Da dove arriva l’estrema destra?

La destra radicale e neofascista ha conosciuto cicliche resurrezioni in tutta Europa dopo la Guerra: ma questa è una grossa

di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca

(AP Photo/Andrew Medichini)
(AP Photo/Andrew Medichini)

La protesta intorno alla presenza al Salone del Libro di Torino di un editore di dichiarate opinioni favorevoli al fascismo ha fatto molto discutere, e alcuni autori hanno deciso di ritirare la loro partecipazione al Salone. Altri hanno fatto notare che non partecipare significa lasciare campo libero ai propri avversari, o hanno ricordato che libri di propaganda fascista erano già stati negli stand del Salone in passato. I sostenitori del boicottaggio hanno risposto alle critiche sostenendo che rispetto al passato sia cambiato il contesto: se un tempo le posizioni fasciste erano isolate, stigmatizzate e minoritarie, oggi trovano indulgenza e accoglienza presso molte forze di governo locali e nazionali. In loro nome sempre più spesso vengono commesse azioni violente, e gli stessi editori contestati a Torino hanno precedenti e condanne per reati violenti. Partecipare a un evento con i rappresentanti di questi approcci, sostengono i promotori del boicottaggio, significa abbassare la soglia della tolleranza e dare spazio non a “opinioni” ma a odio e violenza.

Il dibattito è intorno a due visioni diverse: siamo di fronte a un “ritorno del fascismo” o quello che vediamo c’è sempre stato e ora è solo meno condannato? Anche se sembra contraddittorio sostenere che l’estrema destra stia ritornando e allo stesso tempo che non se ne sia mai andata, sono vere entrambe le cose. È una questione di dimensioni.

Secondo un recente studio, negli ultimi 15 anni la destra radicale ha triplicato i suoi consensi in Europa. Nel frattempo i partiti politici di centrodestra si sono spostati a destra, sono aumentati gli atti di violenza per motivazioni razziali e gli attacchi terroristici di estrema destra. Tuttavia l’estrema destra non è nata con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca o con la nomina di Matteo Salvini a ministro dell’Interno. Ha invece una storia che ricomincia già alla fine della Seconda guerra mondiale dopo la sconfitta di nazismo e fascismo, ha ottenuto successi e subito sconfitte, è mutata per adattarsi alle circostanze pur rimanendo sempre identificabile come qualcosa che è utile chiamare “estrema destra”, piuttosto che “sovranismo” o altri vocaboli simili. Anche se non esiste una precisa definizione universalmente accettata, c’è un accordo sostanziale tra gli studiosi su che cosa comprenda questo insieme: partiti che esprimono in vario grado elementi di nazionalismo, nativismo, varie forme di razzismo e xenofobia o che abbiano legami con movimenti esplicitamente neonazisti o neofascisti, e predichino e pratichino approcci violenti, prevaricatori e antidemocratici.

Tra gli alti e bassi in cui l’estrema destra è incorsa nel dopoguerra, alcuni storici e politologi hanno individuato tre “ondate” durante le quali l’estrema destra europea ha goduto di particolari fortune (e secondo una parte di questi studiosi oggi ci troveremmo al culmine di una quarta ondata).

La prima ondata è quella “nostalgica”, che i reduci dei vecchi regimi fascisti formarono subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale. L’esempio maggiore è il Movimento Sociale Italiano (MSI), fondato nel 1946 da un gruppo di ex combattenti e dirigenti fascisti della Repubblica di Salò, tra cui lo storico leader del partito, Giorgio Almirante.

Il leader del MSI Giorgio Almirante durante un comizio a Milano (ANSA/OLDPIX)

La seconda ondata si sviluppò a partire dalla fine degli anni Cinquanta e fu caratterizzata da una retorica populista, antipolitica e antitasse che piaceva soprattutto a commercianti e piccoli agricoltori. I principali movimenti di questa seconda ondata furono l’UDTA francese, fondata dal francese Pierre Poujade (da cui il soprannome “poujadist” per questo tipo di movimenti), e i due “Partiti del progresso” fondati negli anni Settanta in Danimarca e Norvegia, per protestare contro il ruolo dello Stato socialdemocratico scandinavo.

