Si può imparare qualcosa dall’incendio di Notre-Dame?

Sì, secondo gli esperti di conservazione dei beni culturali: è meglio prevenire i restauri con una buona manutenzione

La cattedrale di Notre-Dame, a Parigi, il 17 aprile 2019 (Dan Kitwood/Getty Images)
La cattedrale di Notre-Dame, a Parigi, il 17 aprile 2019 (Dan Kitwood/Getty Images)

L’incendio che ha gravemente danneggiato la cattedrale di Notre-Dame di Parigi è stato probabilmente causato dalla combinazione di un incidente e di alcune caratteristiche della chiesa: la struttura del tetto era fatta interamente in legno e non c’era un sistema antincendio moderno per evitare di snaturare l’architettura medievale. A posteriori, si sta parlando di come l’incendio si sarebbe potuto evitare, e di come si potrebbero evitare eventi simili in altri edifici storici d’Europa.

In tutto il continente sono moltissime le costruzioni con un valore culturale che si trovano in condizioni simili a quelle di Notre-Dame prima dell’incendio, se non peggiori: la stragrande maggioranza di questi monumenti, molto meno nota della cattedrale parigina, fa peraltro molta più fatica ad attrarre fondi per operazioni di restauro e manutenzione.

Alla questione ha dedicato un articolo di approfondimento Associated Press, che ha intervistato tra gli altri Tibor Navracsics, commissario europeo per Educazione, cultura, gioventù e sport: «In Europa siamo così abituati al nostro eccezionale patrimonio culturale che tendiamo a dimenticare che ha bisogno di cura e attenzione costanti». Sneska Quaedvlieg-Mihailovicis, segretaria generale di Europa Nostra, l’ong pan-europea che si occupa della difesa del patrimonio culturale, ha paragonato l’incendio di Notre-Dame a un campanello d’allarme per tutti gli altri edifici storici del continente: «È come se la cattedrale si fosse sacrificata per la causa».

Notre-Dame non è il primo edificio culturalmente rilevante a bruciare in tempi recenti: nel 1985 capitò alla torre della più importante chiesa del Lussemburgo, nel 1996 al Gran Teatro La Fenice di Venezia, nel 1997 alla Cappella della Sindone adiacente al Duomo di Torino, nel 2004 alla biblioteca della Duchessa Anna Amalia di Weimar, in Germania: solo quest’ultimo incendio causò 80 milioni di euro di danni. In tutta la Germania 70 edifici storici sono stati distrutti dal 2000 a oggi, e secondo uno studio del 2015 realizzato da Siemens nella sola Scozia ci sono circa dieci incendi del genere ogni anno. Non ci sono però statistiche precise sul numero di edifici storici danneggiati dagli incendi in tutta Europa, anche perché alcuni sono causati da incidenti, altri sono dolosi, e per questo vengono registrati in modo diverso.

Juan Antonio Herráez, coordinatore dei progetti di conservazione preventiva dell’Instituto del Patrimonio Histórico Español, ha detto ad AP: «Ogni anno ci sono fulmini o altro che distruggono una torre o un tetto».

Cosa è andato storto, a Notre-Dame?

Capita spesso che questi incidenti avvengano durante i lavori di ristrutturazione: è capitato con Notre-Dame e con la Cappella della Sindone, ma non solo. L’anno scorso il Mackintosh Building dell’Accademia di belle arti di Glasgow, in Scozia, fu danneggiato da un incendio per la seconda volta in quattro anni poco prima della fine di un progetto di restauro multimilionario. Nel 1994 era successo al teatro dell’opera di Barcellona, il Gran Teatre del Liceu, che fu quasi completamente distrutto per una scintilla caduta su un sipario durante una manutenzione di routine.

Secondo gli esperti, se invece di fare periodicamente grossi restauri ci si impegnasse di più sulla manutenzione, si eviterebbero più facilmente gli incendi. Herráez ha detto ad AP: «I restauri dovrebbero essere considerati come un fallimento della conservazione. Se ci occupassimo di quella, spenderemmo soldi in manutenzione ma minimizzeremmo i danni potenziali in caso di disastri». Navracsics è d’accordo: «Non dobbiamo dimenticare che anche non fare nulla ha un costo».

Il problema è che anche la manutenzione costa denaro e dà meno visibilità di un grosso intervento: i grandi restauri, specialmente nel caso di edifici e monumenti molto noti come Notre-Dame, danno grande prestigio, sia ai politici che hanno trovato i fondi per realizzarli che alle aziende che li hanno finanziati. Non è un caso se dopo l’incendio di Notre-Dame è stato raccolto più di un miliardo di euro per la ricostruzione, grazie alle donazioni di alcune ricchissime famiglie francesi (ad esempio gli Arnault del gruppo del lusso LVMH e i Bettencourt di L’Oréal) e di grandi aziende come la compagnia petrolifera Total e la banca BNP Paribas. La somma raccolta finora per Notre-Dame è pari a tre anni di budget nazionale francese per i restauri.

Anche in Italia alcune grandi aziende si sono fatte notare finanziando lavori di restauro di monumenti molto noti: Tod’s lo ha fatto con la facciata del Colosseo, a Roma, Fendi con la Fontana di Trevi; Diesel con il ponte di Rialto, a Venezia. Secondo Quaedvlieg-Mihailovicis, queste donazioni sono la dimostrazione che «il denaro non è il problema»: si potrebbero benissimo investire somme più piccole per salvaguardare il resto del patrimonio, compresi gli edifici meno noti e importanti.

L’Unione Europea ha stanziato 4,7 miliardi di euro per le operazioni di restauro, da aggiungere alle spese dei singoli stati, nel budget 2014-2020: il problema è che dopo la crisi economica di dieci anni fa sono stati fatti del tagli alle spese nazionali per i restauri e per questo in molti casi i lavori sono stati finanziati dai privati.