• Sport
  • Domenica 15 luglio 2018

Il “numero 10” venuto dal nulla

La storia di Luka Modric, capitano dell'ultima generazione croata cresciuta durante la guerra, miglior giocatore dei Mondiali

di Pietro Cabrio

Luka Modric nella partita dei gironi contro l'Argentina (Jan Kruger/Getty Images)
Luka Modric nella partita dei gironi contro l'Argentina (Jan Kruger/Getty Images)

La finale dei Mondiali di calcio che la Croazia ha perso a Mosca contro la Francia è stata un evento eccezionale per la storia del paese balcanico. L’ultima generazione di calciatori ad aver vissuto le guerre jugoslave ha infatti raggiunto il miglior piazzamento mondiale di sempre: un risultato entusiasmante per un paese di 4 milioni di abitanti (66 milioni in meno della Francia) normalmente abituato a esistere quasi esclusivamente nella dimensione locale dell’Europa balcanica.

La Croazia è arrivata a giocare la finale dei Mondiali con una squadra all’altezza di tutte le altre grandi nazionali del torneo. Ed è da quattro anni che il suo attuale gruppo di giocatori è osservato con molta attenzione. Il giocatore di copertina di questa Croazia è inevitabilmente il suo capitano, Luka Modric, regista del Real Madrid, considerato uno dei migliori “numeri 10” al mondo. È anche uno dei più grandi simboli della sua generazione, quella cresciuta nelle ultime fasi della guerra. Viene da una storia lunga e complessa, iniziata nelle aree rurali della Croazia meridionale, abbandonate per le incursioni delle milizie serbe.

Modric ha preso il nome del nonno, che viveva nella casa di famiglia a Modrici, piccola località montuosa che prende il loro cognome vicina al confine con la Bosnia. In questi giorni sta circolando nuovamente online un video tratto da un vecchio documentario girato dal regista Pavle Balenovic sulla Croazia rurale: secondo Balenovic, un bambino ripreso tra il 1989 e il 1990 mentre pascolava delle pecore sarebbe proprio Modric all’età di cinque anni, quando ancora abitava lì.

Nel 1991, dopo l’indipendenza dalla Jugoslavia annunciata dai croati, l’esercito e le milizie serbe penetrarono nelle aree settentrionali del paese al confine con la Bosnia. Si spinsero fino all’area abitata dai Modric in un tentativo di assedio ai grandi centri costieri. Quando ancora non tutta la popolazione era stata evacuata, in un agguato in una zona boschiva più isolata i serbi uccisero a sangue freddo il nonno paterno, che trovarono inerme mentre curava il bestiame. All’epoca Modric aveva sei anni.

Dopo l’agguato la famiglia lasciò la casa e si rifugiò all’Hotel Kolovare di Zara, trasformato in un centro di accoglienza per sfollati. Fu il direttore dell’albergo, che frequentava abitualmente la società calcistica locale dello Zadar, il primo a notare Modric vedendolo giocare ogni giorno nei parcheggi e nelle strade attorno alla struttura. Nel frattempo la città veniva colpita continuamente da granate ed era senza acqua ed elettricità da più di un anno. I dirigenti dello Zadar avevano deciso di aprire a tutti il piccolo centro sportivo della società per permettere, in special modo ai bambini, di passarci le giornate. Modric fu uno di loro, e nonostante fosse tra i più gracili e timidi, iniziò fin da subito a farsi notare grazie a un controllo di palla incredibilmente sviluppato e a una visione di gioco innata.

Il direttore delle giovanili dello Zadar, Tomislav Basic, divenne il suo mentore e lo seguì ad inizio carriera. Quando la guerra finì, Basic gli assegnò un preparatore personale in accordo con il resto dei dirigenti, i quali avevano capito di avere per le mani un grandissimo talento. Dallo Zadar andò in prova all’Hajduk Spalato, il club più importante della zona meridionale del paese, allora molto più isolata di oggi. Ma venne scartato dopo essere stato giudicato troppo esile per giocare ai livelli richiesti. Il ritorno a Zara fu per sua stessa ammissione molto difficile da accettare, anche perché l’Hajduk era la squadra per cui tifava da sempre. Ma con il sostegno di Basic e della famiglia, Modric riuscì a finire nei rapporti degli osservatori della Dinamo Zagabria, il più importante club della capitale, che nel 2002 lo portò nelle sue giovanili offrendogli ogni tipo di sostegno.

A Zagabria trovò la miglior accademia del paese, che riconobbe il suo talento e lo avviò al professionismo seguendo metodi drastici ma efficaci. Per “farsi le ossa” nel calcio professionistico venne mandato in prestito allo Zrinjski Mostar, la squadra della parte croata della città, che giocava nel rude e disastrato campionato bosniaco, e poi in un piccolo club della prima divisione croata, l’Inter Zapresic. Fu probabilmente il migliore giocatore di entrambe le squadre, con le quali vinse il premio di miglior giocatore in Bosnia e poi quello di miglior promessa croata. A Mostar e a Zapresic viene ricordato con affetto ancora oggi: nel corso degli anni i due club hanno ricevuto piccole ma significative percentuali dai suoi trasferimenti all’estero.