La terza ondata è quella a noi più vicina e quella che di solito viene ricordata con più facilità; fu anche quella che raccolse i maggiori successi elettorali (almeno fino a oggi). Tra i più importanti, quelli raccolti in Francia negli anni Ottanta dal Front National, il partito di destra radicale guidato dall’ex militare poujadista, negazionista e antisemita Jean-Marie Le Pen, il padre di Marine Le Pen.

La teoria politica con cui Le Pen ottenne il consenso di molti francesi era un mix di difesa dell’identità francese e politiche economiche neoliberali (riduzione del perimetro dello Stato, taglio delle tasse e dei sussidi destinati ai “parassiti sociali”). Quando negli anni Novanta il partito iniziò ad aver successo in particolare tra i ceti più deboli, Le Pen modificò il programma economico per puntare meno sul taglio della spesa e concentrarsi su sussidi “sciovinisti”, mirati a includere soltanto i francesi ed escludere esplicitamente tutti gli altri. Il Front National era nato dall’alleanza di numerose piccole sigle dell’estrema destra e uno dei fattori del suo successo era stato proprio ripulire la sua immagine dall’esplicita nostalgia del fascismo di quei gruppi. Al posto della tradizione autoritaria classica, il nuovo partito proponeva la difesa dell’identità tradizionale francese contro l’immigrazione, il multiculturalismo e la modernità più in generale, come suggerito dalla scuola della “Nuova Destra”, il movimento intellettuale fondato negli anni Settanta dal filosofo francese Alain de Benoist.

Jean-Marie Le Pen a un comizio durante la campagna elettorale del 2002 (Pascal Le Segretain/Getty Images)

Con questa impostazione, che sarà copiata dalla destra radicale in tutta Europa, Le Pen si alleò con i principali partiti del centrodestra tradizionale e ottenne alcune spettacolari e inaspettate vittorie nel corso di una serie di elezioni suppletive a metà del decennio, ottenendo lo spazio necessario per fare un salto di qualità nazionale. Divenuto uno dei principali attori della vita pubblica francese, Le Pen continuò a negare l’Olocausto e a mantenere i suoi legami con i gruppi neofascisti. Dopo aver consolidato il partito per un decennio, nel 2002 arrivò al più importante risultato della sua storia fino a quel momento. Al primo turno delle presidenziali sconfisse il candidato socialista arrivando secondo dietro Jaques Chirac e ottenendo così accesso al ballottaggio, quindici anni prima che la stessa cosa riuscisse a sua figlia Marine. Al secondo turno Le Pen fu largamente sconfitto, come poi sua figlia, e negli anni successivi dovette subire l’approvazione di una serie di leggi elettorali fortemente penalizzanti per il suo partito (che infatti non è mai riuscito a vincere un’elezione locale). Il Front National entrò così in una lunga fase di declino durata fino al 2014, quando il partito rivitalizzato dalla guida di Marine si piazzò primo alle elezioni europee con il 24 per cento dei voti.

Se a Le Pen spetta il titolo di primo esponente della “terza ondata” dell’estrema destra europea, quello di leader di maggior successo appartiene all’austriaco Jörg Haider, capo del Partito della libertà (FPÖ), tre volte governatore della Carinzia e vincitore assoluto delle elezioni austriache del 1999. Diventato segretario nel 1986, Haider, un giovane avvocato di provincia cresciuto nella giovanile del partito, spostò a destra la piattaforma liberale, moderata e pangermanista del FPÖ (quando Haider ne prese la guida il partito era alleato di governo dei socialdemocratici). Pur promettendo di ridurre la spesa pubblica, le tasse e l’intervento dello stato in economia, Haider introdusse nel programma del partito la lotta all’immigrazione e la difesa dell’identità austriaca in chiave antieuropea e antislamica.

