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  • Sabato 11 agosto 2018

Sappiamo qualcosa di più dell’assurda storia di Arkady Babchenko

È il giornalista russo che con l'aiuto dei servizi segreti ucraini aveva finto il suo omicidio per incastrare chi lo voleva davvero uccidere: ma è servito?

(AP Photo/Efrem Lukatsky)
(AP Photo/Efrem Lukatsky)

Lo scorso 29 maggio, il giornalista russo e critico del presidente Vladimir Putin Arkady Babchenko fu trovato nel suo appartamento morto, riverso in una pozza di sangue. La notizia venne diffusa il giorno stesso, suscitando sdegno e riprovazione in tutto il mondo: in molti accusarono il regime di Putin di aver assassinato l’ennesimo giornalista scomodo. Meno di 24 ore dopo, però, Babchenko si presentò vivo e vegeto a una conferenza stampa organizzata dai servizi di sicurezza ucraini, lasciando tutti a bocca aperta.

L’assassinio, spiegò Babchenko, era stata un’elaborata messa in scena per incastrare un agente del governo russo che aveva ricevuto il compito di ucciderlo. La notizia venne accolta con sgomento e sollievo dai colleghi che lo credevano morto, ma ha suscitato anche ampia riprovazione per i metodi utilizzati dai servizi di sicurezza ucraini. A tre mesi di distanza, il Wall Street Journal ha cercato di mettere insieme tutto quello che è emerso su questa incredibile storia. Alcuni aspetti sono stati chiariti, ma nel suo complesso la vicenda rimane ancora piena di buchi.

I colleghi di Babchenko quando hanno saputo che era ancora vivo:

La storia cominciò nell’inverno del 2015 con l’incontro tra due personaggi molto particolari. Uno si chiama Oleksiy Tsymbalyuk, un ex monaco ortodosso che oggi ha 43 anni; l’altro è Borys Herman, un commerciante d’armi. Tsymbalyuk ha raccontato che nel 2014 aveva deciso di arruolarsi come volontario in una milizia nazionalista che nell’est dell’Ucraina combatteva i separatisti filo russi e l’esercito russo che li appoggiava. Una scelta che aveva preso, spiegò, dopo che un suo amico era rimasto ucciso nello stesso conflitto.

Nell’inverno del 2015, dopo aver speso mesi a combattere, Tsymbalyuk conobbe Borys Herman, un piccolo commercianti di armi che si occupava soprattutto di riparazioni. Tra i due si sviluppò una rapporto abbastanza confidenziale e nei mesi successivi iniziarono a scambiarsi commenti critici sul governo e sulla situazione politica dell’Ucraina. Il loro rapporto fece un improvviso salto in avanti lo scorso aprile quando Herman consegnò a Tsymbalyuk una lista con dozzine di nomi e gli chiese se era interessato a lavorare come assassino su commissione. «Ma certo che sono interessato», rispose Tsymbalyuk. In un’intervista alla BBC ha spiegato che non aveva molta scelta: rifiutare un’offerta simile significava probabilmente finire in cima a quella stessa lista. Una settimana dopo ricevette l’indicazione sulla prima vittima da colpire: Arkady Babchenko.

Tsymbalyuk, però, non aveva nessuna intenzione di portare a termine l’incarico. Dalle conversazioni con Herman, e viste le caratteristiche di molte delle vittime indicate nella lista, aveva iniziato a sospettare che l’armaiolo fosse al soldo della Russia. «Dio mi aveva dato un’occasione per sferrare un colpo ai servizi segreti russi», ha raccontato al Wall Street Journal. E così decise di sfruttarla. Il giorno stesso andò a riferire tutto a un suo conoscente nei servizi di sicurezza ucraini.

Babchenko, che oggi ha 41 ed è fuggito dalla Russia in Ucraina in seguito alle minacce che ha ricevuto a causa del suo lavoro, venne avvertito pochi giorni dopo e la sua prima reazione fu pensare di scappare all’estero insieme alla sua famiglia. Come Tsymbalyuk, però, anche lui si convinse presto che la cosa migliore da fare era utilizzare quell’occasione per colpire i servizi di sicurezza russi. Babchenko decise che avrebbe finto di essere ucciso, così da far cadere Herman e i suoi eventuali complici in un trappola.

