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  • Giovedì 18 ottobre 2018

Vi ricordate l’Armenia?

Ad aprile una serie di proteste pacifiche destituirono l'autoritario primo ministro: ora l'uomo che ha guidato la “rivoluzione di velluto” vuole nuove elezioni

Nikol Pashinyan durante le proteste seguite all'approvazione degli emendamenti che potrebbero posticipare le elezioni, il 3 ottobre a Yerevan. (KAREN MINASYAN/AFP/Getty Images)
Nikol Pashinyan durante le proteste seguite all'approvazione degli emendamenti che potrebbero posticipare le elezioni, il 3 ottobre a Yerevan. (KAREN MINASYAN/AFP/Getty Images)

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, arrivato al potere lo scorso maggio dopo che una serie di grandi proteste pacifiche aveva costretto alle dimissioni il politico che da dieci anni governava il paese, si è dimesso chiedendo che entro dicembre si tengano elezioni anticipate. Pashinyan aveva detto fin dalla sua nomina di voler restare al potere temporaneamente, per organizzare il prima possibile delle elezioni che dessero nuova legittimità popolare al Parlamento. Il suo interesse è quello di votare il prima possibile, visto che la sua popolarità sembra essere ai massimi storici: ma i partiti dell’establishment, che si erano dovuti adattare alla sua ascesa al potere, potrebbero cercare di ritardare il voto fino alla prossima primavera sperando in tempi migliori.

Le proteste dello scorso aprile in Armenia erano state soprannominate “rivoluzione di velluto”, perché nel giro di poche settimane e in maniera non violenta erano riuscite – piuttosto sorprendentemente – a destituire dal potere Serzh Sargsyan, leader del Partito Repubblicano, di orientamento nazionalista e conservatore e sostanzialmente erede del Partito Comunista del periodo sovietico. Sargsyan, che è stato presidente dell’Armenia dal 2008 al 2018, era stato estesamente accusato di aver trasformato il paese in un regime autoritario, ma era stata una sua oscura manovra politica che aveva provocato le proteste di piazza. Nell’ultimo periodo della sua presidenza aveva promosso un referendum per spostare i poteri dal presidente al primo ministro, carica che però aveva assicurato non avrebbe mai ricoperto. Dopo che il referendum fu approvato, Sargsyan si rimangiò la parola e si fece nominare primo ministro dal Parlamento, controllato dal suo partito.

Pashinyan era stato il principale animatore delle proteste che ad aprile avevano invaso le strade della capitale Yerevan, e che avevano rapidamente costretto alle dimissioni Sargsyan. Nei giorni seguenti, i partiti alleati di Sargsyan avevano sostenuto la nomina a primo ministro di Pashinyan, a cui si era infine dovuto adattare anche il Partito Repubblicano.

I festeggiamenti per la nomina di Nikol Pashinyan a primo ministro, lo scorso 8 maggio. (KAREN MINASYAN/AFP/Getty Images)

A fine settembre nella capitale Yerevan, dove vive oltre un terzo della popolazione armena, si sono tenute le elezioni comunali, seguite alle dimissioni del sindaco dopo le proteste di aprile. Ha vinto con più dell’80 per cento dei voti Hayk Marutyan, un noto comico e attore a capo di una lista civica che sostiene Pashinyan. Lo straordinario risultato ha confermato la grande popolarità del primo ministro e del suo partito, Contratto Civile.

Nel tentativo di scongiurare il rischio che le elezioni si tengano troppo presto, però, i principali partiti armeni hanno approvato a inizio ottobre alcuni emendamenti alla legge elettorale che consentono, in teoria, di posticiparle. La legge armena infatti prevede che dopo le dimissioni del primo ministro il Parlamento abbia due settimane per provare a nominarne il successore: se il tentativo fallisce, entro un mese e mezzo si devono organizzare le elezioni. Con i nuovi emendamenti diventa facile per il Parlamento chiedere che le sessioni in aula non vengano considerate valide per vari motivi, ottenendo di rinviarle anche più volte.

Il Partito Repubblicano, Armenia Prosperosa e la Federazione Rivoluzionaria Armena (gli ultimi due al governo con Pashinyan) sono stati i partiti che hanno sostenuto gli emendamenti, perché vorrebbero votare in primavera. Ci sono state nuove proteste, e Pashinyan ha licenziato sei ministri dei partiti che avevano sostenuto la riforma, accusandoli di averlo tradito e di essere dei “controrivoluzionari”.

Nonostante la crisi di governo, sembra che Pashinyan abbia poi trovato un accordo con gli altri partiti perché non presentino nessun candidato per sostituirlo. In questo modo, le elezioni dovrebbero tenersi entro metà dicembre: ma non è totalmente escluso che i partiti dell’establishement provino a nominare un nuovo primo ministro nella finestra di due settimane.

Pashinyan aveva promesso che avrebbe approvato nel giro di qualche mese le riforme necessarie per avviare l’Armenia verso un sistema politico più trasparente e democratico. Il suo governo, al quale hanno partecipato come ministri esponenti dei partiti che prima appoggiavano Sargsyan, cominciò dicendo di voler combattere la corruzione e il monopolio economico in vigore in diversi settori.

Il presidente francese Emmanuel Macron insieme al primo ministro armeno Nikol Pashinyan durante un summit tra le nazioni francofone a Yerevan. (LUDOVIC MARIN/AFP/Getty Images)

Pashinyan ha nominato un nuovo capo della polizia e dell’intelligence, e nelle settimane seguenti alla sua nomina furono arrestati con l’accusa di corruzione alcuni ex funzionari politici e dell’intelligence, e anche il fratello di Sargsyan. Il governo aveva anche annunciato da subito di voler far chiarezza sulla gestione delle proteste che seguirono le elezioni presidenziali del 2008, nelle quali furono uccise dieci persone senza che fossero perseguiti i responsabili. Da allora sono stati incriminati, arrestati e poi rilasciati tra gli altri l’ex presidente Robert Kocharian, un ex ministro della Difesa e altri dirigenti di polizia.

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