C’è un nuovo rapporto sulle interferenze russe nelle elezioni statunitensi

Lo ha diffuso in anteprima il Washington Post: conferma il coinvolgimento della propaganda russa nelle presidenziali del 2016 e le reticenze di Facebook e gli altri

(PETRAS MALUKAS/AFP/Getty Images)
(PETRAS MALUKAS/AFP/Getty Images)

Il Washington Post ha pubblicato i primi risultati di un rapporto realizzato per conto del Senato statunitense sulle interferenze russe nelle presidenziali del 2016 negli Stati Uniti, che avrebbero contribuito alla vittoria di Donald Trump. Lo studio è stato svolto dal Computational Propaganda Project dell’Università di Oxford in collaborazione con la società di analisi Graphika. I risultati non sono ancora ufficiali, ma dalla versione ottenuta dal Washington Post emergono sottovalutazioni e scarsa preparazione da parte delle principali società di Internet, soprattutto nel periodo in cui furono organizzate le campagne di disinformazione.

Come in altri rapporti e relazioni sulle interferenze russe, anche il nuovo studio indica l’Internet Research Agency (IRA) come la principale responsabile. L’IRA ha sede a San Pietroburgo ed è accusata dagli Stati Uniti di avere interferito nella campagna elettorale delle presidenziali del 2016, sfruttando principalmente i social network e suddividendone gli utenti in gruppi, verso i quali inviare specifici messaggi in base ai loro interessi e orientamenti. Per farlo, gli agenti dell’IRA hanno utilizzato strumenti disponibili a tutti, come quelli di Facebook per organizzare campagne pubblicitarie sul social network in base ai gusti dei suoi iscritti.

L’analisi spiega che furono soprattutto sfruttati alcuni temi non solo per coinvolgere gli indecisi, e orientarli verso Trump, ma anche per rafforzare le convinzioni degli elettori conservatori. Temi come il diritto a possedere le armi e l’immigrazione sono stati centrali per provare a spingere parte dell’elettorato verso i Repubblicani, mentre altri argomenti come false notizie su come votare o tese a minare la credibilità delle istituzioni elettive sono state sfruttate per disincentivare gli elettori più di sinistra. L’IRA ha inoltre sfruttato le sue migliaia di account sui social network per inviare messaggi mirati a musulmani, cristiani, ispanici, omosessuali, reduci di guerra, abitanti degli stati del Sud e altre categorie.

Facebook, Twitter e gli altri sono criticati nel rapporto per non avere risposto adeguatamente alle attività sospette nel 2016, ignorando o sottovalutando la loro portata. Lo studio critica inoltre le aziende di Internet per essere state poco collaborative, fornendo pochi dati e dettagli sul periodo in cui le interferenze russe furono più diffuse.

A chi se ne sta occupando in Senato, per esempio, Facebook ha fornito i post di appena 81 Pagine e informazioni su 76 account utilizzati per acquistare gli annunci pubblicitari, ma non ha diffuso altri dati sugli account gestiti dall’IRA. Anche Twitter, nonostante gli annunci fatti, non ha semplificato molto il lavoro dei ricercatori, per la complicata ricerca dei tweet più rilevanti. Google ha fatto qualcosa di analogo con YouTube, fornendo dati parziali e che non hanno permesso ai ricercatori di compiere un’analisi più approfondita.

Le grandi società di Internet statunitensi negli ultimi due anni si sono assunte qualche responsabilità, dimostrando soprattutto di volere cambiare gli strumenti che mettono a disposizione degli utenti e di chi vuole fare pubblicità, per ridurre il rischio che questi possano essere impiegati per interferenze dall’esterno. Le modifiche sembrano avere dato i loro frutti nel caso delle recenti elezioni di metà mandato di novembre, che non sono però state analizzate nel nuovo studio per conto del Senato. Molti osservatori ritengono che comunque Facebook e gli altri non stiano facendo abbastanza, soprattutto nel dare informazioni su come gestirono le anomalie riscontrate nel 2016, a campagna elettorale ancora in corso. È per esempio emerso che Facebook avesse molte più informazioni sul problema di quanto a lungo ipotizzato, ma che non avesse poi assunto misure adeguate per affrontarlo.

Lo sfruttamento di Facebook permise soprattutto di raggiungere gli elettori conservatori e afroamericani. Le 20 Pagine su Facebook più seguite raccolsero 39 milioni di like, 31 milioni di condivisioni, 5,4 milioni di reazioni e 3,4 milioni di commenti. Secondo i dati forniti da Facebook, la campagna portata avanti dalla Russia raggiunse almeno 126 milioni di persone sul social network, e altri 20 milioni su Instagram, applicazione su cui le analisi riferite alle interferenze russe sono state finora meno approfondite.

Per quanto riguarda l’IRA, la ricerca definisce poco accurata la gestione degli account, con dimenticanze e leggerezze che avrebbero dovuto far sospettare qualcosa in più ai gestori dei social network. In molti casi gli agenti russi utilizzarono direttamente i rubli per pagare gli annunci sponsorizzati sui social, così come impiegarono numeri di telefono russi per confermare i loro account e i contatti disponibili. Sono stati trovati inoltre diversi accessi agli account effettuati da San Pietroburgo e facilmente riconducibili all’IRA. L’organizzazione non sembrava curarsi più di tanto di questi dettagli e altrettanto sembra abbiano fatto i social network, nel momento in cui si stava svolgendo la campagna elettorale del 2016.