Il disastro ambientale alla Farmoplant, 30 anni fa

La storia del discusso impianto industriale Montedison a Massa, dove il 17 luglio 1988 ci furono esplosioni e incendi con conseguenze che paghiamo ancora oggi

La prima pagina del Corriere della Sera del 18 luglio 1988, con la notizia dell'esplosione alla Farmoplant
La prima pagina del Corriere della Sera del 18 luglio 1988, con la notizia dell'esplosione alla Farmoplant

Il 17 luglio di 30 anni fa un incidente nello stabilimento di insetticidi Farmoplant di Massa causò uno dei più gravi disastri ambientali nel Centro Italia. L’esplosione di un reparto di lavorazione – e il conseguente incendio – portarono alla formazione di una grande nube tossica che in poche ore avrebbe coperto un’area di circa 2mila chilometri quadrati, grossomodo tra La Spezia e Forte dei Marmi, con grandi preoccupazioni da parte della popolazione e una risposta che fu giudicata tardiva e poco organizzata da parte della Protezione Civile. I fatti del 1988 incisero profondamente sulla storia già travagliata della Farmoplant, azienda sussidiaria di Montedison (ora Edison) messa in liquidazione lo stesso anno e chiusa poi in modo definitivo nel 1991.

La storia complicata di Farmoplant
Lo stabilimento Farmoplant era molto conosciuto nella zona di Massa, soprattutto perché dava lavoro a centinaia di persone. Era stato inaugurato nel 1976 in seguito alle pressioni del governo su Montedison, grande azienda chimica che aveva chiuso nella zona lo stabilimento Azoto, in attività dai tempi del fascismo e ritenuto ormai obsoleto per lo stato dei suoi macchinari. Il governo voleva evitare che la chiusura incidesse sui già alti livelli di disoccupazione e sul processo di deindustrializzazione dell’area. Il vecchio stabilimento fu sostituito con un nuovo centro per la produzione di insetticidi e altri prodotti per l’agricoltura, sotto il marchio Farmoplant.

Nonostante le rassicurazioni di Montedison, negli anni seguenti divenne evidente che il nuovo stabilimento avesse carenze nella gestione della sicurezza, sia dei lavoratori sia della popolazione nelle aree adiacenti. Nel 1980 un incendio in un magazzino non autorizzato esterno all’impianto aveva prodotto un nube solforosa, senza causare intossicazioni, ma sufficiente comunque per indurre l’amministrazione locale di Massa a disporre la sospensione delle attività nello stabilimento. Il governo intervenne con l’istituzione di una commissione, incaricata di verificare la sicurezza della Farmoplant.

La notizia dell’incendio del 1980 sulla prima pagina del Corriere della Sera del 18 agosto 1980

Furono necessari circa cinque mesi di controlli, mediazioni tra sindacati, azienda e governo per portare alla riapertura dello stabilimento, garantendo i posti di lavoro degli operai. La riapertura fu però accompagnata da numerose proteste, soprattutto da parte della popolazione preoccupata per i rischi nella produzione dei prodotti chimici, per i singoli cittadini e per l’ambiente.

Mentre le attività produttive proseguivano, intorno alla Farmoplant crescevano sostanzialmente due schieramenti: da una parte c’erano gruppi di cittadini e attivisti contrari alla presenza nel territorio dello stabilimento, che secondo loro costituiva un serio pericolo ambientale; dall’altra c’era parte delle istituzioni e dei lavoratori, che temevano gli effetti di una chiusura definitiva della fabbrica, con effetti sull’occupazione e più in generale sul livello di industrializzazione dell’area di Massa e dintorni. La sensibilità al tema ambientale divenne prevalente soprattutto dopo il disastro di Bhopal in India nel 1984, dove l’isocianato di metile fuoriuscito da uno stabilimento di Union Carbide aveva causato la morte di migliaia di persone. Farmoplant utilizzava per le sue lavorazioni alcuni composti simili, cosa che aveva inciso molto sulle richieste di chiudere una volta per tutte lo stabilimento.

Su pressione della regione Toscana, che aveva inserito Farmoplant tra le aziende “ad alto rischio”, nel 1986 Montedison si impegnò a investire 10 miliardi di lire (più o meno 12 milioni di euro attuali) per ristrutturare l’impianto di Massa. La spesa finale fu molto inferiore e dedicata solo in parte alla messa in sicurezza, e per il resto a investimenti per migliorare la produzione.

