I bambini che comunicano con le emoji prima di saper leggere e scrivere

Capita sempre più spesso che le utilizzino già in età prescolare: potrebbe cambiare il modo in cui apprendono il linguaggio

(MIGUEL MEDINA/AFP/Getty Images)
(MIGUEL MEDINA/AFP/Getty Images)

Le emoji esistono da poco più di venti anni, ma hanno iniziato a diffondersi nella forma che conosciamo oggi e a diventare una parte integrante delle conversazioni scritte via smartphone o computer solo a partire dal 2011, quando Apple le integrò per prima nella tastiera virtuale del sistema operativo degli iPhone. Oggi le emoji sono diventate un modo universale per aggiungere sfumature e sentimenti alle conversazioni scritte che le parole e la punteggiatura non riescono a dare, riuscendo in parte a colmare la distanza tra la comunicazione verbale e quella non verbale. Ma cosa succede se la loro enorme diffusione fa sì che molti bambini inizino a usarle ancor prima di imparare a leggere e scrivere.

Se lo è chiesta su Wired Gretchen McCulloch, un’esperta di linguistica, a partire da una domanda posta su Twitter da Lulu Miller, una giornalista del network radiofonico statunitense NPR. Miller diceva di aver scoperto che una bambina di 10 anni del suo quartiere si scambiava messaggi con una bambina di 5 anni, che non sapeva né leggere né scrivere, utilizzando solamente le emoji. Aveva chiesto poi se ci fossero ricerche sul tema di qualche studioso, ricevendo le attenzioni di McCulloch. In mancanza di studi sul tema, questa ha deciso di avviarne uno con un sondaggio in cui ha chiesto ai suoi follower su Twitter se fossero a conoscenza di bambini che scrivevano usando le emoji in età prescolare, quali erano le emoji più utilizzate e in che occasioni lo facevano.

Nonostante l’utilizzo che quei bambini fanno delle emoji possa sembrare del tutto casuale, simile alla lallazione, cioè il farfugliamento che i neonati fanno quando non sanno ancora parlare, il sondaggio ha rivelato parecchie cose interessanti. Innanzitutto è stata riscontrata una differenza tra i bambini di età inferiore ai tre anni e quelli con un’età compresa tra i tre e i cinque anni: questi ultimi sono risultati maggiormente inclini ad avere delle emoji preferite (gli animali, gli unicorni, i cuori ❤️ e la cacca sono quelle più utilizzate). Inoltre dal sondaggio si è notato che in molti casi i bambini utilizzavano la tastiera in maniera piuttosto meccanica, per esempio mettendo in fila delle emoji che già si trovavano vicine sulla tastiera.

Una cosa notevole scoperta dalla ricerca di McCulloch è che, nonostante i bambini siano così avvezzi all’uso delle emoji, il significato che danno loro è in alcuni casi molto diverso da quello dato dagli adulti. Sulla diversa interpretazione delle emoji tra le varie culture ci sono già state ricerche di tipo linguistico, ma queste non avevano mai riguardato adulti e bambini. Per esempio emoji che vengono solitamente usate con intenzioni ironiche dagli adulti (come la faccina che piange di gioia, quella che piange a dirotto o quella che riflette concentrata) sono assenti nelle conversazioni dei bambini, che invece ne preferiscono altre il cui significato è più immediato (come quella con la lingua di fuori o quella che dà un bacio). Tra i bambini sono assenti, inoltre, emoji che rappresentano gesti delle mani associate ad azioni o significati a loro sconosciuti, come quella con il pollice alzato o quella con le mani in preghiera.

Tra adulti e bambini cambia anche il modo in cui le emoji vengono utilizzate all’interno dei messaggi. Per i primi sono infatti il complemento di una frase e raramente sono più di tre o cinque in un messaggio: vengono spesso inserite alla fine, per rafforzare un concetto o per esprimere un particolare sentimento che a parole sarebbe difficile spiegare. Da questo punto di vista la “scrittura” dei bambini è decisamente meno sofisticata e strutturata: utilizzano un gran numero di emoji in un singolo messaggio, spesso ripetendo da tre a venti volte di seguito la stessa faccina. Questa metodologia si mantiene anche in bambini di sei anni, che hanno appena imparato a leggere e scrivere, i quali però alle lunghe file di faccine casuali cominciano ad aggiungere qualche parola scritta.

Secondo questo sondaggio, naturalmente grossolano e di limitato valore scientifico, quello a cui stiamo assistendo è un processo di apprendimento della parola da parte dei bambini mai visto finora. La tesi di McCulloch è che le emoji potrebbero cambiare in futuro il modo in cui i bambini imparano una lingua. Le emoji stanno infatti facendo in modo che i bambini si trovino a contatto con la parola scritta come mai avevano fatto prima.

Finora le parole scritte a cui i bambini erano esposti erano al massimo quelle stampate su una scatola di biscotti, su un libro letto da un genitore o quelle dei primi testi scolastici. Era ed è però piuttosto improbabile che un genitore scrivesse qualcosa a un figlio che non sa leggere e scrivere, mentre ora accade sempre più spesso grazie alle emoji. I bambini scrivono messaggi e ne ricevono a loro volta delle risposte, magari da un adulto, sia in forma di emoji che con parole di senso compiuto e, anche se non ne conoscono il significato, si trovano così, per McCulloch, protagonisti attivi di una comunicazione scritta.