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  • Martedì 5 marzo 2019

Anche il Senato voterà contro Trump sul muro con il Messico

4 senatori appoggeranno la mozione dei Democratici per bloccare lo stato di emergenza voluto da Trump, che sarà costretto a mettere il primo veto della sua presidenza

(Win McNamee/Getty Images)
(Win McNamee/Getty Images)

Lunedì, il capo dei senatori Repubblicani Mitch McConnell ha annunciato che anche il Senato voterà contro lo stato di emergenza voluto dal presidente Donald Trump per costruire il muro al confine tra Stati Uniti e Messico. Il voto riguarda la stessa risoluzione per revocare lo stato di emergenza approvata a fine febbraio dalla Camera: che potesse ottenere l’appoggio del Senato – dove i Repubblicani hanno la maggioranza – era però considerato molto improbabile ed è un pessimo segnale per l’amministrazione Trump.

McConnell ha spiegato che quattro senatori Repubblicani avevano già deciso di votare a favore della risoluzione dei Democratici, abbastanza per farle ottenere la maggioranza di 51 voti di cui ha bisogno per essere approvata. L’ultimo a decidere di votare contro Trump è stato il senatore del Kentucky Rand Paul, che si è aggiunto a Susan Collins, Lisa Murkowski e Thom Tillis.

Proprio Paul, che è considerato molto vicino a Trump, domenica aveva spiegato le sue ragioni in un editoriale sul sito di Fox News. Aveva scritto che il voto, dal suo punto di vista, «non riguarda l’immigrazione e non riguarda un presidente Repubblicano o Democratico» ma una questione di principio sulla separazione dei poteri tra Presidente e Congresso. Lo stato di emergenza, infatti, è una misura solitamente adottata in caso di crisi eccezionali e serve ai presidenti per ottenere la possibilità di spendere fondi pubblici anche senza l’autorizzazione del Congresso. Trump, però, ne aveva approfittato per una questione non considerata di emergenza – la costruzione del muro al confine con il Messico, una sua promessa elettorale – e per aggirare il rifiuto del Congresso di approvare i finanziamenti che chiedeva.

La data per il voto sulla mozione non è ancora stata stabilita, ma sarà probabilmente prima del 15 marzo, quando il Senato chiuderà per un periodo di vacanze. Se come sembra la mozione sarà approvata – Paul ha detto di pensare che altri dieci senatori Repubblicani la appoggeranno –, Trump sarebbe costretto a mettere il veto sulla risoluzione del Congresso, il primo della sua presidenza. Significa che Trump si rifiuterebbe di firmarla e farla diventare legge e che il testo tornerebbe per una seconda volta al Congresso. A quel punto, affinché la mozione sia nuovamente approvata e possa essere ribaltato il veto di Trump, servirebbe sia alla Camera che al Senato la maggioranza dei due terzi dei voti, abbastanza per garantire ai Repubblicani di poterla bloccare.

Il voto del Senato contro Trump – per quanto probabilmente sarà privo di conseguenze concrete – è comunque una cattiva notizia per l’amministrazione, che si è dimostrata incapace di creare coesione intorno a una delle misure che considerava più importanti e ha portato a un’altra divisione del partito. Molti senatori Repubblicani – da Mitch McConnell in giù – hanno spesso parlato del rischio che ci sarebbe nell’approvare lo stato di emergenza per aggirare il Congresso: se la prossima volta a farlo fosse un presidente Democratico, sarebbe infatti molto più difficile votargli contro con coerenza.

Per provare a limitare i guai, McConnell ha detto che proverà a presentare alcuni emendamenti alla mozione dei Democratici, con una procedura che però non è mai stata usata prima d’ora. Se la cosa riuscisse, la mozione tornerebbe per un secondo voto alla Camera e questo potrebbe dare più tempo ai senatori Repubblicani di trovare una linea comune. Qualcuno di loro ha avanzato la possibilità di introdurre dei limiti nell’uso dei fondi che potrebbe fare Trump grazie allo stato di emergenza, ma non sembra che per ora ci siano grosse possibilità che si vada in questa direzione. Trump sa che potrà mettere il veto e che difficilmente il Congresso lo ribalterebbe, e non sembra quindi interessato a fare concessioni.

Se lo stato di emergenza non venisse bloccato dal Congresso, è però possibile che venga bloccato da un tribunale. Sedici stati americani hanno già presentato ricorso contro lo stato di emergenza sostenendo che Trump non abbia il potere di disporre personalmente dei fondi che richiedono l’approvazione del Congresso ed è probabile che la questione finisca davanti alla Corte Suprema. Sempre nel suo editoriale di domenica, Rand Paul ha scritto di ritenere che lì anche alcuni dei giudici nominati da Trump voterebbero contro il presidente, per preservare il principio della separazione dei poteri.