Come Le Pen, Haider ricevette l’aiuto dei centristi nel raggiungere i suoi primi successi. Nel 1989, grazie ai voti dei democristiani austriaci, divenne governatore della Carinzia ottenendo fama a livello europeo (dovette però dimettersi molto presto quando, per difendere la sua proposta di tagliare i sussidi di disoccupazione, lodò la politica del lavoro del governo nazista). Nel 1993, considerato da tutti i governi europei un estremista nostalgico dei regimi dittatoriali, Haider lanciò la campagna “Prima l’Austria!” con cui intendeva introdurre nuove e più severe leggi contro l’immigrazione. Alle elezioni del 1999, sfruttando il fascino di “nuovo arrivato” sulla scena politica e attaccando l’alleanza tra socialisti e popolari che aveva governato l’Austria per tutto il dopoguerra, Haider ottenne un risultato storico portando l’FPÖ a diventare il secondo partito del paese con il 27 per cento dei voti (più di 5 volte i consensi che aveva quando ne era diventato il leader).

Jörg Haider, a sinistra, con lo psichiatra Victor Frankl, nel 1995 (AP Photo/Ronald Zak)

I centristi del Partito Popolare Austriaco (ÖVP) accettarono di formare un governo insieme a lui (Haider acconsentì a non farne personalmente parte per questioni di opportunità) e la notizia finì sulle prime pagine dei giornali di tutto il continente: con la possibile eccezione di Alleanza Nazionale in Italia (che vedremo tra poco) era la prima volta che un partito di destra radicale otteneva un posto di governo in un paese europeo. Lo scandalo fu tale che gli altri 14 membri dell’Unione Europea decisero di imporre sanzioni, rifiutando ogni contatto bilaterale con il governo austriaco e minacciando ulteriori ripercussioni se lo spirito democratico dei trattati europei fosse stato violato. Non ce ne fu bisogno. L’FPÖ fu danneggiato dagli anni trascorsi al governo, in cui appoggiò una serie di politiche che contribuirono alla perdita di numerosi voti tra le classi popolari. In seguito ad alcune sconfitte locali, Haider e altri leader del FPÖ fondarono un nuovo partito localistico. Haider vinse due volte le elezioni regionali in Carinzia, ma l’FPÖ cessò di essere una forza importante a livello nazionale fino al suo ritorno al governo due anni fa (Haider è morto nel 2008 in un incidente stradale).

Negli stessi anni in cui si affermava Haider, poco più a nord, un altro partito di estrema destra otteneva un effimero ma spettacolare successo nel paese dove meno ci si aspettava spazio per la destra estrema. I Repubblicani vennero fondati nella Germania Ovest nel 1983 da alcuni scissionisti del partito centrista bavarese CSU e dal giornalista e conduttore Franz Schönhuber, un ex membro del partito nazista e volontario delle SS durante la Seconda guerra mondiale. Schönhuber, che prese la guida del partito nel 1985, voleva creare un partito di destra populista simile a quello di Le Pen in Francia. Oltre al contrasto all’immigrazione e alla difesa della cultura e della nazione tedesca, il suo programma proponeva il tipico mix di politiche neoliberali e welfare sciovinista comune a quasi tutti i partiti di estrema destra dell’epoca: tagliare spesa pubblica e sprechi, aiutare le piccole e medie aziende e sostenere i lavoratori tedeschi e la famiglia tradizionale. Alle elezioni europee del 1989 ottenne un inaspettato 7,1 per cento dei voti, che arrivò quasi al 15 per cento in Baviera, il più ricco e popoloso land del paese. La leadership del partito però si divise quasi subito e dopo la riunificazione del paese fallì nell’attrarre i voti dei lavoratori più poveri della Germania Est. Il partito, pur continuando a partecipare alle elezioni, non riuscì più a superare la soglia di sbarramento.

