill Shorten, in un ristorante cinese di Sydney. (Lukas Coch/AAP Image via AP)

Il primo ministro Morrison dice di essere riuscito a rendere la coalizione più unita e compatta, ma sono stati mesi molto agitati per la politica australiana, e non solo per la sua cronica instabilità: gli elettori più giovani sono frustrati dall’inazione sul clima e sul costo delle case, mentre gli anziani temono soprattutto aumenti delle tasse. In tutto questo, da mesi si discute ancora molto animatamente del riconoscimento formale degli indigeni australiani e del trattamento delle donne in Parlamento, dopo un gran numero di episodi sgradevoli. E tre giorni fa è morto Bob Hawke, che dell’Australia era stato primo ministro dal 1983 al 1991 con i Laburisti, e che è stato ricordato con commozione e stima anche da molti suoi avversari.

Il sistema elettorale australiano è notoriamente particolare, e non solo perché votare è obbligatorio (chi non vota rischia comunque una multa molto bassa, circa 10 euro). Gli elettori inoltre non esprimono soltanto un voto ma devono stilare, sulla scheda elettorale, una propria “classifica” dei candidati che si presentano nel loro collegio. Il sistema è stato creato per premiare, oltre ai partiti più grandi e organizzati che spesso finiscono in cima alle preferenze, anche i più piccoli e che meno “dispiacciono” all’elettore: in prospettiva, per il sistema stesso con cui vengono assegnati i seggi, per un partito piccolo è molto più conveniente essere tra le prime posizioni di molti elettori piuttosto che essere al primo posto tra pochi.

Un elettore a Sydney. (AP Photo/Rick Rycroft)

Sulla base di questo sistema molti partiti piccoli stringono accordi politici fra di loro o con i partiti più grossi per ottenere una buona posizione nelle classifiche degli altri elettori: nella pratica, fuori dai seggi ogni partito distribuisce ai propri elettori una sorta di “indicazione di voto”, con la classifica “ufficiale” del partito compilata dalla dirigenza in base agli accordi politici, che spesso (anche per pigrizia) viene riprodotta interamente dagli elettori più fedeli al partito.