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  • Martedì 25 settembre 2018

Cos’è la “protezione umanitaria”

É una delle tre forme di protezione riconosciute in Italia per le persone straniere in difficoltà, e il decreto del governo la restringe al punto da far parlare di "abolizione"

(ANSA Foto)
(ANSA Foto)

Lunedì 24 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il cosiddetto “decreto immigrazione e sicurezza”: un decreto legge che contiene, tra l’altro, molte restrizioni per i migranti e per la gestione del sistema di accoglienza in Italia. Per ora del decreto si hanno notizie ufficiali solamente dal comunicato stampa pubblicato sul sito del Consiglio dei ministri, perché il testo non è stato ancora pubblicato (anche se online ne circola una versione). Il decreto è composto da tre titoli: il primo si occupa di immigrazione e protezione, il secondo di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto della criminalità, il terzo di amministrazione e gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia.

Nel primo titolo il decreto definisce nuove regole in materia di revoca dello status di protezione internazionale e interviene, in particolare, sulla “protezione umanitaria”: diversi giornali ed esperti scrivono oggi che il decreto abolisce di fatto la protezione umanitaria, e cioè il tipo di protezione finora concessa a più persone in Italia.

Quando di parla di “protezione umanitaria” si parla, concretamente, di persone che vivono oggettive e gravi situazioni personali. Persone che hanno vissuto e sono partite dal loro paese di origine per “seri motivi” di carattere umanitario e che possono essere vittime di situazioni di grave instabilità politica, di episodi di violenza, di mancato rispetto dei diritti umani, di carestie o di disastri ambientali o naturali. Il riconoscimento della protezione umanitaria ha dunque a che fare non solo e non tanto con il paese di origine della persona che la richiede, ma con la sua storia personale, con il suo livello di vulnerabilità e con la situazione di rischio che quella persona, partendo, si lascia alle spalle. Non si può dunque escludere che tra chi proviene da paesi che hanno una situazione politica o economica stabile o non appartiene a una specifica categoria ci siano persone che hanno il diritto di ricevere una protezione umanitaria.

La protezione umanitaria è uno strumento legislativo nazionale e si affianca, in Italia, alle due forme di protezione riconosciute, invece, a livello internazionale: lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria. Lo status di rifugiato – che è la prima forma di protezione internazionale – è previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951 ed è riconosciuto a qualsiasi persona che nel proprio paese di origine o nel paese in cui vive «rischia persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche». È insomma, di diritto, rifugiato chi ha un ragionevole timore di poter essere, in caso di rimpatrio, vittima di persecuzione. Tra le persecuzioni sono comprese la violenza fisica o psichica, la violenza sessuale, il reclutamento dei bambini soldato, le pratiche dei matrimoni forzati e anche le mutilazioni genitali femminili. Insomma, tutte quelle azioni che, per la loro natura o per la frequenza, rappresentano una violazione grave dei diritti umani fondamentali commessa per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un certo gruppo sociale o opinione politica.

La protezione sussidiaria, la seconda forma di protezione internazionale, è uno status riconosciuto a chi è cittadino di un paese terzo o è apolide e «rischia di subire un danno grave» in caso di rientro nel proprio paese: rischia cioè di essere ucciso, di essere torturato o di subire le conseguenze di una situazione di violenza generalizzata e di conflitto.

Lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria sono riconosciute a una persona dopo un’istruttoria fatta dalle Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Se l’esito della commissione è positivo, viene rilasciato un permesso di soggiorno che dura cinque anni.

Quando non ci sono le condizioni per dare la protezione internazionale, ma ci sono comunque «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano» per offrire protezione, può essere richiesta la protezione umanitaria, che ha un valore molto ampio, proprio perché espande i motivi di tutela ben oltre il “catalogo” del rifugio politico e della protezione sussidiaria. Come spiega Stefano Catone, che da tempo si occupa di queste questioni, l’istituto della protezione umanitaria è stato introdotto per dare piena attuazione all’articolo 10 della nostra Costituzione, che parla di cittadini stranieri ai quali «sia impedito» nel loro paese «l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana», e all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, che ha consolidato il divieto di espellere o respingere «in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate». Potrebbero rientrare nei motivi di protezione umanitaria il diritto alla salute o anche il diritto all’istruzione.

