Com’è andata la moda maschile italiana

Foto di presentazioni e passerelle da Firenze, Roma e Milano, dove si sono viste sfilate unificate, streetwear e mostri

La sfilata di Ermenegildo Zegna nella stazione Centrale di Milano, 11 gennaio 2019
(Tristan Fewings/Getty Images)
La sfilata di Ermenegildo Zegna nella stazione Centrale di Milano, 11 gennaio 2019 (Tristan Fewings/Getty Images)

Si è conclusa la stagione della moda maschile italiana di inizio anno, aperta dalla fiera fiorentina di Pitti, che si è tenuta dal 7 all’11 gennaio, proseguita con la collezione di Moschino a Roma e terminata con un weekend di sfilate a Milano, dall’11 al 14 gennaio. Le collezioni presentate da alcune delle principali aziende italiane, da Versace a Fendi, erano quelle per l’autunno-inverno 2019/2020 e alcune erano unificate, mostravano cioè anche la collezione femminile: un po’ per esigenze di mercato un po’ per rispondere alla ricerca di una moda che mescoli e non faccia distinzioni tra i generi.

Il tentativo è riuscito particolarmente bene a Prada, che ha disegnato una collezione incentrata sui film horror e in particolare su quello di Frankenstein per riflettere sulla mostruosità del presente; e a Jeremy Scott, direttore creativo di Moschino, che ha mandato in passerella a Cinecittà modelli in gonna di tulle e modelle vestite da soldati romani, in un’atmosfera che ha definito surreale e felliniana, «fatta di eccessi, showgirl fuori servizio, Casanova», un mondo – ha scritto Vogue – dove «i pazzi hanno il potere, e dove l’iperbole e l’eccesso sono la nuova normalità».

Un’altra riflessione sul presente è arrivata da Ermenegildo Zegna, che ha sfilato sulla scalinata della stazione Centrale di Milano, in cerca di rispetto e accoglienza: «abbiamo bisogno di apertura e inclusione» ha riassunto lo stilista creativo Alessandro Sartori.
È arrivata anche la prima collezione di Versace dopo l’acquisizione da parte dell’azienda statunitense di Michael Kors: la direttrice creativa Donatella Versace ha rassicurato chi temeva un possibile snaturamento facendo profusione dei motivi distintivi del marchio, di colori brillanti, borchie, pelle, raso e abiti femminili sensuali e succinti indossati da modelle come Kaia Gerber, Bella Hadid e Vittoria Ceretti: nessuno può dimenticarsi del genere finché in giro c’è Donatella Versace, ha commentato il critico Guy Trebay sul New York Times.

Sono piaciute anche le collezioni di Massimo Giorgetti per MSGM, di Sunnei e di Etro che, scrive il critico di moda Angelo Flaccavento, deve molto a Gucci. Ci sono stati anche alcuni esordi: quello di Malibù 1992, Magliano e United Standard, il marchio di Giorgio di Salvo, ex direttore artistico per Marcelo Burlon. L’ultima collezione di Burlon per County of Milan, scrive sempre Angelo Flaccavento su Business of Fashion, «segna lo scoppio della bolla dello streetwear» e la ricerca di una nuova direzione.