Al termine della seconda stagione passata in prestito, la Dinamo dichiarò concluso il suo periodo di formazione e lo chiamò in prima squadra, di cui divenne presto un leader assieme ai suoi attuali compagni di nazionale Vedran Corluka, Milan Badelj e Mario Mandzukic. Insieme diedero inizio al dominio del club nel campionato croato, culminato nel 2016 con l’undicesimo titolo nazionale consecutivo. Nei tre anni e nelle 94 partite giocate con la Dinamo, la classe di Modric divenne evidente a tutti. Con una visione di gioco fuori dal comune e la capacità di cambiare passo con la palla al piede in una frazione di secondo, rese la Dinamo Zagabria una squadra nuovamente competitiva anche nei tornei continentali, pur mantenendo sempre la sua dimensione est europea.

Nel 2008 il suo trasferimento al Tottenham per 21 milioni di euro fu il più costoso nella storia del club inglese e il più remunerativo di sempre per la Dinamo. Alla sua ultima partita allo stadio Maksimir di Zagabria, Modric venne accompagnato da una lunga ovazione del pubblico, probabilmente consapevole di trovarsi di fronte a un giocatore di rara classe e con una lunga carriera di successi davanti.

La scalata di Modric proseguì spedita anche all’estero. Nel 2012 arrivò al suo primo grande traguardo personale: il passaggio al Real Madrid per 30 milioni di euro. Una delle prime persone a venirlo a sapere fu Basic, il vecchio mentore, a cui Modric telefonò personalmente poco dopo la firma del contratto. Fu comprato nell’ultimo anno di incarico di José Mourinho per essere inserito immediatamente nei titolari, un’altra prova in cui riuscì alla perfezione. L’anno dopo, allenato da Carlo Ancelotti, con cui stabilì un ottimo rapporto, riportò il club alla vittoria della Champions League a dodici anni dall’ultimo successo.

Nelle ultime tre stagioni, allenato da Zinedine Zidane e con tanti altri campioni in squadra, di Champions League ne ha vinte addirittura tre di fila, contribuendo in modo decisivo a portare il Real nella storia del calcio come una delle squadre più forti e competitive mai viste: non tanto per la qualità del gioco espresso, bensì per le elevatissime abilità individuali di ogni suo titolare, per il livello di atletismo raggiunto e per la capacità di vincere e ottenere sempre il massimo risultato.

I grandi risultati ottenuti in Russia potrebbero aiutarlo a cambiare la percezione che ha di lui una parte di Croazia per via di un caso giudiziario in cui è coinvolto e che riguarda fatti risalenti alla sua infanzia. Modric è infatti rimasto coinvolto nel processo a Zdravko Mamic, l’uomo che lo seguì da vicino alla Dinamo Zagabria dandogli i sostegni di cui ebbe bisogno. Mamic e suo fratello Zoran, ex allenatore della Dinamo, si trovano sotto processo in Croazia con le accuse di evasione fiscale, estorsione e corruzione. Il primo dei due, che è il principale imputato del processo, è accusato di aver sottratto milioni di euro dalle casse del club e di aver sfruttato il suo ruolo di mentore per far firmare ai giovani giocatori più talentuosi dei contratti con cui era solito garantirsi cospicue percentuali dei loro futuri ingaggi.

Una foto circolata nei giorni del processo: si vede Modric mentre sta testimoniando e alle sue spalle, seduti, gli imputati Zdravko Mamic (al centro) e il fratello Zoran (a destra) (STR/AFP/Getty Images)

Il processo è iniziato quest’anno – ad Osijek e non a Zagabria, dove Mamic avrebbe potuto trarre vantaggio dalla presunta vicinanza ad alcuni giudici – con l’accusa forte delle importanti testimonianze date da Modric e Dejan Lovren, difensore del Liverpool e della nazionale cresciuto nella Dinamo. Ma nel corso del processo Modric ha ritrattato la versione fornita durante le indagini, che sosteneva la tesi dell’accusa, dicendo con tono dimesso di non ricordare tutti gli avvenimenti del caso. La sua testimonianza, trasmessa in diretta nazionale, gli è valsa l’accusa di spergiuro e gli ha attirato subito le critiche di molti croati, che in quei giorni chiesero di togliergli la fascia da capitano della nazionale. Si tratta di una vicenda poco chiara destinata a continuare ancora per molto, e le contestazioni nei confronti di Modric, seppur diminuite, non sono finite.