Ci sono grosse proteste in Algeria

Contro il presidente che oggi compie 82 anni, è molto malato e da sette non parla in pubblico: però si vuole candidare per un quinto mandato

Il primo marzo decine di migliaia di persone hanno protestato in Algeria – in particolare nella capitale Algeri – contro la decisione dell’attuale presidente Abdelaziz Bouteflika di candidarsi alle elezioni previste per il 18 aprile. Bouteflika compie oggi 82 anni ed è al governo da venti. Da diverso tempo però è molto malato: le sue apparizioni sono rarissime e il suo ultimo discorso pubblico è di sette anni fa. Chi protesta ritiene che sia ormai incapace di governare e che qualcuno lo stia facendo al posto suo. Le proteste di ieri, in cui sono state ferite 50 persone, sono state descritte come le più grosse degli ultimi trent’anni, ma iniziative e manifestazioni vanno avanti ormai da giorni.

Non ci sono informazioni particolarmente chiare sulle condizioni di salute di Bouteflika. Ha avuto due ictus dal 2013 a oggi e ormai si sposta su una sedia a rotelle. Mustapha Bouchachi, un avvocato e attivista di Algeri, ha detto al New York Times che Bouteflika non è nemmeno più in grado di «leggere e scrivere». Le proteste sono iniziate dopo che Bouteflika ha annunciato la sua candidatura alle prossime presidenziali, che dovrà essere formalizzata il 3 marzo.

Bouteflika era stato un influente e giovane colonnello nell’esercito che negli anni Sessanta combatté per l’indipendenza contro i francesi. In seguito riuscì a fare carriera politica e diventare ministro degli Esteri e, dal 1999, presidente. Bouteflika riuscì a imporsi in una guerra civile in cui sconfisse le forze islamiste e che causò la morte di circa 200mila persone. Il suo primo mandato è ricordato soprattutto perché riuscì a portare un po’ di stabilità economica al paese.

Il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika nel 2015 (AP Photo/Sidali Djarboub, File)

Nel 2008 Bouteflika riuscì a far cambiare la costituzione così da rimuovere il limite di due mandati presidenziali: tre anni dopo superò indenne la cosiddetta Primavera araba e nel 2014 vinse le elezioni con l’81 per cento delle preferenze, pur senza tenere alcun evento di campagna elettorale. Oggi è appoggiato dal Fronte di Liberazione Nazionale, che esiste dal 1954. Fino alle recenti proteste era considerato il favorito (anche perché c’erano dubbi su quanto regolare sarebbe stato il voto), ma ora le cose potrebbero cambiare.

Chi protesta dice di non voler accettare più un presidente che non governa e che probabilmente è solo un prestanome sfruttato da un piccolo circolo di persone che gli stanno vicine e prendono decisioni al posto suo. Si pensa che di questo circolo facciano parte Said Bouteflika, il fratello del presidente, e il generale Ahmed Gaïd-Sala. Fanno entrambi parte, come ha scritto il New York Times, «di una gerontocrazia rimasta dalla guerra di indipendenza di quasi sessant’anni fa».

È comunque presto per dire se le proteste potranno avere conseguenze sulla candidatura di Bouteflika o sulle prossime elezioni. In passato, quando si parlava di proteste in Algeria, si diceva spesso che il ricordo della guerra civile degli anni Novanta fosse ancora forte e vivo, e che i partiti di governo riuscissero a usare la paura di qualcosa di simile per evitare proteste eccessive: semplificando molto, è il motivo per cui la Primavera araba ebbe effetti meno intensi rispetto ad altri paesi dell’area. Ma questa volta le cose sembrano diverse, anche perché molti dei protestanti sono giovani: non ricordano cosa accadde negli anni Novanta, quando probabilmente alcuni di loro nemmeno erano nati.

Come spesso succede, oltre che contro una persona le proteste in Algeria sono poi contro una situazione più ampia. Il paese, le cui entrate provengono per due terzi da gas e petrolio, è in difficolta per via del recente crollo del prezzo del petrolio; e il 70 per cento della popolazione ha meno di trent’anni e in molti casi non ha un lavoro. Fino a quando il petrolio portava tanti soldi il governo riusciva a distribuire una piccola parte della sua ricchezza in diversi programmi sociali, che ora stanno subendo parecchi tagli.