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  • Mercoledì 25 luglio 2018

Quelli dietro al vetro

La vita degli interpreti al Parlamento Europeo, che svolgono una mansione imprescindibile fra ghanesi incomprensibili e trucchi del mestiere

(FREDERICK FLORIN/AFP/Getty Images)
(FREDERICK FLORIN/AFP/Getty Images)

Certe conferenze stampa al Parlamento Europeo sono meno frequentate di altre. A volte c’entra l’orario, altre volte il tema è semplicemente poco attraente. Anche in quelle occasioni, però, i giornalisti sono meno soli di quanto potrebbe sembrare. Le pareti della sala stampa, fatte di un vetro molto scuro, non sono delle vere pareti: nascondono cabine di qualche metro quadro dove siedono gli interpreti ufficiali del Parlamento Europeo, incaricati di tradurre in tempo reale tutto quello che viene pronunciato dal vivo, in sala stampa ma soprattutto nelle aule del Parlamento.

Fare l’interprete è un mestiere complicato, e il lavoro in cabina è solo la punta dell’iceberg delle loro mansioni. Per essere in grado di tradurre in tempo reale il discorso di un funzionario ghanese che parla delle coltivazioni locali, o di un parlamentare che commenta le beghe interne di un partito bulgaro, bisogna studiare moltissimo ed essere pronti a improvvisare. Qualcuno lo paragona al lavoro del cronista, che ogni giorno deve occuparsi di qualcosa di nuovo. A volte però, racconta al Post uno dei circa settecento interpreti che lavorano al Parlamento Europeo, lo studio non basta: magari perché il funzionario parla un inglese pessimo, o perché sta leggendo da un foglio e quindi va velocissimo, o più banalmente perché nemmeno lui sa esattamente cosa stia dicendo. «L’interprete si scusa ma il riferimento esatto ci è sfuggito», potreste sentire in cuffia di tanto in tanto, con grande frustrazione dell’interprete in questione.

Come per molti lavori impegnativi e di responsabilità, diventare un interprete al Parlamento è complicato: bisogna sapere almeno tre-quattro lingue, superare un concorso per diventare funzionario, a cui partecipano centinaia di persone, oppure un apposito esame professionale per entrare in una lista di freelance che collaborano a chiamata (ma che sul lavoro vengono trattati esattamente come i funzionari). Il livello è molto alto, e alcuni sono talmente bravi che sembra siano loro a pronunciare il discorso che stanno traducendo. Ma è il risultato di un paradosso: un interprete riesce a tradurre al meglio quando l’oratore sta parlando a braccio e nella sua lingua originale, cosa che risulta scomoda e un po’ fastidiosa per tutti quelli che seguono i lavori (pensate se tutti i parlamentari e funzionari estoni parlassero solo in estone).

I rischi del mestiere sono concreti: «Ci sono volte in cui traduci in cui è possibile trovare qualcosa di simile nella tua lingua, ma è rischioso perché potrebbe essere interpretato in maniera diversa rispetto alle parole originali; e gli eurodeputati che ti ascoltano possono reagire alle tue parole, piuttosto che a ciò che l’oratore ha detto davvero», ha raccontato al sito del Parlamento un interprete olandese. Il lavoro è così impegnativo che ci si dà il cambio ogni mezz’ora, considerato il termine massimo anche per un interprete esperto: oltre quel limite, la lucidità cala ed è difficile tradurre bene.

La paga è buona e l’orario indefinibile, come per molti che lavorano alle istituzioni europee. Ultimamente c’è stata un po’ di agitazione, però: l’amministrazione del Parlamento ha proposto unilateralmente alcune modifiche al loro contratto, come ad esempio l’allungamento dell’orario di lavoro a parità di stipendio; e un consistente gruppo di loro ha scelto di scioperare, rischiando di far diventare gli incontri istituzionali una massa ingarbugliata di gente che non si capisce a vicenda. Dopo qualche settimana di negoziati sembra che sia stata trovata una soluzione, che però non è stata ancora ufficializzata.

Un interprete appende un cartello SCIOPERO sul vetro della sua cabina durante un incontro al Parlamento Europeo di Bruxelles, 9 luglio 2018 (ARIS OIKONOMOU/AFP/Getty Images)

Come in tutti i lavori di chi maneggia le lingue, ci sono molte regole non scritte. La più importante: un interprete può capire molte lingue, anche sei o sette, ma di norma traduce solo nella sua lingua madre, per una questione di fedeltà e rigorosità.

Il problema è che il Parlamento Europeo deve garantire la traduzione simultanea della maggior parte dei lavori nelle 24 lingue ufficiali dell’Unione. La maggior parte degli interpreti conosce quattro o cinque lingue, fra cui alcune molto rare, ma non basta: se a una commissione partecipano fra gli altri un maltese, un irlandese, uno slovacco e un danese, come in una barzelletta, è quasi impossibile trovare un traduttore madrelingua portoghese che grazie ai suoi studi comprenda lo slovacco, per esempio. Per risolvere il problema si usano due sistemi poco ortodossi ma essenziali per garantire che tutti capiscano tutto.

Il relay è il più convenzionale. Se bisogna tradurre una parlamentare che parla ungherese, forse la più oscura fra le lingue ufficiali europee, può capitare che nelle cabine ci siano pochi interpreti che la capiscono. Quei pochi interpreti fanno allora da ponte: traducono l’ungherese in una lingua che avrà sicuramente più parlanti – come inglese, francese, italiano o spagnolo – e quella traduzione verrà a sua volta tradotta nelle altre lingue principali. Si perde un po’ di immediatezza – la distanza fra il discorso originale e la traduzione in simultanea è di un secondo circa, e nel caso di un relay diventa di tre secondi – ma la regola cardine di tradurre nella propria lingua madre viene rispettata.

Il retour funziona grazie al principio opposto: un interprete ascolta un discorso nella sua lingua madre e lo traduce in una lingua che ha studiato, magari l’inglese o il francese, cosicché altri interpreti possano “attaccarsi” e tradurlo nella propria lingua. Oltre ad essere poco immediato, come il relay, il retour ha il rischio aggiuntivo di fornire un discorso con ancora meno sfumature, visto che quella in cui traduce non è la sua lingua madre. Aiuta però a cogliere meglio il senso del discorso, che si svolge nella lingua madre dell’interprete ponte: e per questo oggi si tende a usarlo molto più spesso che in passato.

A volte la cosa più difficile è riuscire ad accantonare se stessi, e tradurre fedelmente una cosa falsa o con cui non si è d’accordo: per questo, oltre che al giornalista, il mestiere dell’interprete è stato paragonato anche a quello dell’attore: «Cerco di far comprendere le persone tra loro, indipendentemente da ciò che dicono, anche se affermano il contrario di quello che ritengo vero», ha spiegato al sito del Parlamento un’interprete tedesca: «Siamo imparziali e questo è più facile per le persone che sanno recitare, che possono entrare nello spirito dell’oratore».