Perché Anthony Bourdain era speciale

Colleghi, giornalisti e fan stanno spiegando in queste ore i tanti motivi per cui ricorderemo il cuoco e divulgatore morto ieri a 61 anni

Una foto di Anthony Bourdain appesa fuori dalla Brasserie Les Halles, il ristorante di New York dove fu per anni chef. (Drew Angerer/Getty Images)
Una foto di Anthony Bourdain appesa fuori dalla Brasserie Les Halles, il ristorante di New York dove fu per anni chef. (Drew Angerer/Getty Images)

Anthony Bourdain, celebre cuoco e personaggio televisivo americano, è morto venerdì a 61 anni: si è ucciso in una stanza d’albergo a Strasburgo, in Francia, dov’era per registrare una puntata del suo programma Cucine segrete, trasmesso in Italia da La Effe. Bourdain era uno dei più noti, talentuosi e apprezzati divulgatori di cucina del mondo. Negli ultimi dieci anni, con i suoi programmi andati in onda principalmente su CNN, viaggiò in tutto il mondo e raccontò non solo le tradizioni gastronomiche locali, ma più in generale le culture dei posti che visitava. Nelle ore che hanno seguito la notizia della sua morte cuochi, celebrità, giornalisti e semplici appassionati hanno spiegato sui giornali e sui social network perché Bourdain era speciale, in cosa era diverso dagli altri, e perché ci ricorderemo di lui.

Sul New York Times, la professoressa della Northeastern University Sarah J. Jackson ha spiegato che il talento e il merito di Bourdain erano principalmente quelli di spiegare le cucine dei luoghi che visitava dando conto del contesto sociale e culturale in cui erano inserite, con un’attenzione particolare per le popolazioni discriminate e storicamente oppresse. Diversamente da molte altre personalità televisive che lavorano in paesi non occidentali, Bourdain aveva la capacità e la volontà di raccontare questi luoghi senza paternalismo e senza esotismo, cioè senza ricorrere alle superficiali fascinazioni e stereotipi che spesso influenzano il modo in cui le popolazioni africane, asiatiche o sudamericane sono trattate.

Nella puntata che girò in Vietnam, per dirne una, parlò della storia di colonialismo e sfruttamento del continente asiatico, e dei danni dell’intervento americano, mentre negli episodi girati per esempio in Colombia o Sri Lanka smontò uno ad uno gli stereotipi razzisti tradizionalmente associati alle popolazioni locali in Occidente. In Iran, in particolare, raccontò uno stato e un popolo molto diversi da quello spesso emersi negli ultimi anni di isolamento internazionale del paese.

https://twitter.com/SanamF24/status/1005051830156619777?ref_src=twsrc%5Etfw&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.ilpost.it%2Fwp-admin%2Fpost.php%3Fpost%3D1973745%26action%3Dedit

“La nostra troupe ha girato Teheran e Isfahan, mangiando cibo incredibilmente delizioso e sofisticato. Siamo stati accolti a braccia aperte in ogni ristorante che abbiamo visitato. I proprietari del nostro hotel in centro a Teheran devono aver scoperto dai nostri visti che era il compleanno del mio produttore, perché ci hanno invitato tutti nel loro ufficio, dove ci hanno sorpreso con una torta”

Molti appassionati del suo programma stanno condividendo i loro ricordi sul sito della CNN: una delle tesi comuni dei messaggi è che Bourdain abbia cambiato il modo di viaggiare e di approcciarsi alle popolazioni straniere dei suoi spettatori.

Bourdain, più che per il suo lavoro come chef – che pure fu stimato e riconosciuto – è ricordato in queste ore come un talentuoso narratore, qualità che emerse anche nei diversi libri che scrisse. Ma non applicò queste qualità soltanto a paesi lontani: su Munchies, il sito di cucina del gruppo Vice, la giornalista Jelisa Castrodale ha ricordato l’episodio di Cucine segrete ambientato in West Virginia, uno stato americano relativamente povero e tradizionalmente considerato privo di luoghi di particolare interesse. Bourdain stesso disse che la narrazione dello stato generalmente riservata dai media era «ignorante, altezzosa e ostile»: il suo racconto del West Virginia, spiega Castrodale, fu invece rispettoso e curioso, e lasciò rispondere gli stessi abitanti a una domanda che spesso viene posta: «Perché rimanete qui?»

Bourdain fece lo stesso a Detroit, in Michigan, dove documentò i problemi delle periferie afroamericane disagiate, dando voce agli abitanti locali perché spiegassero i problemi causati dal razzismo e dalla gentrificazione. Richard Florida, co-fondatore del sito di urbanistica City Lab, ha scritto che «il suo cosmopolitismo era l’opposto dell’elitismo», e che il suo approccio al cibo e ai luoghi dovrebbe essere il modello con cui esplorare le città.

“Anthony Bourdain ci ha fatto conoscere le persone davanti alle quali passiamo nelle nostre stesse strade, nel nostro stesso quartiere e nella nostra stessa città. Ci ha connesso con la guerra e con la povertà e l’umanità nel mondo, ma ci ha anche mostrato il valore di un viaggio fatto a pochi metri di distanza. Ne abbiamo bisogno oggi più che mai”

Bourdain parlava spesso di temi sociali e politici nei suoi programmi: si spese molto in difesa dei diritti degli immigrati negli Stati Uniti, ricordando l’importanza dei lavoratori provenienti da altri paesi nel settore dell’agricoltura e della ristorazione. Tra le altre cose, sottolineò che è «razzista pensare che il cibo messicano o indiano debba essere economico». Nella puntata girata a Gaza, denunciò apertamente le condizioni di vita a cui sono sottoposti i palestinesi, e criticò la rappresentazione disumanizzante spesso fornita dai media occidentali del conflitto israelo-palestinese.

Recentemente, Bourdain era stato un attivo sostenitore del movimento #MeToo, con il quale migliaia di donne in tutto il mondo, a partire dallo scorso ottobre, hanno denunciato episodi di violenze sessuali, molestie e discriminazioni di genere subite sul lavoro e nella vita quotidiana. Bourdain era legato particolarmente a questa causa anche per la sua relazione con l’attrice italiana Asia Argento, tra le prime donne a denunciare il produttore cinematografico Harvey Weinstein. Bourdain ha criticato apertamente i suoi amici e colleghi che erano stati coinvolti nello scandalo, a partire dal cuoco Mario Batali, con il quale collaborò strettamente per anni.

“Ho lavorato in un ristorante per 7 anni al college, e quando ero una giornalista freelance precaria. Anthony Bourdain una volta vide un cameriere molestarmi sessualmente e lo disse al proprietario. Avevo denunciato quel problema per settimane, ma fu preso sul serio soltanto quando lui disse qualcosa”

Ma l’impegno di Bourdain riguardo a #MeToo è andato anche oltre: è stato infatti tra i pochi uomini famosi che pubblicamente hanno riflettuto sul proprio contributo al radicamento della cultura maschilista alla base delle discriminazioni e delle molestie denunciate negli scorsi mesi. Disse di essere molto dispiaciuto che in qualche modo il personaggio con il quale esordì in televisione, cioè quello del cuoco macho e spaccone, potesse aver contribuito a diffondere una rappresentazione tossica della mascolinità.