In Europa soltanto Slovacchia e Italia utilizzano in maniera significativa la protezione umanitaria, che però è presente con nomi diversi in altri stati. Il numero di protezioni umanitarie concesse è cresciuto costantemente negli ultimi anni, a scapito delle protezioni sussidiarie e della concessione dello status di rifugiato vero e proprio per i quali sono necessari requisiti più codificati. Dal 2003 è il tipo di protezione più concesso. La protezione umanitaria ha una durata variabile che arriva a un massimo di due anni, è rinnovabile nel caso siano confermate le condizioni che ne permettono l’ottenimento ed esiste nell’ordinamento italiano dal 1998. Le strade per ottenerla sono principalmente due: viene cioè rilasciata dalla questura su richiesta della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, in caso di diniego dello status di protezione internazionale o di revoca dello stesso, ma anche su richiesta diretta del cittadino straniero e in assenza di una raccomandazione della Commissione.

Lo scorso luglio il ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva scritto una circolare – diretta tra gli altri ai prefetti, alla commissione per il diritto d’asilo e ai presidenti delle sezioni territoriali per il riconoscimento della protezione umanitaria – in cui in sostanza chiedeva già di diminuire il numero dei permessi di soggiorno concessi per motivi umanitari. Questi riconoscimenti, aveva scritto Salvini, «non possono essere riconducibili a mere e generiche condizioni di difficoltà». Le condizioni per la concessione della protezione umanitaria, secondo quanto scritto da Salvini, non fanno dunque riferimento a norme “oggettive”, ma discrezionali e troppo ampie. Salvini ha più volte dichiarato di pensare che esistano dei «falsi profughi», facendo proprio riferimento a quelle situazioni gravi che rientrano nella concessione di un permesso umanitario.

Per quanto riguarda la protezione umanitaria, il comunicato sul decreto appena approvato dal Consiglio dei ministri riprende, nelle motivazioni, la circolare di luglio. E dice che l’intervento di modifica è dovuto al fatto che nell’attuale sistema di protezione riconosciuto in Italia c’è una criticità: c’è, si dice, una «anomala sproporzione tra il numero di riconoscimenti delle forme di protezione internazionale espressamente disciplinate a livello europeo (status di rifugiato e protezione sussidiaria) e il numero di permessi di soggiorno rilasciati per motivi umanitari»,

Come ha riassunto Annalisa Camilli su Internazionale «nel 2017 in Italia sono state presentate 130mila domande di protezione internazionale: il 52 per cento delle richieste è stato respinto, nel 25 per cento dei casi è stata concessa la protezione umanitaria, all’8 per cento delle persone è stato riconosciuto lo status di rifugiato, un altro 8 per cento ha ottenuto la protezione sussidiaria, il restante 7 per cento ha ottenuto altri tipi di protezione».

Nel comunicato si dice che il decreto vuole eliminare «l’attuale esercizio discrezionale nella concessione della tutela umanitaria, con l’introduzione di una tipizzazione dei casi di tutela complementare, con precisi requisiti per i soggetti interessati. Viene fatto salvo, comunque, il potere-dovere delle Commissioni territoriali di valutare l’eventuale sussistenza dei presupposti del principio di non respingimento, individuando i profili di rischio in cui il richiedente asilo incorrerebbe in caso di esecuzione del provvedimento di espulsione». L’articolo 1 del decreto, secondo molte notizie che circolano oggi sui giornali, vorrebbe di fatto eliminare il permesso di soggiorno per motivi umanitari e introdurre altre forme di permessi temporanei mirati per alcuni “casi speciali”. Alcuni giornali scrivono che questi nuovi permessi in sostituzione della protezione umanitaria dureranno un anno e saranno sei: riguarderanno chi ha bisogno di cure mediche o chi nel suo paese ha subito delle calamità naturali, ad esempio.

Non è ancora chiaro quali saranno i requisiti speciali che porteranno alla concessione di una protezione non internazionale, ma il rischio, secondo molti esperti, è che vengano escluse molte situazioni che comportano comunque “seri motivi umanitari” e che sono state finora valutate e giudicate caso per caso, in base alla storia personale di ciascuno e di ciascuna. Va tenuto conto del fatto, poi, che un diniego umanitario sbagliato, anche uno solo, può avere conseguenze gravissime per la persona che lo subisce. Il rischio è che la riduzione a pochi casi specifici (sei, a quanto scrivono i giornali oggi) porti a una estensione di quelle conseguenze.