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  • Giovedì 31 maggio 2018

Fingere la morte del giornalista russo Arkady Babchenko è stato giusto?

Se lo chiedono da ieri giornalisti ed esperti, discutendo di etica giornalistica e opportunità politiche: e non c'è grande accordo

Arkady Babchenko (AP Photo/Efrem Lukatsky)
Arkady Babchenko (AP Photo/Efrem Lukatsky)

«Ho vissuto e lavorato in Ucraina per più di otto anni e ho visto un sacco di cose assurde. Ma questa è la più assurda di tutte». Il commento è di Christopher Miller, giornalista nato in Oregon ma con una lunga carriera professionale in Ucraina e in diversi importanti giornali internazionali, ed è riferito all’incredibile messinscena organizzata dai servizi segreti ucraini per fingere l’omicidio di Arkady Babchenko, giornalista russo dato per morto ma in realtà vivo, e in buona salute.

Miller, così come altri giornalisti, è rimasto stupefatto dell’improvvisa apparizione di Babchenko a una conferenza stampa tenuta mercoledì nella sede dell’intelligence ucraina a Kiev. Stando a quanto detto dalle autorità ucraine, la finta morte di Babchenko sarebbe stata organizzata per arrestare un uomo che era stato pagato per uccidere il giornalista per conto della Russia. «Chiedo scusa in modo particolare a mia moglie Olechka. Mi dispiace ma non c’erano altre opzioni», ha detto lo stesso Babchenko in conferenza stampa.

La finta morte di Babchenko ha provocato reazioni forti e contrastanti – oltre che grande gioia tra amici, colleghi (come mostra il video qui sotto) e familiari – e ha sollevato questioni diverse di etica giornalistica e di opportunità politica.

Nelle 24 ore precedenti alla conferenza stampa, infatti, i giornali di mezzo mondo, tra cui il Post, avevano dato per certa la notizia della morte del giornalista: c’erano la conferma ufficiale della polizia ucraina e del governo ucraino, e anche una foto di Babchenko sul pavimento di casa sua, in una pozza di sangue, con tre buchi nella schiena corrispondenti ai tre presunti spari. C’erano anche motivi per credere che Babchenko potesse essere stato ucciso, viste le vere minacce ricevute per il suo lavoro e la sua nota opposizione al presidente russo Vladimir Putin. Ma l’omicidio non era vero. Il parlamentare ucraino Anton Geraschenko ha giustificato così su Facebook la messinscena: «Sherlock Holmes usò con successo la finzione della propria morte per svolgere un’indagine efficace su un crimine complesso e intricato. Non importa quanto fosse doloroso per la sua famiglia e il Dr. Watson».

Da ieri la storia della finta morte di Babchenko è stata ripresa un po’ ovunque ed è stata commentata con toni diversi da giornalisti, osservatori ed esperti. Alcuni pensano che Babchenko abbia fatto bene a seguire le indicazioni dell’intelligence, altri sostengono l’opposto. Le questioni in ballo sono parecchie: è etico per un giornalista essere oggetto consapevole di una notizia falsa di queste dimensioni? Era davvero necessario mettere in piedi tutta questa messinscena per proteggere la vita di Babchenko? Quali saranno le conseguenze per la credibilità del governo ucraino d’ora in avanti? I giornalisti si fideranno ancora di quello che verrà detto loro? La Russia, incolpata dall’Ucraina di voler uccidere Babchenko, sia prima che dopo la conferenza stampa di Kiev, sfrutterà questa storia per mettere in discussione la credibilità dei suoi oppositori e schivare le critiche e le accuse per i giornalisti uccisi sul serio? Sono tutte domande a cui non ci sono facili risposte.

La scelta di Babchenko di far parte della messinscena messa in piedi dall’intelligence ucraina è stata criticata da diversi osservatori, tra cui il giornalista investigativo russo Andrei Soldatov, che su Twitter ha scritto: «Scusate, ma per me si è superato il limite alla grande. Babchenko è un giornalista, non un poliziotto, santo cielo, e parte del nostro lavoro è basato sulla fiducia, qualsiasi cosa Trump e Putin dicano sulle fake news. Sono contento che sia vivo, ma così facendo ha indebolito ancora di più la credibilità dei giornalisti e dei media». Non sappiamo però che margine di rifiuto avesse Babchenko davanti alla minaccia concreta e alla richiesta dei servizi segreti ucraini.

