Netflix, il cinema e i cinema

Un film di Netflix ha vinto il Festival di Venezia e un altro dopodomani sarà sia in sala che su Netflix: c'è chi non è d'accordo

(Andreas Rentz/Getty Images)
(Andreas Rentz/Getty Images)

Il Festival di Venezia è finito l’8 settembre e il Leone d’oro, il premio più importante, è stato vinto da Roma, il film di Alfonso Cuarón che tra qualche mese si potrà vedere «nei migliori cinema e su Netflix», probabilmente in contemporanea o comunque con pochi giorni di distanza tra l’uscita in sala e la diffusione online su Netflix. La stessa cosa succederà con Sulla mia pelle, il film sugli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, che a Venezia era in concorso nella sezione “Orizzonti”: dal 12 settembre si potrà vedere sia su Netflix che in alcuni cinema, distribuito da Lucky Red. La cosa non piace per niente alle associazioni italiane che difendono gli interessi dei cinema, che si sentono svantaggiate.

I meccanismi di distribuzione di Roma e di Sulla mia pelle sono un evidente segno del modo in cui Netflix sta cambiando il mondo del cinema. Se ne era già parlato a maggio, quando Netflix aveva scelto di non presentare i suoi film al Festival di Cannes – né in concorso né fuori concorso – dopo che il Festival aveva deciso di vietare l’accesso al concorso (e quindi alla vittoria della Palma d’oro) per i film di cui non erano previste proiezioni nei cinema. Se il Festival di Cannes è considerato ostile a Netflix e vicino agli interessi dei cinema francesi, quello di Venezia è considerato attento innanzitutto al valore dei film, a prescindere da chi li fa e da dove si potranno vedere. Già un anno fa il suo direttore Alberto Barbera disse:

Per me il cinema rimane un’esperienza legata alla sala cinematografica, ma non possiamo far finta di non sapere che, con l’arrivo di nuove piattaforme, non si torna più indietro e i festival non dovrebbero essere obbligati a prendere una posizione netta con o contro qualcosa.

Cannes ha scelto di opporsi a Netflix per proteggere i cinema francesi che non avrebbero potuto mostrare quei film (è una sintesi: la versione lunga la spiegammo qui). Venezia ha invece deciso di guardare al valore dei film, non chi li ha fatti o come li distribuisce, e per questo è stata criticata dalle associazioni italiane che difendono gli interessi dei cinema: ANEC (Associazione Nazionale Esercenti Cinema) e ANEM (Associazione Nazionale Esercenti Multiplex). Poco prima dell’inizio del Festival di Venezia, le associazioni dissero in un comunicato:

Pur riconoscendo l’affermazione del direttore Barbera che in Francia esiste una legge che vieta ciò, le modalità di distribuzione condivise finora tra le categorie hanno permesso lo sviluppo complessivo dell’intera filiera; al contrario, novità introdotte unilateralmente sembrano orientate a perseguire esclusivamente gli interessi di breve periodo solo di una parte, a danno degli altri attori.

Nel comunicato Netflix non veniva mai citata, ma era chiaro che ANEM e ANEC volessero che Venezia facesse come Cannes. Alla conferenza stampa di presentazione del Festival di Venezia, Barbera disse:

Non vedo ragioni per cui escludere dalla competizione del festival un film di Cuaron o dei Coen [The Ballad of Buster Scruggs] solamente perché prodotto da Netflix. In Francia la legge è diversa per quello che riguarda le window, per fortuna qui non abbiamo questi problemi.

Le window citate da Barbera sono le finestre temporali in cui un film passa dalla sala del cinema alla tv, alla tv a pagamento, a internet o alla vendita in DVD. In Francia una legge stabilisce che un film può essere mostrato in streaming solo tre anni dopo il passaggio nei cinema; in Italia non è così, come mostra il caso di Sulla mia pelle.

Dopo la vittoria di Roma a Venezia, è arrivato un comunicato, firmato da ANAC (Associazione Nazionale Autori Cinematografici), ACEC (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) e da FICE (la Federazione Italiana dei Cinema d’Essai). Chiedono che il prossimo anno il Festival di Venezia cambi approccio e lo accusa di essere «veicolo di marketing di Netflix», invitano il ministro della Cultura a imporre regole simili a quelle francesi e dicono che, per colpa di Netflix, certi film che «dovrebbero essere alla portata di tutti, nelle sale di prossimità» saranno visibili solo «agli abbonati della piattaforma americana».

Nel pieno rispetto delle scelte della giuria presieduta da Guillermo del Toro e senza nulla togliere all’alta qualità del film Roma di Alfonso Cuaròn, vincitore del Leone d’Oro, ANAC, FICE e ACEC ritengono iniquo che il marchio della Biennale sia veicolo di marketing della piattaforma Netflix che con risorse ingenti sta mettendo in difficoltà il sistema delle sale cinematografiche italiane ed europee. Il Leone d’Oro, simbolo della Mostra internazionale d’arte cinematografica da sempre finanziata con risorse pubbliche, è patrimonio degli spettatori italiani: il film che se ne fregia dovrebbe essere alla portata di tutti, nelle sale di prossimità, e non esclusività dei soli abbonati della piattaforma americana.

ANAC, FICE e ACEC reiterano la richiesta al direttore Barbera di rivedere per il prossimo anno la sua posizione, mentre chiedono al Ministro della Cultura di varare con la massima sollecitudine norme che regolino anche da noi come avviene in Francia un’equa cronologia delle uscite sui diversi media.

Barbera ha risposto usando le parole del regista David Cronenberg, che durante il Festival di Venezia aveva detto: «Tutte queste polemiche di oggi sulle trasformazioni che il cinema sta subendo sono solo effetto di una nostalgia, è invece importante guardare avanti». Come è ovvio, peraltro, un film distribuito nei cinema non è «alla portata di tutti» ma a quella di chi decide di recarsi al cinema e pagare un biglietto, una cosa non così diversa da chi acquista un abbonamento a Netflix.

Ci sono anche polemiche di altro tipo per quanto riguarda Sulla mia pelle. Il film – che già giorni fa era stato criticato da alcuni sindacati (o da loro esponenti) di carabinieri, polizia e polizia penitenziaria – sarà mostrato in alcune decine di cinema italiani, nonostante il parere avverso di alcune associazioni di categoria. Nel frattempo, però, anche in risposta a queste critiche, associazioni, enti, circoli e gruppi di vario tipo ne avevano organizzato delle visioni collettive, sfruttando probabilmente la disponibilità del film su Netflix. Come ha scritto Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, gli eventi Facebook relativi a quelle visioni collettive sono stati rimossi. Per organizzare una visione pubblica collettiva (non a casa con due amici) bisogna avere infatti il permesso da chi il film lo distribuisce, altrimenti si va contro una legge del 1941 che regola il diritto d’autore su di un film: «Chi organizza spettacoli pubblici per mezzo di una videoproiezione, deve ottenere il consenso del titolare del diritto di riproduzione e di messa in commercio dell’opera». Altrimenti è una proiezione clandestina.

Oltre che su Netflix, dal 12 settembre Sulla mia pelle si potrà vedere qui: