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  • Mercoledì 9 gennaio 2019

Non si possono “chiudere i porti”

Si può negare l'approdo a qualcuno, che è una cosa ben diversa

di Paolo Bosso

La nave della ong Sea Eye (FEDERICO SCOPPA/AFP/Getty Images)
La nave della ong Sea Eye (FEDERICO SCOPPA/AFP/Getty Images)

Un porto in Italia si può chiudere? No, ma si può negare l’attracco a una nave, com’è stato fatto negli ultimi sei mesi. Per citare i casi più rilevanti, a giugno con l’Aquarius, dirottata a Valencia dopo nove giorni; a luglio con una nave della Guardia di Finanza, approdata dopo tre giorni a Pozzallo con le rassicurazioni di cinque paesi sulla redistribuzione dei 450 migranti a bordo; sempre a luglio con la mercantile Sarost 5, approdata a Zarzis, in Tunisia, dopo 22 giorni in mare con 40 persone a bordo; infine ad agosto con l’unità della Capitaneria di porto Diciotti, 190 persone a bordo, attraccata al porto di Catania dopo 5 giorni ma con un permesso di sbarco arrivato dopo una settimana. Stavolta è toccato alle navi tedesche Sea Watch 3 e Sea Eye, con a bordo 49 migranti, che sono state autorizzate ad approdare a Malta il 9 gennaio, dopo che per oltre due settimane diversi paesi, tra cui l’Italia, glielo avevano negato.

L’autorizzazione all’attracco di una nave la dà la Capitaneria di porto, che è un ufficio del ministero dei Trasporti. L’autorizzazione allo sbarco di merci e persone a bordo la dà la polizia di frontiera, che è un ufficio del ministero dell’Interno. In Italia ogni porto non finalizzato alla difesa militare, di rilevanza economica non meramente regionale (cioè che movimenta merci destinate anche lontano dall’area metropolitana di approdo), è gestito dal 1994 da Autorità portuali e dal 2016 da Autorità di sistema portuale, un ente pubblico non economico che accorpa le autorità portuali in funzione delle esigenze logistiche regionali e dei corridoi logistici europei definiti dall’Unione Europea all’interno delle reti Ten-T. Le Autorità di sistema portuale hanno autonomia amministrativa e finanziaria e i loro atti sono sottoposti all’approvazione del ministero dei Trasporti che, tra le altre cose, emana circolari per regolamentare i suoi uffici e nomina per decreto la dirigenza, oltre a commissariarla.

Si può quindi negare l’attracco di una nave, ma chiudere un porto è un’altra storia. Lo slogan di Salvini, volendolo esplicitare, dice in realtà che i porti sono chiusi ai migranti, come tra l’altro sembra chiaro. Un porto commerciale chiuso a qualunque sbarco provocherebbe un’ischemia economica: è il luogo di attracco delle navi mercantili, colossi con stazze fino a centinaia di migliaia di tonnellate, che trasportano in tutto il mondo l’80 per cento delle cose che ci circondano in questo momento, ovunque vi troviate. La chiusura di un porto come Manfredonia avrebbe ripercussioni sulla città di Manfredonia, ma la chiusura di un porto come Napoli, Genova, Trieste, Livorno, Catania, Messina, Gioia Tauro o Civitavecchia avrebbe effetti immediati e rilevanti sul turismo, sulla consegna di carne, cereali, frutta e oggetti di consumo. I porti sono infrastrutture commerciali strategiche, più di un aeroporto o una stazione ferroviaria. Queste ultime due movimentano più persone che merci, mentre i porti al confronto sono meno frequentati, se non d’estate, ragion per cui uno slogan come “porti chiusi” fa più presa sull’opinione pubblica e ha una razionalità apparente maggiore di “aeroporti chiusi” o “stazioni chiuse”. Si tratta di infrastrutture vitali che si possono chiudere per un po’, dopo un evento grave e raro, per poi riaprire dopo poco. Insomma, un porto non si chiude neanche in tempo di guerra, ragion per cui un “decreto di chiusura dei porti” non ha senso se non in una forma specifica che detti a cosa sia chiuso. L’irrazionalità della parola nasconde la sua logica interna: si tratta, guardando ai casi degli ultimi mesi, di porti chiusi ai soli migranti.

Nei giorni scorsi la naturale condizione di apertura dei porti è stata ribadita da alcuni presidenti delle Autorità di sistema portuale. Il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, in un post scriptum del 6 gennaio ci ha tenuto ha precisare che non è stato emanato «alcun decreto di chiusura dei porti perché non serve, non essendo alcun porto italiano interessato alle operazioni e non avendo il Mrcc (Maritime rescue coordination centre) italiano coordinato i soccorsi», gettando un po’ di confusione, tanto da spingere il presidente dei porti della Campania, Pietro Spirito, ad auspicare una «discussione pubblica informata».

Da inizio anno non c’è stato neanche uno sbarco di migranti, per la precisione dal 31 dicembre, secondo i dati UNHCR. Durante l’anno scorso il periodo più lungo senza sbarchi è stato a marzo, di dodici giorni (18-30), e poi a dicembre di dieci giorni (9-19). Anche a gennaio 2017 non ci sono stati sbarchi per diversi giorni, dal 21 e il 27. I migranti morti e i dispersi in mare in questi primi nove giorni dell’anno sono stati 7, contro i 192 dello stesso periodo del 2018. La stretta agli sbarchi dei migranti, fino al blocco, influisce sul numero dei morti e dispersi in mare? Dall’inizio del governo Conte i morti e dispersi in mare sono saliti: dai 3,2 al giorno durante la gestione del ministro degli Interni Marco Minniti (16 luglio 2017-maggio 2018) agli 8 al giorno della gestione del ministro Salvini (giugno-settembre 2018). In quest’ultimo periodo sono diminuiti anche gli sbarchi, sulla scia di un andamento in flessione iniziato nel 2017.