Negli anni Novanta la terza ondata dell’estrema destra arrivò anche in Scandinavia, dove spinse i Partiti del Progresso di Danimarca e Norvegia, che introdussero nei loro programma i temi della difesa dell’identità locale, della lotta all’immigrazione e dell’opposizione alla religione islamica. Nel 1995 da una scissione del Partito del progresso danese nacque il Partito del popolo danese, una formazione di autentica destra radicale che con il suo programma fortemente islamofobo (oltre che a favore della riduzione delle tasse e della spesa pubblica) ottenne un ottimo risultato nel 2001, diventando necessario per garantire al centrodestra una maggioranza con cui governare. Dopo un decennio di calo nei consensi, dal 2015 il Partito del popolo danese è di nuovo molto forte, diventando il secondo partito del paese e tornando a fornire appoggio esterno al governo. Recentemente ha fatto parlare di sé per l’idea di un suo ministro di rinchiudere tutti i migranti che il paese non riesce ad espellere in un’isola dove un tempo si facevano esperimenti su malattie infettive degli animali.

Gianfranco Fini al Congresso di Fiuggi nel 1995 (ARCHIVIO ANSA)

Mentre in tutta Europa era in corso questo spostamento verso destra, in Italia stava avvenendo il processo opposto. Gli anni Novanta furono quelli della cosiddetta “Svolta di Fiuggi”, il congresso che nel 1995 segnò la trasformazione del vecchio Movimento Sociale neofascista in Alleanza Nazionale, un’idea di partito di destra più moderno e democratico. La svolta fu il risultato dei lunghi sforzi del leader del partito Gianfranco Fini, che fin dai primi anni Novanta aveva cercato di allontanare il partito dalle nostalgie fasciste e di trasformarlo in un forza di destra nazionale, conservatrice e socialmente accettabile. Il lungo percorso portò Fini, nei primi anni Duemila, a visitare il museo dell’Olocausto di Gerusalemme e a definire il fascismo “male assoluto”, non senza tensioni, proteste e defezioni all’interno del partito. Anche grazie a questa sua opera di riposizionamento, la sua partecipazione al governo con Silvio Berlusconi nel 1994 non suscitò lo stesso scandalo europeo che avrebbe generato cinque anni dopo la vittoria di Haider alle elezioni austriache.

Lo spostamento verso il centro del MSI/AN lasciò un ampio vuoto a destra che una serie di forze politiche cercarono di occupare. I dissidenti interni del partito, guidati dal più anziano rivale di Fini, Pino Rauti, fondarono il Movimento Sociale Fiamma Tricolore, rivendicando l’eredità del MSI. Intorno a questo gruppo si radunarono attivisti e militanti di tutto lo sparpagliato scenario dell’estrema destra, concordi nella loro opposizione alla svolta moderata di Fini. Dalla Fiamma Tricolore nacque, nel 1997, Forza Nuova, fondata da Roberto Fiore e Massimo Morsello, entrambi condannati in passato per la loro partecipazione a movimenti terroristici di estrema destra. Nel 2008 se ne distaccò CasaPound, nato inizialmente come movimento per la casa ed entrato nella Fiamma Tricolore con la sua associazione giovanile, il Blocco Studentesco.

Ma i piccoli partiti di destra non riuscirono mai competere con il “restyling” di Alleanza Nazionale o ad avvicinarsi ai risultati del vecchio MSI. Secondo alcuni scienziati politici, il partito che in Italia ha interpretato maggiormente la terza ondata di estrema destra è la Lega Nord di Umberto Bossi, arrivata da percorsi molto diversi. Nata alla fine degli anni Ottanta, era il più forte di una serie di movimenti regionalisti spuntati di fronte alle prime avvisaglie di crisi della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista, le forze politiche egemoni fino a quel momento. Crebbe come una federazione di partiti dedicati alla lotta per l’autonomia regionale del Nord Italia, ma dalla seconda metà degli Anni Novanta svoltò intorno alla personalità del suo leader Umberto Bossi, che iniziò ad adottare una retorica sempre più radicale.


