Il governatore della banca centrale croata Boris Vujčić (BORIS ROESSLER/AFP/Getty Images)

Quando sarà il momento della Croazia nell’euro?

Probabilmente non così presto come vorrebbe il governo croato, anche per la crescente diffidenza verso un nuovo allargamento a est

Lo scorso luglio il Parlamento croato ha riconfermato governatore della Banca centrale il 54enne Boris Vujčić, noto soprattutto per le sue posizioni a favore dell’entrata della Croazia tra i paesi che adottano l’euro come moneta. La rielezione di Vujčić è stata appoggiata anche dal governo del primo ministro croato Andrej Plenković, europeista, il cui obiettivo è accedere entro il 2020 al meccanismo che anticipa l’entrata di un paese nell’euro, il cosiddetto AEC II (Accordi Europei di Cambio). Per la Croazia comunque non sarà facile: come ha sottolineato Bloomberg, oggi una delle più grandi questioni relative all’allargamento dell’eurozona è capire quanto i paesi più forti, che già ne fanno parte, abbiano intenzione di appoggiare l’adozione dell’euro in un altro paese dell’area balcanica, dopo i grandi interventi finanziari degli ultimi anni per salvare la Grecia.

La Croazia non è l’unico paese dell’Unione Europea a voler entrare nell’euro: ci sono anche Bulgaria e Romania, con i bulgari per il momento in vantaggio su tutti gli altri.

«Entrare nell’eurozona sarà una cosa buona per la Croazia, ma il processo potrebbe essere difficile», ha detto Željko Lovrinčević, docente dell’Economic Institute di Zagabria. Le complicazioni sono molte e finora la Croazia non è riuscita a soddisfare tutte le regole imposte ai paesi che aspirano a entrare nell’eurozona: nonostante il cambio euro-kuna, la valuta locale, possa oscillare solo all’interno di un stretto intervallo, e nonostante il governo abbia chiuso il 2017 con un avanzo di bilancio, la Croazia non ha soddisfatto i cosiddetti “vincoli di Maastricht” relativi all’inflazione e al debito pubblico. Per questo motivo non è ancora stata fissata una data per l’entrata della Croazia nell’AEC II, a differenza per esempio di quanto è successo alla Bulgaria, il paese più povero di tutta l’Unione Europea.

Il ricordo di quanto sia costata la crisi finanziaria della Grecia non è l’unica ragione per cui negli ultimi anni la UE è diventata molto più prudente nell’allargamento dell’eurozona. In molti paesi europei la questione della convenienza dell’euro è diventata centrale nel dibattito pubblico, il sostegno alle forze politiche euroscettiche è cresciuto e in alcuni stati, tra cui Lettonia ed Estonia, ci sono stati grandi scandali legati a operazioni di riciclaggio di denaro. Il sistema bancario croato finora ha retto, anche se lo scorso anno la società più grande della Croazia, il colosso agroalimentare Agrokor, è stata salvata dal governo dopo essere arrivata vicina alla bancarotta.

Secondo alcuni osservatori, le crisi e gli scandali che hanno colpito negli ultimi anni alcuni paesi dell’eurozona hanno dimostrato come i “vincoli di Maastricht” non siano più criteri sufficienti per valutare il livello di preparazione di uno stato ad adottare l’euro, e che ne dovrebbero essere inclusi altri: per esempio la stabilità del sistema bancario nazionale e l’indipendenza del potere giudiziario e delle banche centrali. Se l’Unione Europea dovesse decidere di irrigidire ulteriormente le regole di accesso all’eurozona, la Croazia potrebbe doverne pagare le conseguenze, rimandando di nuovo le sue aspirazioni di adottare la moneta unica.

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