I blocchi delle auto servono a qualcosa?

Molte città li adottano per ridurre l'inquinamento e migliorare la qualità dell'aria, ma il traffico su strada è solo una parte del problema

(SEYLLOU/AFP/Getty Images)
(SEYLLOU/AFP/Getty Images)

Nelle ultime settimane molte città italiane hanno deciso blocchi e limitazioni del traffico a causa degli alti livelli di inquinamento, soprattutto nei centri urbani più grandi del Nord. Le recenti giornate più ventose hanno in parte attenuato il problema, ma è scontato che con il cambiamento del meteo torneranno a esserci nuovi blocchi per la circolazione dei veicoli. Molte città hanno già sforato più volte i limiti massimi previsti, dalle leggi nazionali ed europee, per alcuni composti nell’aria come gli ossidi di azoto (NOx) e le polveri sottili, tra gli inquinanti più pericolosi per la nostra salute. I blocchi del traffico sono spesso visti con sospetto, anche per i disagi che comportano, e in molti si chiedono se abbiano davvero un effetto nel ridurre l’inquinamento atmosferico.

Le PM
Per cominciare, è utile un breve ripasso dei termini che si usano spesso in autunno e in inverno, quando i livelli di inquinamento sono più alti.

Particolato
È l’insieme delle sostanze, solide e liquide, sospese in aria con un diametro da un milionesimo di millimetro a mezzo millimetro, prodotte da attività naturali (polvere, pollini, sali, ecc.) e da quelle umane (traffico, riscaldamento, produzione di energia elettrica da combustibili fossili, industrie, ecc.).

PM
Indica le parole “particulate matter” e viene usata come sigla per indicare le dimensioni delle particelle che costituiscono il particolato: più sono piccole più riescono a intrufolarsi nel nostro organismo, talvolta causando danni.

PM10
Il numero indica la presenza di particelle nel particolato con diametro inferiore a un centesimo di millimetro (10 micrometri): è una polvere che può essere respirata ed è quindi in grado di raggiungere naso e laringe; le particelle tra i 5 e i 2,5 micrometri riescono a depositarsi nei bronchi polmonari, con potenziali conseguenze per la salute.

PM2,5
Indica il particolato fine, formato cioè da particelle con un diametro inferiore a 2,5 micrometri. Penetra nei polmoni e, nel caso delle polveri ulteriormente più sottili, nel sistema circolatorio.

Altre sostanze
Non è solo il particolato in alte concentrazioni a essere rischioso per la salute. Tra gli altri composti che si trovano in sospensione nell’aria inquinata ci sono i biossidi di azoto, prodotti soprattutto dai motori diesel. Sono ritenuti cancerogeni e nelle persone a rischio possono provocare seri danni all’apparato respiratorio.

C’è poi l’ozono, che deriva da varie reazioni fotochimiche che interessano anche gli ossidi di azoto. Può causare irritazioni dell’apparato respiratorio ed è rischioso soprattutto per chi soffre di asma.

Chi produce l’inquinamento atmosferico
Le principali fonti di inquinamento atmosferico in Europa sono i trasporti, le attività negli edifici (come il riscaldamento), le attività industriali, l’agricoltura e i rifiuti (inceneritori e discariche). Nel caso dei trasporti viene di solito effettuata una distinzione tra traffico da strada e non stradale, come treni, aerei, traghetti e altri sistemi di trasporto alternativi a quelli su asfalto.

L’impiego di combustibili fossili è la principale causa d’inquinamento atmosferico. Un tempo le emissioni di monossido di carbonio erano molto alte e dovute in buona parte ai veicoli a benzina, ma l’introduzione delle marmitte catalitiche ha permesso di ridurre questo tipo di emissioni. Restano invece alte le emissioni di ossidi di azoto, dovute soprattutto ai motori diesel.

Nel suo ultimo rapporto sulla qualità dell’aria in Europa, l’Unione Europea ha fornito le stime sul peso di ogni singolo emettitore per quanto riguarda l’inquinamento dell’aria complessivo. I dati oscillano molto a seconda dell’inquinante che viene preso in considerazione.

Per quanto riguarda le PM, la produzione da parte dei trasporti su strada è significativa e conta per il 10 per cento circa. La seconda fonte principale di PM sono i sistemi di riscaldamento delle case e degli ambienti di lavoro, con il 39 per cento sul totale nel caso delle PM10 e il 56 per cento nel caso delle PM2,5.