Anche la questione della fiducia e della credibilità delle informazioni diffuse dal governo ucraino è stata al centro di molte critiche. Reporter Senza Frontiere ha espresso indignazione per come l’intelligence ucraina abbia manipolato i fatti e ha parlato di «nuovo passo» della guerra di informazione: «È sempre molto pericoloso per un governo giocare con i fatti, specialmente usando i giornalisti per le sue storie false», ha scritto il segretario generale dell’organizzazione, Christophe Deloire. Il Committee to Protect Journalist, associazione nata per difendere la libertà di stampa e i diritti dei giornalisti, ha messo in fila i dubbi su quanto successo e ha chiesto al governo ucraino di rispondere a una serie di domande, tra cui: «Chi del governo ucraino era a conoscenza dell’operazione?». Alcuni osservatori si sono chiesti anche quanto ci fosse di vero nella ricostruzione fatta dall’intelligence ucraina sull’operazione segreta che ha portato all’arresto di un uomo sospettato di essere stato incaricato di uccidere Babchenko. Lucian Kim, corrispondente a Mosca per NPR, la radio pubblica americana, ha scritto: «Faccio fatica a credere alla storia dell’operazione sotto copertura perché arriva dalle stesse persone che ieri ci dicevano che Babchenko era morto. È una questione di credibilità».

Diversi giornalisti, inoltre, hanno sottolineato il rischio che la finta morte di Babchenko possa essere usata dalla propaganda russa per screditare le dichiarazioni dei suoi avversari, come si è già visto nelle ultime ore. Dopo la controversa conferenza stampa di Kiev, Margarita Simonyan, caporedattrice di Russia Today (canale finanziato dal Cremlino), ha paragonato la storia di Babchenko all’avvelenamento nel Regno Unito dell’ex spia russa Sergei Skripal e di sua figlia, Yulia Skripal. Simonyan ha trovato nuovi argomenti per sostenere la versione del governo russo, cioè che in realtà anche l’avvelenamento sia stato tutta una messinscena del governo britannico per alzare la tensione con la Russia: «Una volta c’era bisogno di uccidere davvero delle persone per mettere in piedi una provocazione geopolitica potente. Ora è più semplice e più bello, nascondi qualcuno per qualche giorno e fai partire le rotative».

Un altro esempio è quello che ha scritto un account filo-russo su Twitter, Antikaratel, che ha commentato la foto di Babchenko in una pozza di sangue (foto che mostrava evidentemente una cosa non vera). Antikaratel ha parlato di manipolazione della realtà tramite le immagini, paragonando il caso di Babchenko a quello dei Caschi Bianchi, organizzazione siriana che soccorre le persone colpite dai bombardamenti e che negli ultimi anni è stata oggetto particolare delle critiche della propaganda russa: «La prossima volta che mi mostrerete una foto dalla Siria dei “Caschi Bianchi” vi mostrerò la foto di “Arkady Babchenko morto, ucciso da Putin”». In sostanza, ha scritto Miriam Elder, caporedattrice degli Esteri di Buzzfeed ed esperta di Russia, «il Cremlino ha combattuto a lungo per danneggiare l’idea della verità e della realtà. L’Ucraina le ha appena dato una mano».

Non tutti comunque condividono gli stessi dubbi e preoccupazioni. Diversi osservatori ritengono che Babchenko abbia fatto bene a collaborare con l’intelligence ucraina, perché la sua vita era davvero in pericolo. Simon Ostrovsky, giornalista russo-americano prima a Vice News e ora a Coda Story, ha scritto su Twitter: «Adesso che le emozioni iniziali per la resurrezione di Babchenko sono passate, mi sto chiedendo questo: se avessi avuto l’opportunità di prendere i tizi che stavano cercando di uccidermi, avrei accettato di far parte di una messinscena del genere? Probabilmente sì, se devo essere onesto. È importante vederla anche dalla sua prospettiva». Di parere simile è Micheal Weiss, collaboratore di CNN e Daily Beast. Weiss ha scritto che per Babchenko era comprensibilmente più importante rimanere vivo, invece che preoccuparsi degli effetti strategici di lungo periodo sulla legittimità della stampa e su come la Russia avrebbe potuto usare tutta questa storia a suo vantaggio.

Per alcuni, inoltre, la messinscena della morte di Babchenko non è stata una cosa positiva solo nell’ottica di salvargli la vita. Maxim Ristavi, analista ucraino dell’Atlantic Council, ha detto che l’operazione dell’intelligence dovrebbe essere celebrata da molti ucraini perché è stata «uno sviluppo fondamentale» nelle politiche del governo per la protezione dei giornalisti. È andato anche oltre Gary Kasparov, ex campione russo di scacchi e ora attivista anti-Putin, che ha sostenuto che l’operazione abbia mostrato per la prima volta come lo strumento delle fake news – secondo Kasparov ampiamente usato dal governo russo – sia «stato usato contro lo stesso Putin». Kasparov ha inoltre descritto la messinscena della morte di Babchenko come «probabilmente l’operazione di maggior successo» realizzata finora nello spazio ex sovietico.

Quello che si sa, comunque, è che da ieri la tensione tra Ucraina e Russia è più alta del solito. Le autorità ucraine stanno continuando a diffondere prove che sembrano mostrare il coinvolgimento della Russia nella pianificazione dell’omicidio di Babchenko, anche se i punti poco chiari continuano a essere molti. Intanto Babchenko ha fatto il suo primo tweet, qualche ora dopo la conferenza stampa a Kiev: ha scritto che vivrà fino a 96 anni, dopo «avere ballato sulla tomba di Putin».