Nell’autunno del 1987 un referendum consultivo (il primo di questo tipo in Europa) organizzato nei comuni di Massa, Carrara e Montignoso indicò con una schiacciante maggioranza (71,69%) la richiesta per la chiusura degli stabilimenti Farmoplant. In seguito al referendum il comune di Massa revocò i permessi per la produzione, ma Farmoplant ricorse al TAR della Toscana che diede parere favorevole alla riapertura dello stabilimento definendolo “sicuro al 99,999 per cento”, tra molte polemiche e critiche delle organizzazioni locali.

L’incidente di 30 anni fa
Alle 6:10 del 17 luglio 1988 nell’impianto per i formulati liquidi di Farmoplant ci fu una grande esplosione, seguita da un’altra circa cinque minuti dopo in un vicino serbatoio che conteneva oltre 50mila litri di insetticida dimetoato (Rogor). Il materiale produsse un notevole incendio sprigionando fumi e vapori tossici. L’aumento della temperatura nell’impianto portò a una serie di altri incidenti a catena: due esplosioni in tubazioni in cui si erano accumulati gas e nuovi incendi. La nube prodotta era ben visibile a distanza; i vigili del fuoco lavorarono per diverse ore prima di riuscire a contenere e poi spegnere l’incendio principale, verso la fine della mattinata.

La Protezione Civile diffuse comunicati piuttosto rassicuranti, sostenendo che la nube tossica fosse “maleodorante” ma che non potesse essere considerata inquinante. Si stava disperdendo rapidamente, sostenevano i suoi responsabili, al punto da non richiedere particolari interventi di monitoraggio. Trasportata dai venti, la nube tossica si diffuse in un’area di circa 2mila chilometri quadrati. L’Unità sanitaria locale di Massa raccomandò di non consumare frutta e verdura prodotta nella zona, mentre fu disposto il divieto di balneazione nei pressi del torrente Lavello, poco distante dallo stabilimento. Alcune decine di persone furono ricoverate per accertamenti e sospette intossicazioni.

L’impressione nei giorni seguenti fu che l’incidente avrebbe potuto avere conseguenze molto più gravi, avviando una nuova campagna da parte di cittadini, organizzazioni e degli stessi lavoratori per la dismissione della Farmoplant. Il governo decretò che lo stabilimento rimanesse chiuso per 6 mesi in attesa delle verifiche tecniche. In occasione di una visita di alcuni ministri a Massa, ci furono manifestazioni e scontri di piazza, con feriti tra i manifestanti e le forze dell’ordine. Le attività produttive non sarebbero più tornate a pieno regime e nel 1991 lo stabilimento fu chiuso definitivamente da Montedison.

Conseguenze
Anche se sono passati 30 anni, la storia del disastro ambientale della Farmoplant ha ancora conseguenze, soprattutto sul piano ambientale. Dopo l’incidente, a fine anni Ottanta fu istituita una commissione per valutare il piano di bonifica della zona, molto criticata per un approccio ritenuto approssimativo e che coinvolse dirigenti della stessa Montedison. I lavori di bonifica veri e propri iniziarono nel 1991 e proseguirono fino al 1995, a cura della società Cersam. Ci si concentrò soprattutto sulla qualità dell’acqua e sulle sue contaminazioni, decidendo a fine anni Novanta che le acque della zona potessero nuovamente confluire nel torrente Lavello.

Una lunga causa legale vide contrapposte Edison (il nuovo marchio di Montedison) e la provincia di Massa-Carrara, determinata a ottenere risarcimenti per danni ambientali. Nel 2010 la provincia e i comuni coinvolti accettarono un risarcimento proposto da Edison, ma ritenuto da molti osservatori in difetto rispetto all’effettivo danno subito. Il comune di Carrara ottenne 600mila euro, quello di Massa 750mila e la provincia altri 250mila.

Nonostante successivi interventi, l’area industriale dove era attivo lo stabilimento Farmoplant risulta ancora inquinato. La causa è in parte dovuta alle scelte dell’amministrazione locale, che dispose uno smaltimento dei rifiuti liquidi non idoneo e che portò a nuove contaminazioni nella falda acquifera. Rifiuti solidi furono interrati in diverse zone dello stabilimento, comportando ulteriori rischi per l’ambiente.