Secondo uno studio del 2011 di due ricercatori, Carlo Ruzza e Stefano Fella, tra 1994 e 2001 la Lega incrementò di quattro volte il numero di dichiarazioni protezionistiche, nazionaliste e a favore del welfare per i soli italiani. Fallita la campagna per la “secessione”, Bossi si dedicò alla lotta all’Unione Europea e al multiculturalismo. Le origini autonomiste del partito e il disprezzo di Bossi per il fascismo storico lo tennero lontano da quello che all’epoca era il faro dell’estrema destra europea, Jean-Marie Le Pen, considerato il simbolo del centralismo statalista. Bossi però si avvicinò a Jorg Haider, che in quanto governatore di una regione era molto più in linea con le sue idee autonomiste. Quando tornò al governo nel 2001, la Lega era diventata un partito antislamico, antieuropeo, anti-LGBT e il cui leader sosteneva regolarmente teorie del complotto sulla “sostituzione etnica”. I suoi ministri promettevano di portare maiali a spasso sui terreni destinati a ospitare moschee e minacciavano di accogliere con le armi le navi dei migranti.

(L’estremista, come Matteo Salvini ha usato l’estrema destra per costruire la nuova Lega)

L’attuale segretario della Lega, Matteo Salvini, ha completato il percorso iniziato dal suo predecessore, tenendo sullo sfondo l’originario messaggio autonomista e accentuando ancora di più i caratteri estremisti e radicali: col risultato di accogliere verso la Lega molti consensi ed esperienze provenienti dai gruppi post-fascisti (nei recenti successi centromeridionali della Lega, i candidati ed eletti sono spesso provenienti da militanze nell’estrema destra storica). Il suo successo alle elezioni del 2018, quando ha superato Forza Italia arrivando a poco più di un punto percentuale dal Partito Democratico, rappresenta secondo alcuni studiosi il culmine della “quarta ondata”, quella che con la crisi ha visto il risorgere dell’estrema destra francese, austriaca e danese, la rinascita di quella tedesca sotto nuovo nome (Alternativa per la Germania, AFD), il suo sbarco nei paesi scandinavi che non aveva ancora sfiorato (Svezia, con gli Svedesi Democratici, e Finlandia, con i Veri Finlandesi) e l’arrivo sulla scena di quella proveniente dai paesi dell’Est Europa, Ungheria e Polonia.

Tra gli studiosi, però, non c’è affatto accordo su quale sarebbe la caratteristica che unisce questa quarta ondata. Per alcuni è una svolta “sociale” in cui i partiti di estrema destra hanno affiancato ai loro temi tradizionali una maggiore attenzione alla protezione delle categorie più deboli (tutela delle pensioni, welfare sciovinista). Per altri è l’ostilità alla globalizzazione, il sovranismo, l’euroscetticismo, l’utilizzo dei social network, le fake news o addirittura le interferenze delle Russia. Molti altri non sono nemmeno convinti che queste “ondate” siano in qualche maniera collegate e che invece non siano semplicemente la coincidenza di fenomeni prodotti da cause locali.

Le teorie non mancano. Come ha scritto uno dei principali studiosi del fenomeno, lo scienziato politico olandese Cas Mudde, ogni “ondata” di estrema destra ha coinciso con un’ondata di articoli giornalistici e accademici sul tema. Quello che sappiamo è che nel Secondo dopoguerra l’estrema destra ha conosciuto numerosi cicli di successo seguiti da momenti di decadenza. L’estrema destra italiana è ora protagonista di uno dei cicli di successo e uno di quelli destinati ad essere ricordati. È impossibile prevedere il futuro, ma se alle elezioni europee la Lega confermerà il risultato che le attribuiscono sondaggi, diventerà il più grande partito della destra radicale europea dagli anni Trenta.