Due oggetti per spargere in giro meno microplastiche

Quelle che finiscono nello scarico quando laviamo indumenti sintetici, come i pile, e che contribuiscono all'inquinamento di fiumi e mari

Un sacco Guppyfriend (STOP! Micro Waste)
Un sacco Guppyfriend (STOP! Micro Waste)

La settimana scorsa i paesi membri del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEA) si sono accordati su un impegno comune a «ridurre significativamente» l’uso di plastica usa e getta entro il 2030. Da molti mesi l’Unione Europea sta lavorando per vietare la commercializzazione di prodotti come stoviglie e cotton fioc di plastica. Questi sono solo alcuni esempi di come in tutto il mondo si stia cercando di limitare la diffusione della plastica, che è tra le principali cause di inquinamento dei fiumi e degli oceani. Secondo uno studio del 2017 più dell’85 per cento della plastica nei mari proviene da 10 fiumi, tutti in Asia o in Africa, ma questo non significa che una parte non arrivi anche da paesi come l’Italia: succede ad esempio attraverso le lavatrici.

In mezzo alle cosiddette microplastiche, cioè quei piccolissimi frammenti di plastica che si trovano a galleggiare sulle superfici degli oceani e che sono perlopiù formate dallo sgretolamento di rifiuti più grossi, ci sono infatti anche microfibre provenienti dai tessuti sintetici. Come ha scoperto a malincuore anche il blogger del Post Stefano Tartarotti, quando certi indumenti fatti di tessuti sintetici (dunque di derivati del petrolio, come la plastica) vengono lavati in lavatrice, perdono microfibre che finiscono nell’acqua di scarto delle case e da lì nei fiumi e poi nei mari. Succede ad esempio con gli indumenti fatti di tessuto pile. L’Università della California ha collaborato con l’azienda Patagonia per uno studio su 4 giacche sintetiche diverse, tre di pile e una di nylon con un’imbottitura di poliestere: in media ognuna delle giacche ha perso più di un grammo di microfibre a lavaggio, in quantità maggiori dopo essere state sottoposte a un trattamento di invecchiamento artificiale.

Per risolvere il problema della dispersione delle microfibre si potrebbero pensare tante diverse soluzioni. I produttori di lavatrici potrebbero integrare nelle proprie macchine filtri fatti apposta, ma di certo questa non è la soluzione più semplice né la più facilmente applicabile, anche considerando la durata di vita di una lavatrice e quante ce ne sono al mondo. Da qualche anno però chiunque può provare a ridurre la propria diffusione di microfibre nelle acque di scolo grazie a un paio di oggetti ideati a questo scopo. Uno dei due si può comprare in semi-esclusiva sul sito di Patagonia, che ha deciso di impegnarsi così per ridurre l’inquinamento causato dai propri prodotti.

Il sacco Guppyfriend
Il primo dei due prodotti in questione è un sacco bianco, largo 50 centimetri e lungo 74, in cui inserire i propri indumenti sintetici prima di metterli in lavatrice: l’acqua passa, le microfibre restano all’interno del sacco – per più del 90 per cento secondo tre test indipendenti fatti fare dai produttori a istituti di ricerca. Una volta finito il lavaggio le microfibre si possono raccogliere dal sacco e smaltire nell’indifferenziato. Guppy Friend, il nome del sacco, significa “amico della poecilia reticulata“, cioè di un piccolo pesce d’acqua dolce tipico delle zone tropicali: le microplastiche negli oceani vengono assorbite dagli animali che ci vivono, per questo sono dannose.


Guppy Friend è stato sviluppato dai tedeschi Alexander Nolte e Oliver Spies, proprietari di una piccola catena di negozi che vendono principalmente attrezzatura per fare surf, Langbrett, insieme all’istituto di ricerca non profit Fraunhofer. È fatto di poliammide 6.6 o nylon 6.6, che perde fibre molto più difficilmente rispetto al poliestere di cui è fatto il pile. L’acqua passa perché le sue superfici sono in realtà reti, finissime: il passo delle maglie è di 0,005 millimetri. Secondo i test dell’istituto Fraunhofer peraltro Guppy Friend protegge gli indumenti sintetici dall’usura causata dai lavaggi: perdono molte meno microfibre usandolo, fino all’86 per cento per gli indumenti completamente sintetici.

Lo sviluppo e la produzione di Guppy Friend sono stati finanziati da Patagonia con 100mila dollari e con una campagna su Kickstarter tra l’ottobre e il dicembre del 2016. In cambio del sostegno di Patagonia il sacco si può comprare, oltre che da Langbrett, solo sul sito dell’azienda californiana. Ma Patagonia non trae profitti dalle vendite di Guppy Friend: lo vende al prezzo a cui lo acquista da Nolte e Spies, che invece usano i propri profitti per finanziare altri progetti per ridurre la diffusione di microplastiche negli oceani.

Al momento sul sito di Patagonia Guppy Friend non si può comprare perché le scorte sono esaurite, ma potete ordinarlo dal sito di Langbrett: la spedizione è gratuita in tutt’Europa, e rispetto a comprarlo da Patagonia si risparmiano anche 25 centesimi; costa 29 euro e 75. Il sito è in tedesco, ma usando la traduzione di Google è facile fare un ordine.

La Cora Ball
L’altro oggetto pensato per risolvere il problema delle microfibre è un aggeggio colorato, una specie di palla con un diametro di 10 centimetri e tanti tentacoli, che, messa nel cestello insieme ai vestiti, cattura le fibre che se ne staccano. Si chiama Cora Ball perché il suo funzionamento imita quello dei coralli: come i coralli filtrano l’acqua attorno a loro per trarne nutrimento, la Cora Ball trattiene le microfibre nell’acqua delle lavatrici. È stata ideata da un’insegnante di windsurf americana, Rachael Miller, che per produrla ha fondato la startup Rozalia Project.

Le Cora Ball (Rozalia Project)

Cora Ball cattura anche i capelli finiti in mezzo ai vestiti, che quindi non finiscono nel filtro della lavatrice, però è meno efficace di Guppyfriend: secondo Rozalia Project trattiene tra un quarto e un terzo di tutte le microfibre che si creano in ogni lavaggio.

Non ci sono rivenditori italiani della Cora Ball, ma tra i negozi online che la vendono alcuni sono europei, dunque acquistandola lì non ci sono da pagare tasse di dogana. Ad esempio si può comprare sul sito olandese Green Jump: costa 34 euro a cui però bisogna aggiungere 17 euro di spese di spedizione.


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Disclaimer: su alcuni dei siti linkati negli articoli della sezione Consumismi (non quelli di questo articolo) il Post ha un’affiliazione e ottiene una piccola quota dei ricavi, senza variazioni dei prezzi. Ma potete anche cercare le stesse cose su Google.