La produzione di monossido da parte del traffico veicolare rimane comunque rilevante e intorno al 20 per cento del totale, anche se resta preponderante la percentuale dovuta alle attività commerciali e alle abitazioni, pari al 48 per cento.

Dove è preponderante l’influenza dei veicoli è negli ossidi di azoto: 39 per cento sul totale. La loro presenza è legata principalmente all’utilizzo dei motori diesel, che in Europa hanno storicamente avuto una diffusione molto più ampia rispetto ad altri paesi, in parte per la possibilità di risparmiare denaro con il gasolio rispetto alla benzina più cara che altrove.

Il blocco delle auto serve?
Come per tutte le cose complesse, a una domanda come questa non c’è una risposta semplice. La risposta più onesta è: dipende.

Il blocco dei veicoli come misura di emergenza serve sicuramente a ridurre alcuni tipi di emissioni, come quelle da monossido e degli ossidi di azoto, ma non può essere l’unico sistema per ridurre l’inquinamento in città, che come abbiamo visto è determinato da molte diverse fonti.

Nei mesi invernali i sistemi di riscaldamento degli edifici continuano ad avere un ruolo centrale nella produzione di PM e altre sostanze chimiche inquinanti. Negli ultimi anni il problema è stato attenuato incentivando l’impiego di caldaie a gas invece che a carbone, riducendo le emissioni di polveri sottili. L’impiego di porte e finestre che isolano meglio, riducendo la dispersione di calore, e di sistemi per programmare il riscaldamento degli interni, sono ulteriormente importanti per ridurre i consumi e di conseguenza l’emissione di sostanze inquinanti.

Il blocco del traffico può avere altri effetti positivi, se pensati per politiche che guardano al medio-lungo periodo. Non poter utilizzare la propria automobile rende necessario in molti casi il ricorso ai trasporti pubblici, che consentono di muovere molte più persone a parità di inquinamento prodotto con i mezzi privati. Può quindi essere l’occasione per sperimentare sistemi alternativi di trasporto, inducendo a fare altrettanto anche quando non sono in vigore i divieti. E questa è la versione ottimistica.

La realtà ci dice che questo effetto benefico sfuma quasi sempre, e velocemente, a causa della scarsa affidabilità dei sistemi di trasporto locale in buona parte delle città italiane. L’esperienza in un giorno di blocco del traffico è spesso deludente, per non dire altro, e finisce per sortire l’effetto opposto: rafforzare l’idea che sia meglio e più pratico utilizzare la propria automobile.

Polveri sottili e diesel
In queste settimane i blocchi dei veicoli nelle città italiane più inquinate hanno interessato soprattutto i vecchi motori diesel, che come abbiamo visto sono i principali responsabili dell’emissione degli ossidi di azoto. Molte città hanno stabilito il blocco definitivo di veicoli cosiddetti “Euro 0”, cioè con motori prodotti prima dell’introduzione degli standard europei sulle emissioni inquinanti, detti appunto “Euro” seguiti da un numero a seconda delle loro progressive evoluzioni. La più recente è “Euro 6” del 2011, la più antica è “Euro 1” del 1992. “Euro 6” è a sua volta suddiviso in classi e per ora non è prevista l’introduzione di un ulteriore standard.

I diesel Euro 1, 2 e 3 sono solitamente tra i primi a essere bloccati quando si sforano le concentrazioni di inquinanti nell’atmosfera. Le limitazioni variano da città a città, ma di solito riguardano l’intero orario lavorativo nei giorni feriali.

Il traffico stradale non produce PM solo attraverso i tubi di scarico dei veicoli. Una parte consistente delle PM – secondo alcune ricerche quasi la metà – deriva da altre fonti come l’usura dei freni, il consumo degli pneumatici e il consumo dell’asfalto. I veicoli producono una grande quantità di queste polveri che vanno poi a costituire una parte del particolato. Negli anni sono state studiate alcune soluzioni per attenuare il problema, come il lavaggio delle strade per rimuovere le polveri o l’utilizzo di asfalti speciali più appiccicosi, che impediscano alle polveri di sollevarsi. I risultati ottenuti non sono però molto incoraggianti e c’è chi ritiene che sia il blocco dei veicoli la soluzione più pratica per ridurre la produzione delle polveri.