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  • Domenica 12 agosto 2018

Gli Stati Uniti stanno chiudendo un occhio con al Qaida in Yemen?

Sembra di sì, sostiene un'inchiesta di Associated Press: il motivo sarebbe legato alla complicata guerra che si combatte dal 2015

Un soldato yemenita a Sana'a, Yemen (AP Photo/Hani Mohammed)
Un soldato yemenita a Sana'a, Yemen (AP Photo/Hani Mohammed)

Negli ultimi due anni la coalizione guidata dall’Arabia Saudita e appoggiata dagli Stati Uniti che sta combattendo contro i ribelli houthi in Yemen ha rivendicato diverse vittorie militari contro la potente sezione yemenita di al Qaida. Un’inchiesta di Associated Press ha però mostrato come molte di queste vittorie siano arrivate senza sparare nemmeno un colpo, perché sono state in realtà il risultato di accordi tra la coalizione e i comandanti locali dello stesso gruppo terroristico. Centinaia di miliziani di al Qaida, inoltre, si sarebbero uniti alle forze della coalizione per combattere i ribelli houthi appoggiati dall’Iran – sciiti –, che sono considerati nemici dalle principali organizzazioni terroristiche sunnite (qui la spiegazione lunga della guerra in Yemen).

Secondo AP, gli Stati Uniti hanno accettato questi accordi per una ragione di priorità: l’obiettivo del governo americano era infatti quello di limitare l’influenza dell’Iran in tutto il Medio Oriente, e per raggiungerlo la Casa Bianca era disposta a sacrificare qualcosa nella lotta contro al Qaida.

Per realizzare la sua inchiesta, AP ha intervistato decine di combattenti locali e stranieri che fanno parte della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, e di miliziani di al Qaida. L’inchiesta è stata molto ripresa e apprezzata e ha provocato un certo dibattito sugli effetti delle politiche adottate dalla coalizione, che potrebbero per esempio portare al rafforzamento di al Qaida in Yemen, la divisione più potente del gruppo, quella responsabile tra le altre cose dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi del gennaio 2015.

Anzitutto un passo indietro. La guerra in Yemen è iniziata nella primavera del 2015, dopo una rapida avanzata dei ribelli houthi verso sud e la successiva conquista della capitale Sana’a. I ribelli houthi sono stati considerati fin da subito un’estensione in Yemen dell’Iran, acerrimo nemico dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi Uniti e anche degli Stati Uniti. Questi paesi hanno formato una coalizione guidata dai sauditi per proteggere il governo del presidente Abed Rabbo Mansour, l’unico riconosciuto internazionalmente. Finora, però, non gli è andata troppo bene: nonostante la superiorità militare della coalizione, i sauditi e i loro alleati non sono ancora riusciti a riconquistare i territori perduti, e allo stesso tempo hanno accumulato molte critiche dai governi stranieri e dalle organizzazioni umanitarie che li accusano di compiere bombardamenti contro i civili. L’ultima strage risale a giovedì, quando un attacco aereo della coalizione ha colpito uno scuolabus, uccidendo decine di persone di cui la maggior parte bambini al di sotto di 10 anni.

La situazione oggi in Yemen. I rossi sono i ribelli houthi, che controllano quasi tutti i territori a ovest – dove si trovano molti centri urbani – e la capitale Sana’a; i blu sono le forze della coalizione, cioè quelle alleate all’ex presidente yemenita Abed Rabbo Mansour; e i verdi sono i gruppi islamisti radicali e jihadisti, tra cui al Qaida in Yemen, che controlla soprattutto la striscia a sud (Liveuamap)

Un accordo tra la coalizione e i miliziani di al Qaida è stato concluso per esempio ad al Said, nella provincia di Shabwa, un’area dello Yemen meridionale. Lo scorso febbraio i soldati degli Emirati Arabi Uniti e le milizie yemenite loro alleate celebrarono la riconquista della città. Diplomatici emiratini parlarono di una grande vittoria, che avrebbe ridotto la capacità di al Qaida di compiere attentati all’estero, e dichiarazioni simili arrivarono anche dal dipartimento della Difesa statunitense.

AP ha però scoperto che le cose non andarono proprio come fecero credere le forze della coalizione. Qualche settimana prima della riconquista di al Said, infatti, diversi testimoni videro un convoglio di pickup con a bordo miliziani col volto coperto uscire dalla città. Il convoglio se ne andò indisturbato, senza nemmeno essere preso di mira dai droni americani, nonostante l’evacuazione stesse avvenendo senza troppa segretezza. La coalizione aveva fatto un accordo con al Qaida, ha scritto AP: il patto era che i miliziani se ne sarebbero andati, e in cambio la coalizione avrebbe dato loro dei soldi (non si sa quanti: sembra però che uno dei comandanti abbia preso 26mila dollari). I primi accordi di questo tipo furono conclusi nella primavera 2016, quando alla presidenza statunitense c’era ancora Barack Obama.

Perché non si parla dello Yemen?

Il gran numero di accordi conclusi tra la coalizione guidata dai sauditi e i comandanti di al Qaida ha reso sempre più difficile stabilire chi è un jihadista e chi no, come dimostrano diversi casi. Un comandante yemenita che lo scorso anno era stato inserito nella lista dei terroristi degli Stati Uniti, per esempio, ha continuato a ricevere finanziamenti dagli Emirati Arabi Uniti per guidare la sua milizia; un miliziano noto per essere membro di al Qaida ha ricevuto invece 12 milioni di dollari dal presidente yemenita Abed Rabbo Mansour. In generale, ha scritto AP, si deve considerare che per molti yemeniti al Qaida è semplicemente un’altra fazione tra le molte che stanno partecipando al conflitto. Una fazione molto ben armata e ben addestrata: i suoi membri non sono stranieri, ma miliziani che per anni hanno costruito legami con le tribù locali e hanno stretto alleanze per esempio con i matrimoni.

AP ha parlato con un funzionario statunitense al Cairo, che ha voluto rimanere anonimo, riguardo alla vicinanza tra la coalizione guidata dai sauditi e al Qaida. Il funzionario ha detto che gli Stati Uniti sono consapevoli della presenza di al Qaida nelle varie milizie che stanno combattendo i ribelli houthi in Yemen, anche perché la presenza di comandanti molto radicali rende «molto, molto facile per al Qaida insinuarsi all’interno di questo schieramento». Il dipartimento della Difesa statunitense, comunque, ha negato qualsiasi accordo o complicità con i miliziani di al Qaida.

L’inchiesta di AP non sostiene che gli Stati Uniti abbiano favorito attivamente gli accordi con al Qaida, o che questi accordi siano stati fatti per una ragione diversa dalla lotta contro l’espansionismo dell’Iran in diversi paesi del Medio Oriente. Katherine Zimmerman, analista all’American Enterprise Institute, ha sostenuto che il governo americano «abbia girato la testa dall’altra parte» per fingere di non vedere cosa stesse succedendo. AP ha specificato inoltre che gli Stati Uniti non hanno mai finanziato la coalizione guidata dall’Arabia Saudita e non c’è alcuna prova che soldi americani siano finiti ai miliziani di al Qaida.