Il piano che venne messo in piedi fu studiato in ogni dettaglio. Babchenko indossò una maglietta che sulla schiena aveva tre fori di proiettile. Con l’aiuto di un esperto di effetti speciali del cinema simulò le ferite e cosparse il pavimento di sangue di maiale. Quando arrivò il momento, la moglie di Babchenko chiamò polizia e ambulanza, dicendo che suo marito era stato ferito alla schiena mentre rientrava a casa. I paramedici erano stati avvertiti del trucco (i poliziotti, che scattarono le foto al corpo, invece non sapevano nulla, secondo il Wall Street Journal). Babchenko fu caricato sull’ambulanza, dichiarato morto e portato all’obitorio dove rimase per tutta la notte, fumando sigarette e bevendo thé in attesa che il piano scattasse.

Nel frattempo, Tsymbalyuk aveva inviato ad Herman il messaggio in codice con cui gli comunicava di aver ucciso Babchenko, una notizia che intanto era stata ripresa dai giornali di tutto il mondo. Herman però non rispose. Tsymbalyuk e gli agenti dei servizi di sicurezza ucraini passarono lunghe ore di tensione, temendo che il loro complicato piano fosse fallito. Poi, a notte fonda, Herman rispose dicendo che stava poco bene perché aveva bevuto troppo, ma si complimentava per il successo dell’operazione.

Il piano a quel punto prevedeva di far cadere Herman in qualche sorta di trappola che facesse emergere i suoi complici, ma, secondo le persone intervistate dal Wall Street Journal, la situazione a quel punto iniziò a cambiare molto più rapidamente del previsto. I servizi di sicurezza ucraini vennero a sapere che Herman aveva acquistato dei biglietti aerei per l’Italia e che quindi non c’era più tempo a perdere. Herman venne arrestato immediatamente e, nel corso di una delle più incredibili conferenze stampa degli ultimi anni, il capo dei servizi segreti ucraini, affiancato da Babchenko, raccontò cos’era successo.

Questa complicata operazione al momento sembra aver prodotto frutti piuttosto modesti. Herman si trova sotto processo, da solo e senza complici. Ha ammesso che l’ordine di uccidere Babchenko gli era arrivato da un suo vecchio amico ucraino, che oggi vive in Russia e lavora per conto del governo di quel paese, ma ha anche contribuito a confondere ancora di più le acque, sostenendo che anche lui era parte di un’operazione sotto copertura di un altro servizio di sicurezza ucraina. Tsymbalyuk, ha detto, era stato scelto come killer proprio perché era un ex monaco e quindi non avrebbe portato a termine l’omicidio, ma avrebbe avvertito le autorità. Al momento, in Ucraina, non sono in molti a credere in questa difesa.

Nella storia comunque restano comunque numerosi buchi, che nemmeno l’inchiesta del Wall Street Journal è riuscita a riempire. Il principale è anche il più ovvio: perché era necessario portare avanti la finzione dell’omicidio di Babchenko così tanto, al punto di utilizzare sangue finto ed effetti speciali cinematografici? Di fatto, per mettere sotto processo Herman sarebbe stata sufficiente la testimonianza di Tsymbalyuk, le registrazione degli incontri tra i due che i servizi di sicurezza ucraini sostengono di aver realizzato e i passaggi di denaro con cui Herman pagò l’omicidio (circa 30 mila euro).

Per quanto l’operazione abbia portato all’arresto di un probabile agente dei servizi di sicurezza russi, rimane in dubbio chi, tra Russia e Ucraina, abbia tratto i maggiori vantaggi dall’operazione. Non solo l’intera messinscena ha contorni etici molto discutibili, ma soprattutto rischia di minare ulteriormente la credibilità del governo ucraino, che non è mai stata particolarmente alta.